31 dicembre 2008

Fumetti

I fumetti sono una cosa davvero particolare. L'immediatezza del messaggio che trasmettono, dovuta all'efficacissima associazione tra testi ed immagini, li rende un prodotto ideale per l'editoria infantile, e questo fatto li colloca istintivamente, nelle nostre associazioni immediate, ad un genere destinato solo a loro, o al più a brufolosi adolescenti con la passione per il Fantasy o i supereroi.
E invece, ovviamente, non è così. Ci sono fumetti per adulti, che trattano temi adulti, in modo adulto e per nulla infantile, anzi.
Li ho scoperti in questi giorni, pur avendoli corteggiati a lungo e per tante volte in libreria. Il motivo per cui non li ho mai comprati è stato uno sciocco (mi rendo conto) calcolo euro/minuto di lettura. Voglio dire, in genere i fumetti, per ragioni di stampa immagino, costano parecchio, mentre a leggerli ci si mette davvero poco. Poi dipende da fumetto a fumetto, ovviamente.
E così tutte le volte che mi sentivo ispirato da qualche volume, mi sono ritrovato a pensare che gli stessi soldi li avrei potuti impiegare nell'acquisto di qualche libro che mi tenesse compagnia per molto più tempo.
È un discorso sciocco, lo so, ma trovandomi nella piuttosto comune condizione di disponibilità di risorse finite, qualche scelta bisogna pur farla.
Poi, l'uovo di Colombo: la biblioteca. I miei familiari ne frequentano una dove si approvvigionano di libri per bambini (che hanno lo stesso identico problema euro/minuto di lettura, se non peggio) e un sabato mattina li ho accompagnati io. In quell'occasione ho scoperto che il reparto fumetti è abbastanza ben fornito e ne ho immediatamente approfittato.

Il primo che ho preso è stato Blankets di Craigh Thompson.
È un libro che nelle sue più di 500 pagine (ma costituite di tavole molto ampie e poco dettagliate, veloci da leggere quindi) racconta parte dell'infanzia e dell'adolescenza dell'autore, tra educazione rigorosamente religiosa, rapporti fraterni e educazione sentimentale.
A tratti comico e romantico è un libro che si legge davvero d'un fiato tanto riesce ad essere avvincente pur nella sua semplicità. Il suo unico difetto è proprio quello che dicevo prima: il costo. 29 euri tondi tondi...

Poi sono passato a Palestina di Joe Sacco. Qui il registro cambia decisamente. Si parla di guerra, quella sporca che si svolge tra arabi e israeliani in quella che dovrebbe essere la Terra Santa (e che proprio in questi giorni sta vedendo un ennesimo, forse inaudito, aumento della violenza). Il tutto viene visto come un reportage giornalistico che riporta racconti e testimonianze dei palestinesi.
Un reportage di parte quindi, ma dichiaratamente. Non mancano infatti le manifestazioni di scetticismo da parte dell'autore, e neppure le critiche che gli stessi palestinesi rivolgono all'autore stesso e in generale al giornalismo occidentale, ma la sensazione di fondo rimane comunque quella della documentazione di un'oppressione ingiusta e incivile, tollerata da tutto il mondo per ragioni meschine ed utilitaristiche.
Qualcosa su cui riflettere veramente, altroché roba per bambini.

30 dicembre 2008

Have A Nice Life - Deathconsciousness

L'ho scoperto solo in questi giorni (grazie alle classifiche dei best of 2008 che iniziano ad essere pubblicate), ma è un disco che è già in circolazione (ed apprezzatissimo) da diversi mesi.
Si tratta di un ambiziosissimo doppio album prodotto in cinque anni di lavoro da un duo di sconosciuti[1] ragazzotti di Middletown, Connecticut, che lavorando al chiuso delle loro camerette, con invidiabile pazienza e capacità hanno dato alla luce ad un opera straordinaria, sia nella forma che nel contenuto.
La promozione è avvenuta tramite passaparola, nei negozi è impossibile trovarlo[2] e di certo su MTV o RadioDJ passa pochino, ma ciononostante l'apprezzamento che gli si è tributato è pressoché generale e sono pronto a scommettere che la sua diffusione aumenterà ulteriormente con la pubblicazione delle playlist di fine anno (come è successo con me, appunto).
E anche nel loro caso, come i ben più noti Radiohead, sono pronto a scommettere che i guadagni derivanti da quei 5$ a copia saranno ben maggiori da qualsiasi altra ipotetica forma di distribuzione tradizionale
Ma di che si tratta? È un immensa opera gothic-rock, dove con questo si intendono tempi lenti, muri di chitarre elettriche, voci distorte e variamente trattate, armonie non troppo lontane dal melodico (ma nemmeno troppo vicine), atmosfere cupe, qua e la qualche drum-machine, spruzzate industrial...
Come se i My Bloody Valentine avessero incontrato i Sister Of Mercy, ma con echi di tantissime altre influenze (Nine Inch Nails, Joy Division, Earth, certi Tool, per iniziare, ma oggi mi sono venuti in mente pure i Tangerine Dream in certe introduzioni cosmic-music).
Loro stessi lo definiscono "the most depressing record in the history of music", con un pizzico di immodestia a parer mio, ma più che altro pubblicizzandosi male. Cioè, non che non sia un album cupo e a tratti pure lugubre - c'è però di peggio, per questo sono immodesti -, ma il suo ascolto è sufficientemente gradevole da non risultare affatto deprimente.
Rimane in ogni caso un lavoro impegnativo, difficilmente proponibile per la festa di capodanno, ma se dopo i bagordi intendete crogiolarvi nello spleen, o se come me avete avuto simpatie per il filone dark di qualche anno lustro fa, questo è davvero un grandissimo disco.
Procuratevelo.

[1] A me, ma pare che sia un sentimento assai diffuso
[2] Lo si può scaricare dal sito enemies.net al costo di 5$

The Music They Made

Secondo me queste cose non si dovrebbero fare prima dell'effettiva fine dell'anno. Sai com'è, potrebbe rimanere ancora fuori qualcuno...
In ogni caso a questo link trovate un bel ricordo dei musicisti che ci hanno lasciati in questo 2008.

29 dicembre 2008

Mark Haddon - Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte

Un libro agile e veramente piacevole da leggere.
Racconta le vicende di un ragazzino affetto dalla sindrome di Asperger, una forma di autismo altamente funzionale che da un lato crea tremende difficoltà nei rapporti interpersonali, e dall'altro permette lo sviluppo di facoltà specifiche di livello altissimo.
Il protagonista di questo romanzo per esempio, non sa comprendere una metafora, tipo "darsi una regolata", dà fuori di matto se viene toccato, si rifiuta di mangiare cibi che siano venuti in contatto tra di loro, detesta il giallo e il marrone, va in giro con un colorante rosso per rendere i cibi del suo colore preferito, non sa distinguere un sorriso sincero da un sarcasmo..., ma in matematica, suo principale campo di interesse, è un genio precoce, tanto da essere in grado di sostenere un esame di ammissione universitaria a soli 15 anni.
Il racconto prende spunto dal mistero di un cane ucciso nel giardino della sua vicina di casa e dall'impegno che si assume Christopher (questo il nome del protagonista) di risolvere il caso come farebbe il suo idolo letterario, Sherlock Holmes, ma poi si sviluppa in temi ben più pregnanti e fondamentali per la sua vita.
In tutto il libro Christopher è l'Io narrante, per cui ci si trova ad affrontare tutta la vicenda con gli occhi particolari di questo strambo ragazzino. Chiaramente il dubbio fondamentale che sorge leggendo quelle pagine è se l'interpretazione data dall'autore (che autistico non è) del modo di ragionare di un affetto dalla sindrome di Asperger sia realistica oppure un'invenzione inaffidabile. Alla fine pare che sia piuttosto verosimile (lo si può leggere qui, oppure semplicemente fidarsi della frase di Oliver Sacks riportata in copertina che lo definisce "Un romanzo commovente verosimile e molto divertente").
A parte la verosimiglianza, su cui ovviamente non avrei nulla da dire, io approvo in pieno il suo giudizio: è commovente e divertente allo stesso tempo, abbastanza appassionante da indurmi a leggerlo in un paio di giorni, e tutto sommato piuttosto istruttivo su quanto possa essere difficile trattare con persone con questo tipo di menti, al di là della simpatia e dell'affetto che normalmente ci trasmettono libri e film su questi temi.
Una lettura distensiva che vi consiglio caldamente.

Natale in casa mia

Dedicato a quelli che "avere dei figli significa diventare grandi".
Durante questi quattro giorni:
- Ho fatto un sacco di gare con la pista delle macchinine. Qualcuna vinta, qualcuna persa.
- Sono diventato un esperto montatore nonché autista del Camper di Barbie
- Padroneggio con sicurezza il Trenino Dentino: le sue luci e i suoi suoni non hanno segreti per me. Pure le forme, triangolo, cerchio e quadrato, le infilo nel buco giusto al primo colpo.
- Ho giocato almeno 10 partite a calcio balilla. In genere vinco io.
- Ho quasi imparato a memoria "La Balena", canzoncina educativa pro igiene dentale.
- Ho fatto a palle di neve e un paio di discese sullo stesso bob che usavo da bambino
- Ho giocato al Transatlantico di Polly, interpretando il ruolo di un bel fusto con lunghi capelli biondi

Tutto ciò non fa che rendere ancora più faticoso il mio rientro al lavoro...

10 dicembre 2008

Paolo Conte - Psiche

Ci sono delle certezze, per fortuna. Dei punti fermi sui quali potresti anche azzardare una piccola scommessa. Come quella costituita dall’acquisto di un CD.
E Paolo Conte è una certezza[1].
È un classico che affonda le sue radici in epoche per me talmente lontane che è come se ci fosse da sempre, come il profilo delle montagne che circondano il suo (e mio) Piemonte.
Alcuni dettagli mutano, ovviamente, come il suono della sua voce, sempre più roca e meno estesa, ma la forza evocativa dei versi che canta è sempre potente come ai tempi di Bartali e del Gelato al Limon.
E le musiche, le musiche…
Sono sempre melodie tutto sommato semplici, ma sempre abbastanza eleganti e piacevoli da scansare con savoir-faire il rischio della banalità. Gli arrangiamenti sono spesso bastardi, mischiano stili e influenze che vanno dai bistrot francesi alle feste balcaniche, sempre con il pianoforte del padrone di casa a fare da centro per ogni melodia. I temi dei testi non si discostano molto dalle preferenze dell’avvocato: poesie ermetiche o evocazioni in bianco e nero, sempre abbastanza suggestivi da lasciare spazio alle interpretazioni più libere di chi li ascolta.
Non che non ci siano degli episodi meno felici, qualche canzone sembra non aver trovato il giusto abbrivio per decollare come le altre, ma quando a quasi settantadue anni si pubblica ancora un disco, e questo disco contiene 15 canzoni, qualche piccola scivolata la si può tranquillamente perdonare.

A proposito di scivolate: questa mattina il CD girava nel lettore della mia auto mentre scendevo verso la città sotto la neve. C’era pure un po’ di nebbia, le condizioni stradali imponevano una marcia a passo d’uomo, la neve decorava meravigliosamente gli alberi ai lati della strada e la sua voce mi scaldava il cuore.
Alla fine sono giunto al lavoro abbastanza regolarmente, ma se per caso fossi stato costretto a fermarmi lì, beh, poco male. L’atmosfera era davvero perfetta.

[1] Un po’ esagero, ovviamente. Per esempio lo scorso album, Elegia, non mi è piaciuto molto. Ma comunque non mi sono pentito di averlo comprato.

A proposito di diritti umani

È già passato un mese da quando la Corte di Cassazione ha decretato il diritto della famiglia di Eluana Englaro a porre fine ad una esistenza che di umano non ha ormai più niente, da anni.
Ora, dopo che il cattolicissimo governo della Lombardia ha imposto il suo rifiuto in tutte le strutture della Regione, dopo che pure la Regione Toscana ha detto il suo no, nemmeno ad Udine il padre della ragazza avrà la possibilità di vedere la fine del calvario suo e di sua figlia.

Siamo un paese misero e triste, dove chi ha il potere si ritiene in diritto di applicarlo in modo arrogante strafottendosene di tutto e di tutti, dalle semplici opinioni altrui, ai credo più profondi, fino alle sentenze del più alto organo giudicante del paese.
Solo quello che pensano loro è buono e giusto, e se gli altri hanno opinioni diverse sono in errore, chiunque essi siano.

Loro sì che sono davvero morti.

10 dicembre 1948

Oggi si celebra il sessantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo.
Vale la pena rileggersela tutta e riflettere su quanto siano applicati nel mondo i trenta articoli che la compongono.
E purtroppo non solo dall'altra parte del pianeta, ma pure vicino a noi. Molto vicino.

Riporto qui il primo articolo, quello che da solo sarebbe sufficiente a migliorare (e di molto) le cose del pianeta:

Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

7 dicembre 2008

Il deludente gusto della madeleine

PREMESSA

(di cui non ci dovrebbe essere bisogno, ma non è mica detto che tutti sappiano le stesse cose)

L’intera meravigliosa recherche di Proust prende spunto da un piccolo episodio capitato all’autore. Questi, accettando l’offerta di un tè con pasticcini, si ritrova a vivere una epifania di ricordi vivissimi e involontari, stimolati dall'aver assaggiato una madeleine, una piccola pasta a forma di conchiglia.

Da subito non riesce a spiegarsi questo turbinio di sensazioni che lo ha assalito, poi a poco a poco mette a fuoco e si rende conto che quel biscotto è lo stesso che gli offriva sua zia quando era bambino. È stato il semplice sapore di quel biscotto, mai più assaggiato dopo l’infanzia, a risvegliare la sua memoria involontaria e a fare riemergere come un’eruzione i mille ricordi che costituiscono poi le migliaia di pagine dell’opera.


Nel mio piccolo, oggi ho fatto esperienza analoga ascoltando concert- the cure live. Chi mi conosce personalmente e mi frequentava ai tempi della mia adolescenza, sa bene quanto allora mi piacesse questo gruppo e, tra i non moltissimi dischi che avevano pubblicato fino ad allora[1], quanto amassi questo in modo particolare.

Ieri mi sono trovato a passare per caso di fronte ad un negozio di dischi in liquidazione, l’ennesima vittima dei megastore, e ovviamente mi sono gettato a compiere atto di sciacallaggio andando a ravanare tra la merce in svendita. Mi sono portato a casa alcune cose per pochi euro e tra esse c’era appunto questo disco, che probabilmente non avrei mai comprato[2] se non mi fosse stato offerto ad un prezzo irrisorio.

Oggi, complice una piccola baruffa familiare e conseguente aria imbronciata che sconsigliava obiezioni, ho avuto la rara possibilità di mettere su un disco a mio piacimento e me lo sono ascoltato per intero. Non sto ad elencare la miriade di ricordi che quelle dieci canzoni hanno risvegliato in me durante l’ascolto, ma per circa un’ora ho vagato tra immagini ed emozioni vecchie di quasi quattro lustri[3], ambientati in quegli incredibili anni ’80 che videro la mia adolescenza.

Quello che però mi ha sorpreso (negativamente) è la qualità della musica e delle canzoni di quel disco.

So che è ingiusto e ingrato giudicare le cose del passato con gli occhi del presente, ma il punto non è la qualità in sé della musica o il suo essere datata. Il punto è che ho avuto modo di constatare quanto miseri fossero i miei gusti musicali di allora. E anche in questo sarei ingiusto nei miei confronti (in fondo avevo dai 15 ai 17 anni), se non fosse che allora mi ritenevo un cazzutissimo alternativo.

Cioè, quelli erano gli anni in cui spopolavano i paninari, con le loro colonne sonore a ritmo di Duran Duran, Spandau Ballet, Wham! e orrori del genere, per cui, andarsene in giro a dire “a me mi piacciono i Cure, Siouxsie e i Joy Division[4]” faceva davvero strano, si rischiava di venire messi al bando da certe comunità, senza scherzi. E se avevi il fegato di sbandierarlo, allora eri davvero un figo. O un pirla, dipende dalla comunità a cui apparteneva chi ti giudicava (bei tempi, eh?).

Beh, per farla breve, quello che mi ha sorpreso riconoscere oggi è stato che in fondo c’era molta meno differenza tra i The Cure e i Duran Duran che tra un piumino Moncler e una sua imitazione. Dico sul serio, ho messo questo disco con la stessa aria cospirativa con cui mi atteggiavo allora, come se stessi per riversare dalle casse qualcosa di veramente fuori dall’ordinario e invece ne sono scaturiti ritmi pari che non escono mai dai 2/4 o al più (!) 4/4, melodie che non sgarrano dai gradi fondamentali, rime baciate, assoli fischiettabili, perfette alternanze di strofe e ritornelli,…

Insomma, alla fin fine quelle canzoni erano fatte della stessa identica pasta delle canzoni cantate dai gruppi rivali. Magari avevano un po’ meno synth, batterie elettroniche o coretti, ma il succo era davvero lo stesso.

E allora?

Beh, innanzitutto queste considerazioni ridimensionano un po’ l’immagine “fuori dal gregge” che ho di me a quei tempi. Ma questi sono problemi miei.

Poi aprono un ragionamento interessante sulla forza di certa musica commerciale e sulla sua capacità di travestirsi in modo da risultare appetibile anche a persone che hanno (o vorrebbero avere) filosofie di vita piuttosto differenti. O meglio (e più correttamente): su come certe derive stilistiche, quali il filone alternativo post-punk degli anni fine-70-inizio-80, siano state prese a modello estetico, superficiale, per creare dei cloni che ne incarnassero il ruolo, ma prettamente in ambito pop. In altre parole: c’era allora un intenso e interessante fenomeno musicale underground, che per la sua stessa essenza recava con sé la sua importante dose di fascino. Bene, a fronte di questo si è creato un mondo che ne imitava l’aspetto esteriore (colori scuri, testi negativi o depressi, atmosfere melanconiche), ma offrendosi al pubblico in maniera orecchiabile e facilmente digeribile, in modo da trasformare un fenomeno di ribellione in una moda, che è l’esatto opposto di una ribellione.

Non fraintendetemi: non parlo di Grandi Fratelli o di regie occulte atte a soffocare le manifestazioni devianti. Semplicemente constato come la spinta commerciale sia in grado di assimilare qualsiasi fenomeno culturale, anche quelli più estranei o addirittura ostili ad essa, per sfruttarli a vantaggio di un redditizio successo popolare[5].

E poi, infine, proprio per non dire del tutto male di questo disco, mi piace riconoscere come gli episodi che all’ascolto di oggi mi sono sembrati ancora almeno un po’ interessanti, siano quelli che a quel tempo consideravo più trascurabili[6]. In particolare, poi, noto che questi coincidono con le canzoni del primo album dei nostri (Three imaginary boys, effettivamente ancora oggi un bel frutto acerbo) e che questo definisce la carriera dei Cure più come un’inesorabile discesa che come una parabola.

E, veramente per ultimo: per quanto mi riguarda, è forse il caso di imparare la lezione e di riflettere qualche istante sulla considerazione che oggi ho per i miei gusti musicali. Vedremo se passeranno il mio giudizio fra altri venticinque anni.


[1] i The Cure sono ancora in giro e la loro discografia è diventata di una lunghezza abnorme. Più che altro imbarazzante se si pensa che, almeno nel look e in certe pose, scimmiottano ancora i se stessi di venticinque anni fa.

[2] Il motivo è che in fondo quello che descrivo oltre me lo aspettavo.

[3] Madonna!

[4] Sì, i Joy Division sono su un altro pianeta, lo so, ma allora finiva tutto nello stesso calderone

[5] Che poi alla fine magari si traduce in un semplicissimo "Ragazzi, se volete vendere qualche disco, dovete ammorbidire un po' i toni" detto da un produttore o da un membro stesso della band. Ma l'effetto è poi quello.

[6] Lo so: questo la dice ancora più lunga sui miei gusti di allora, ma stiamo facendo atto di contrizione. Facciamolo fino in fondo.

3 dicembre 2008

Non sembra, ma son vivo

Sto trascurando il blog. E mi spiace, più che altro perché è una cosa che nel suo piccolo mi da soddisfazione, e che, moderno ed adulto tamagotchi dovrebbe essere nutrito e curato frequentemente per non morire. E più passa il tempo e più mi dispiace di non scrivere, e più mi dispiace e più cresce la sindrome da pagina bianca...
Quindi mi metto di impegno e parlo un po' delle cose che mi succedono in questi giorni, ovviamente riferendomi alle mie esplorazioni musicali e letterarie, che dei fatti miei propriamente detti non credo ci si possa interessare più di tanto.

Ho letto Mattatoio N.5.
Bello.
Cioè carino.
Insomma, mi ha un po' deluso. È piuttosto universalmente acclamato come un capolavoro, ma io non sono riuscito ad entusiasmarmi. Dovrebbe essere un intenso pamphlet anti-guerra, e per certi versi lo è, nel descriverla in maniera grottesca e assurda attraverso gli occhi di un particolarissimo miserabile. Ma nel complesso la trama si rivela a volte troppo semplicistica, troppo superficiale rispetto ai temi smodatamente impegnativi che mi aspettavo che avrebbe trattato. Opinione del tutto personale eh, che, ripeto, probabilmente è troppo viziata da aspettative sbagliate.

Ho ascoltato Dark Developments di Vic Cesnutt & Elf Power. Bello, questo sì.
Per me questo autore (Chesnutt) è una scoperta abbastanza recente, dei tempi del suo penultimo disco, North Star Deserter, un piccolo bellissimo capolavoro dell'anno scorso. Ora si riconferma alla grande, con toni appena un po' più classic-folk, ma ancora ricco di atmosfere moderne e mai banali.

Ho ascoltato The Camel's Back dei PSAPP. Anche questi sono una recente scoperta. Il primo album (The Only Thing I Ever Wanted) era molto vicino al concetto di "duo indie lui-lei, acustica ed elettronica, un po' toy orchestra sbarazzina, un po' piano-bar da festa" non proprio raro nei meandri alternativi. Con questo disco si dimostrano molto cresciuti, senza perdere del tutto la loro aria giocosa, si concedono colori più intensi e corposi, più deviazioni verso tematiche più serie, dal funky all'orchestrale. Bello e divertente.

Ho iniziato a leggere La Gang del Pensiero (di Tibor Fisher). Non so, non mi sta prendendo un granché benché ne abbia sentito dire dappertutto un gran bene. Sarà che per ora (ma sono ancora alle prime pagine) è un po' troppo sullo stile "simpatico intellettuale scalcinato" e io forse non ho più l'età per stupefarmi di fronte alla verve dei simpatici intellettuali scalcinati, ma per ora non decolliamo ancora.
Vedremo, ne dirò.

Così, tanto per fare sapere che sono vivo e vegeto.

20 novembre 2008

Le mie brucianti (ed effimere) passioni

Per un certo periodo ci furono gli scacchi. Mi appassionai, comprai libri, scacchiere elettroniche, software, scaricai tonnellate di documenti e lezioni da internet...
Poi ci fu la biologia: cercai libri, pubblicazioni, software...
Poi la musica: mi misi in testa di creare musica, al chiuso della mia cameretta (che in realtà erano le camere d'albergo della mia trasferta lavorativa a Milano), musica techno con il solo uso di pc. E pure lì scaricai software, samples, ritmi, e spesi pure un po' di soldi per altro software.
Poi ci fu la fase "programmatore": e via con software e manuali, libroni spessi e tecnicismi, per dire.
Poi la fase Hi-Fi: intenzionato a dotarmi di un apparato di riproduzione musicale ho iniziato ad informarmi su forum e newsgroup. Per un certo periodo (un mesetto, non di più) sono diventato esperto di amplificatori, cavi di potenza e dissipatori. Quello che mi ha frenato è che alla fine mi sono fermamente convinto che non potevo spendere meno di 2.000€, altrimenti avrei comprato una ciofeca che le mie orecchie (diventate sensibilissime a seguito di quelle letture...) non avrebbero potuto tollerare.
Analogamente, pochi mesi fa, mi è preso il pallino per la mountain bike. E anche stavolta la passione è diventata assoluta. Di nuovo: riviste, forum, blog, libri. E pure in questo caso mi sono fermato solo per la mia taccagneria: una bici da meno di 1.500€ non vale neanche la pena comprarla. E allora (per ora) ho lasciato il proposito nel cassetto.
Quindi la fotografia e la ripresa video. Lì mi sono poi limitato ad apparecchiature del tutto amatoriali e di consumo, che pur facendo inorridire qualsiasi purista che ho incontrato su certi forum, mi sanno dare le loro piccole soddisfazioni.
Ora l'ultima in ordine di tempo: la grammatica.
Tutte queste momentanee infatuazioni hanno più o meno la stessa origine casuale, proprio come un innamoramento. Un articolo di giornale, un film, un libro o (come nel caso di macchina fotografica) una semplice necessità familiare, fungono da innesco alla mia curiosità, che mi spinge a cercare informazioni sempre più autorevoli e a scovarne gli aspetti più affascinanti.
Tutto questo, tra l'altro, mi ha portato a emettere la seguente sentenza:
in tutte le attività umane c'è un numero sufficientemente elevato di persone intelligenti che vi si sono applicate, da renderle delle discipline assolutamente affascinanti e non banali
Ciò non toglie ovviamente che ad ogni disciplina vi si applichino un numero esorbitante di imbecilli, ma questo non invalida la mia affermazione di cui sopra.

Comunque, tutto questo discorso è per annunciare l'apertura di un nuovo riquadro qui a fianco in cui riporto la passione del momento.
Ad oggi sono alle prese con la grammatica, pensa un po'. Il tutto parte da un saggio che ho letto su un libro di cui non mancherò di parlare, quando lo finirò. In esso si tratta di questioni di linguistica, della disputa tra Prescrittivisti (coloro che dicono che i dizionari dovrebbero spiegare come si usa correttamente una lingua) e i Descrittivisti (quelli che invece pensano che un dizionario non dovrebbe fare altro che descrivere una lingua, accettandone anche le storpiature più marchiane, se queste sono diventate di uso comune).
Tale amena questione mi ha portato al desiderio di riprendere in mano una grammatica e andarmi a ristudiare le regole e i meccanismi della nostra lingua.
Una passione un po' così, insomma. Ma questo sono io, prendere o lasciare.

18 novembre 2008

E. Leonard - Tishomingo Blues

Un libro che del blues ha il sapore, il ritmo, l'indolenza.
E del blues ha pure tutti gli ingredienti: i paesaggi degli stati del sud, il sangue, il sesso, il razzismo, il coraggio, la rissosità. Manca solo Dio, God up above.
E tutto si svolge lì, a un tiro di schioppo da dove il blues è nato, nei pressi di quel crocevia dove Robert Johnson ha venduto l'anima al diavolo per diventare... Robert Johnson, quello che idolatriamo ancora oggi. Quello che "Eric Clapton non ti rivolge neanche la parola, se non sai chi è Robert Johnson".
E di fronte ad un crocevia della propria vita sono pure tutti i personaggi che affollano le pagine di questo romanzo, che in poche parole narra la vicenda di un tuffatore professionista, uno di quelli che monta uno spettacolo itinerante, con lui che si butta da 25 metri in una tinozza, col pubblico che applaude da un prato polveroso.
E poi ci sono pure yankee e confederati, giacche blu e sudisti, in una rievocazione incomprensibile ai nostri altezzosi sguardi europei. Una rievocazione che vede uomini seri e seriosi, gangster e poliziotti, travestirsi da soldati della guerra di secessione e interpretare lo svolgersi di una vecchia battaglia, ottima occasione per sfogare piccole e grandi rivalse personali. In questo contesto, Dennis, il tuffatore, viene coinvolto suo malgrado e senza che lui riesca ad opporre resistenza, in una vicenda fosca e pericolosa, dove tutti sanno tutto, ma nessuno può dire niente. Mafia sudista, pensa te.
E lo stile di Leonard ti tira dentro, tuo malgrado e senza che tu possa opporre resistenza, dentro a quel mondo strano, lontano anni luce dalle nostre campagne, ma con la sensazione di esserne tu stesso parte, freddamente ma inesorabilmente coinvolto.
Alla fine sembra di avere assistito ad una commedia surreale, dove i personaggi si muovono in maniera strana e disarticolata. Ma in realtà, se si guarda bene, è solo perché libri scritti così non siamo abituati a leggerli. Soprattutto i dialoghi. Non siamo abituati a leggere dialoghi zeppi di sospensioni, anacoluti, ripensamenti. Ma se si ascolta un dialogo reale, tra persone in carne ed ossa, è proprio così che si fa, invece: si mozzicano le frasi, si cambia direzione, si lascia sospesa l'affermazione... Solo che sui libri non siamo abituati a trovarceli riportati così, sui libri i personaggi parlano... come un libro stampato, appunto. E allora a leggere un libro in cui il dialogo è realista ci troviamo spiazzati, come di fronte ad una scena surreale, straniante.
Questo è uno dei motivi principali per cui Leonard è quasi sconosciuto in Italia, perché il punto forte dei suoi libri sono proprio i dialoghi tra i personaggi, ricchi oltretutto di regionalismi e modi di dire, e le traduzioni non possono che perdere quasi tutto il bello di questi momenti.
Nel libro in questione, il traduttore, Wu Ming 1, ha provato a mantenersi fedele allo spirito originale e a farci rivivere meglio che si può le atmosfere create da questo grande autore e penso si possa dire che ci sia riuscito più che discretamente.
Non resterebbe poi che leggerseli in lingua originale questi libri.
Ad esserne capaci.

17 novembre 2008

Bachi da Pietra - Tarlo Terzo

Avrei voluto iniziare questo post con una frase del tipo "ora, dopo un po' di tempo che non parlavo dei miei soliti argomenti leggeri, musica-libri-film, torno a...".
Ma poi mi è capitato che il CD che sta girando nel mio lettore sia questo Tarlo Terzo del duo di provincia piemontese Bachi da Pietra. Ed è un disco che leggero non lo è affatto: è invece cupo, sporco, cattivo, scurrile, pesante, repellente...
Però sublime.
Diciamone meglio: dei Bachi da Pietra ne avevo parlato già l'anno scorso, dopo avere ascoltato non io, il loro precedente album, che mi aveva positivamente impressionato, nonostante (o forse proprio per) il suo piglio ombroso, da cui traspariva lo spessore di un lavoro intenso e potente.
Questa volta, a mio avviso, si sono anche superati. Le atmosfere, pur meritandosi quegli aggettivi che ho usato sopra, sono meno chiuse, l'incedere è più spigliato, i suoni ed i loro intrecci più accattivanti, la corda è sempre tesa al punto giusto.
Canzoni graffianti che lasciano cicatrici seducenti, che rifuggono la banalità e che si spingono (e ti spingono) inesorabili verso l'oscurità, ma sempre lasciando trapelare dal profondo una luce remota, che rivela un calore intenso e ammaliante in cui crogiolarsi con voluttà.

Accidenti, rileggo quanto ho scritto qua sopra e mi pare di avere scritto una di quelle recensioni da rivista indie in cui alla fine non hai capito niente di quel che c'è nel disco. Facendo le debite proporzioni, si intende.
Provo a rimediare, ma non è affatto semplice: rock-blues sporco, voce strascicata, suoni acustici, metallo-legno-pelle, ritmi lenti, testi onirici e ricercati...
Non ci sono riuscito, non si riesce a descrivere la musica.
Ma comunque si sappia: questo è un gran bel disco, azzarderei a dire una delle cose migliori prodotte negli ultimi anni in Italia. Notevolissimo e pure, sarei pronto a scommetterci, in grado di sopportare alla grande il passare del tempo. Già un classico, insomma.
Peccato non sia il genere di disco che si fa ascoltare a parenti e amici durante le riunioni di famiglia, ma meriterebbe davvero tutta l'esposizione possibile.

11 novembre 2008

Video Experiment

Esperimento di inserimento di un mio video in un post del blog.
Cavia: Francesco.
Non ancora convinto delle proprie capacità, non molla l'ormeggio di una sedia e non rischia ancora un'autonoma stazione eretta.
Che se ci pensi bene è una cosa complicatissima, che però viene gestita talmente bene da quel grumo di materia che abbiamo dentro la zucca che sembra facile e naturale. Ma di per sé, starsene in equilibrio sui piedi, è una cosa davvero complessa e per certi versi innaturale. Prova con una bambola.
[Mi si perdoni la pessima qualità delle immagini, ma la telecamera del mio telefonino fa davvero schifo]

10 novembre 2008

Buona questa 2

[(questa mi lascia veramente) senza parole]



Esercizio di coerenza: i nani e le ballerine si allineano alla spiritosaggine del capo.

7 novembre 2008

Altro che le gaffes

Se non fosse che non lo stimo abbastanza, penserei davvero che le gaffes di Berlusconi non sono semplicemente delle sparate da osteria che fa nella supponenza di avere la libertà di dire qualsiasi cosa gli passi per la zucca.
Ecco, penserei invece che siano davvero delle mosse strategiche e deliberate per distogliere l'attenzione dai problemi seri.
Ad esempio, ieri, poco prima di uscirsene col la sua cazzata sull'abbronzatura di Obama, il Presidente (il Premier, così gli piace farsi chiamare), rispondendo ad una delle tante critiche sui tagli alla scuola (pubblica) rispondeva:
Non mi ero accorto che nella Finanziaria sono stati tolti 134 milioni alla scuola privata cattolica. Ammetto una mia colpa: cercheremo di non togliere i finanziamenti alla scuola cattolica: è una libertà per tutti.
Capito? Alla scuola pubblica si chiude il rubinetto; alla privata (cattolica, eh) no.
Ma poi questa cosa passa inosservata, perché qui stiamo a litigare se quella dell'abbronzatura fosse una "carineria" o una sparata razzista.

[questa riflessione non è farina del mio sacco, viene da qua]

6 novembre 2008

Buona questa

(senza parole)

5 novembre 2008

D.F. Wallace - Una cosa divertente che non farò mai più

Io sono uno di quelli a cui ogni tanto succede di saltare sul carro del morto.
Brutta affermazione, vero? Ma mi spiego: con D.F.Wallace mi è capitato di scoprirne l'esistenza quando si è sparsa la notizia della sua morte, leggendone il rimpianto sconsolato di chi lo aveva conosciuto quand'era ancora vivo.
Lo stesso mi era capitato con Kurt Vonnegut, Jaco Pastorius, John Peel, Douglas Adams e chissà quanti altri che ora non mi vengono in mente. E mentre fino ad allora vivevo felice e contento nella completa ignoranza della loro esistenza, poi vorrei entrare nella schiera di quelli che dicono "peccato che se ne è andato, era un grande".
Tutte queste scoperte postume probabilmente denunciano delle mie grosse lacune, lo so, ma tant'è...
Allora, David è morto il 12 settembre di quest'anno, e tante e tali sono state le dichiarazioni sgomente e afflitte dei suoi lettori, di alcuni dei quali seguo i blog, che non ho potuto fare a meno di incuriosirmi e andare a cercare le sue opere in libreria.
Viene fuori che Wallace ha scritto quello che viene piuttosto generalmente definito come un capolavoro che si chiama Infinite Jest, che però ha un aspetto un po' minaccioso: 1281 pagine fitte fitte, con una trama un po' sconnessa e commenti infuriati di troppi lettori sconfitti dal suo peso (provate a leggere i commenti dei lettori nel link di IBS che ho riportato sopra). Insomma, io ero appena uscito esausto da Underworld e non avevo voglia di affrontare altri mattoni, così mi sono orientato verso le sue opere minori.
Ho letto prima La Ragazza Dai Capelli Strani, una notevolissima raccolta di racconti di cui effettivamente dovrei scrivere qualcosa qui, poi mi sono letto questo libro ed è stata un'esperienza straordinaria.
Si tratta del resoconto di una crociera extralusso di 7 giorni nei Caraibi, a cui l'autore ha partecipato, inviato, proprio per scriverne un'articolo, dalla rivista Harper's.
Wallace è (era, mannaggia!) una specie di nerd forse un po' sfigato, nonostante la sua genialità letteraria, per cui in un ambiente del genere si trova molto peggio del proverbiale pesce fuori dall'acqua. Si crea quindi un gustosissimo contrasto tra la sua genialità e la sua goffaggine (e più che altro la prima che descrive la seconda), e la sua analisi lucida, ma neanche lontanamente fredda, biasima la sua inettitudine e non si vergogna di raccontarla.
Descrive con minuzia gli agi e il lusso sfrenato a cui viene sottoposto per una settimana, la perfetta efficienza del personale e dell'organizzazione della crociera, e lo analizza fino a scovarne l'aspetto grottesco. A fatica però, perchè quella superficie è talmente immacolata ed abbagliante da rendere difficile scorgere il vuoto che cela, perché è proprio quello ciò a cui tutti sono addestrati (e con che metodi!) su quella nave: convincere il cliente che veramente la sua soddisfazione è la loro gioia più ambita.
La traduzione del titolo è abbastanza fedele all'originale, se non fosse che quello dice "A supposedly fun thing...", cioè una cosa che si presuppone divertente, e quest'avverbio descrive in pieno l'angolazione da cui è scritto il libro (che in principio doveva essere appunto solo un articolo di giornale, poi è cresciuto a dismisura fino a diventare un libro a sé): il resoconto di un'esperienza che per quanto strabiliante e pressoché perfetta nel suo viziare i clienti, non riesce mai a sopire quel bambino incontentabile e capriccioso che è dentro di noi, e anzi, come succede con i bambini veri, il vizio eccessivo non fa altro che alzare la posta delle esigenze a livelli assurdi, dove ti rendi conto che nulla può soddisfarti a pieno, soprattutto se, quando hai prenotato la crociera e hai pagato il biglietto, ti hanno promesso che ogni tua esigenza sarebbe stata indubitabilmente soddisfatta.
Una lezione di vita, alla fine.

A questo punto Infinite Jest mi tenta, ma non ora. Magari la prossima estate...

Al risveglio...

È bello ricevere una bella notizia appena alzati.
È bello avere la dimostrazione che le cose possono veramente cambiare.
È un po' meno bello sapere che per farlo ci vuole un uomo straordinario, e che dalle nostre parti...

...vabbè, è comunque bello sapere che le cose possono cambiare.


Ah già: io, Bruce Springsteen, Brad Pitt, Michael Jordan, Paul Auster e tutti gli altri ci congratuliamo con il nostro candidato.

4 novembre 2008

Capolavori in cui mi imbatto

Ogni tanto mi capita uno di quei periodi in cui ravàno alla scoperta di capolavori talmente grandi e universalmente riconosciuti che a scriverne non dico una recensione, ma anche solo un post descrittivo, mi sento inadeguato.
Mi era già capitato un po' di mesi fa, e ora sono di nuovo in quella fase. Solo che questa volta non si tratta di rock o derivati, ma di jazz, e pure abbastanza classico. Quindi se già allora veleggiavo negli anni intorno alla mia infanzia (anni '70), ora vado ancora più indietro, tra il '55 e il '65, quando i miei genitori si conoscevano e sposavano, per dire.

Ho iniziato a frequentare il jazz da non molto tempo e pertanto mi considero ancora praticamente un neofita. Questa condizione ha naturalmente lo svantaggio di costringermi a vagare un po' a tentoni in quel mondo vastissimo ed oggettivamente non semplice, ma ha pure il pregio di regalarmi delle epifanie meravigliose che ancora oggi non accennano a vedersi esaurire la fonte, tanto è vasto, dicevo, il materiale a cui attingere.
E allora, qui di seguito, un elenco di quello che mi sta estasiando in questo periodo. I link fanno riferimento a Amazon.com dove per ogni album ci sono sempre degli interessanti commenti di ascoltatori che spesso sono davvero preparati.

Miles Davis - Miles in Tokyo: Inizio per questioni affettive con il divino Miles. Questo album è la registrazione di un concerto del 1964 a Tokyo appunto, con il suo secondo quintetto acustico. È uno dei periodi che preferisco della sua lunghissima carriera, un periodo che produsse alcuni capolavori (Sorcerer, E.S.P., Nefertiti...), alcune tournee straordinarie e che forse costituisce l'apice tecnico (allo strumento) dello stesso Davis. È tutto bellissimo, ma tra le altre spiccano una My Funny Valentine da pelle d'oca e una So What tiratissima, da urlo.
Oliver Nelson - The Blues And The Abstract Truth: Probabilmente il miglior compendio di tutto ciò che il jazz era nel 1961. Con un cast stellare (Dolphy, Hubbard, Bill Evans, Chambers e Haynes) e componimenti arrangiati perfettamente fanno di questo disco una piccola indispensabile enciclopedia di quello che questo genere poteva dare mezzo secolo fa.
Wayne Shorter - Speak No Evil: Questo album è uno dei tanti frutti miracolosi che il Davis di cui sopra sapeva produrre. Wayne e Miles avevano iniziato a collaborare qualche mese prima, e questo è il disco che Shorter produsse da solista appena ricevutone il tocco. Una specie di concept album intorno all'esoterismo macabro, tanto per cambiare interpretato da un cast da fine del mondo (Hubbar, Hancock, Carter e Jones).
Dave Brubeck - Time Further Out: L'elegantissimo Brubeck continua la sua esplorazione dei tempi dispari (3/4, 7/4, 9/8, 5/4...) nel jazz. Quest'uomo aveva la rara capacità di sapere tradurre una brillante idea teorica (perché limitare il jazz ai tempi pari?) in una realizzazione pratica che non appare mai forzata o pretestuosa. Tutti i brani sono splendidamente ascoltabili, solo che a battere il ritmo col piedino ci si trova sempre fuori fase... Comunque, chi ancora non lo conoscesse, inizi dal primo e più famoso suo lavoro in questo senso: Time Out.
Clifford Brown and Max Roach - At Basin Street: Max Roach è l'unico batterista al mondo di cui riesca a sopportare (a malapena) un assolo. Clifford Brown una stella della tromba che si è spenta davvero troppo presto. In questo album, a questi due giganti si affianca Sonny Rollins a costituire uno dei più fenomenali quintetti di sempre (assieme a R.Powell e a G. Morrow). Raramente ho trovato tanta energia in un disco come in questo (che tra l'altro non è un live, se la cosa può essere importante).
Herbie Hancock - Maiden Voyage: Un altro concept album, questa volta intorno al mare, al suo respiro eterno e al suo essere sempre un continente inesplorato. Meraviglioso album, ricco di atmosfera, frutto di uno stile che partiva dalla ricerca modale di Miles Davis (ancora lui, sempre lui!) per andare verso nuove avanguardie che non disdegnavano la musica colta. Forse questo è il disco che più di tutti stupisce per la sua età, tanto è ancora moderno e sfavillante dopo 43 anni.

3 novembre 2008

Endorsement

È ora di gettare la maschera, di guardare in faccia la gente e gridare le proprie convinzioni:
il tenutario del presente blog appoggia ufficialmente e pubblicamente la candidatura di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti d'America.
(cioè, mi pongo a fianco di Bruce Springsteen, Brad Pitt, Michael Jordan, Paul Auster e un pacco di altra gente, mica ciuffole).
No, cavoli, a parte gli scherzi, speriamo bene.

La zucca

Ogni promessa è debito.
Lo scorso post ho detto che avrei pubblicato la mia opera d'arte Halloweeniana. Eccola qua, ditemi se non è splendida:
E poi ne approfitto per fare una piccola cronaca degli osceni, truculenti, immondi e turpi fatti occorsi durante l'orgiastica celebrazione del 31 ottobre scorso.

[chiaramente mi piacerebbe che questo blog avesse il potere di costituire almeno una risposta alle stupidaggini che ho raccontato qualche giorno fa. Ne dubito, ma non importa, questa è la mia versione]

Allora, tutto è iniziato alla chiusura di scuola e asilo.
I bambini si sono radunati in un locale preparatorio (una sorta di anti-sacrestia) dove si sono travestiti da bestie immonde e hanno truccati i loro visi, fino al quel momento ingenui ed angelici, per ridurli a turpi rappresentazioni di Satana a cui avrebbero reso omaggio di lì a poco...

Vabbè, la pianto...
Avrei voluto proseguire il racconto in stile "messa nera" per sfottere un po' i benpensanti dell'Associazione Giovanni XXIII, ma non ne vale la pena. Troppo sforzo senza speranza.
Proseguo in stile un po' più sobrio, perché c'è qualcosa che vorrei raccontare, al di là delle polemiche.

I bambini si sono effettivamente radunati in un locale nel paese, dove le mamme hanno provveduto a vestirli e a truccarli per l'occasione. Posati i grembiulini e le cartelle, quella rumorosa congrega si è quindi trasformata in una masnada di streghette, vampiri, scheletri, fantasmi, mostriciattoli... (ma si è visto pure un Bat-Man e qualche fatina).
Poi sono partiti, e hanno fatto il giro delle botteghe e delle case nel centro storico a urlare chiassosamente dolcetto o scherzetto! Si noti, che per raggiungere la massima efficienza, la truppa si è divisa in più gruppi, in modo da presentarsi per primi alle porte, con conseguente maggiore disponibilità di dolcetti e ridotto rischio di tornare a mani vuote (perché si sa, lo scherzetto è minaccia solo teorica, al più si riduce a qualche spruzzata di stelle filanti spray, per cui l'unico obbiettivo previsto è quello del dolce, non dello scherzo).
Bene, proprio questo volevo raccontare: tutti, ma proprio tutti nel paese, hanno fatto a gara per accontentare nel migliore dei modi i bambini: caramelle, sacchetti di dolci, biscotti, fette di torta, gelatine,... E sto parlando anche di personaggi noti per il loro essere schivi, se non proprio burberi. Negozianti di quelli che bofonchiano scocciati quando sono costretti a dare troppe monete di resto (quanto fa, 85 centesimi? guardi, mi spiace, ho solo 50 euro... apriti cielo!), paesani sempre accigliati che aprono bocca solo per brontolare, vecchiette solitamente infastidite da qualsiasi voce oltre i 30 decibel. , anche per queste persone, la sera (si parla di prima di cena, eh) del 31 ottobre si è trasformata in una simpaticissima festa. Pure loro regalavano caramelle, ma soprattuto sorrisoni a quelle manine aperte e pitturate[*] e, giuro, molti si sono dispiaciuti per non essere stati visitati un numero sufficiente di volte.
Alcuni negozianti hanno preparato sacchettini confezionati di dolci. Uno ne aveva 180! Sapete cosa significa confezionare 180 sacchettini? Insomma, non una fatica di Ercole, ma facendolo per regalo...
, in buona sostanza: questa festa è diventata, anche più che qualsiasi Natale, Pasqua o anche Carnevale, una festa che coinvolge simpaticamente chiunque. Generazioni lontanissime (parliamo di novantenni e treenni!) che, se non sono parenti, davvero difficilmente si incontrano altrimenti, hanno potuto ancora divertirsi assieme e darsi reciprocamente piccole ma preziosissime soddisfazioni.
Non so, non vorrei adesso dare una descrizione svenevole della festa di Halloween, ma devo ammettere che nonostante il suo essere un'americanata, frutto del consumismo, trionfo della superficialità e bla bla bla..., è una rara occasione capace di riattivare certi sentimenti che altrimenti non possono fare altro che rimanersene intorpiditi nelle tribolazioni vita quotidiana.
Ma poi tutto sommato non è la festa ad avere questo merito. Sono i bambini, con il loro soprannaturale potere di strappare sorrisi. Basta coinvolgerli e il gioco è fatto.
E così sia.

[*] In pratica si svolge così: si suona il campanello o si entra nel negozio. L'abitante o il negoziante arriva con un contenitore (cesta, sacchetto, secchiello) pieno di dolciumi e inizia a distribuirlo ai bambini che tendono le mani aperte verso di lui (prima io! prima io!) cercando di accontentare tutti, e sapendo che appena andati via questi, ne arriverà a minuti un'altro gruppo.
A mio parere, essere al centro di questa distribuzione può essere uno dei piaceri della vita (ad averne a sufficienza ovviamente, se no son guai)

31 ottobre 2008

Halloween - Appuntamento annuale

Proprio ieri, con l'approssimarsi della ricorrenza di Halloween, sono andato a rileggermi quello che scrissi un anno fa, nella stessa occasione.
Beh, se non avete voglia di andarlo a rileggere pure voi, deridevo gustosamente gli strali lanciati da un prete che addirittura paragonava Halloween alla pedofilia.
Oggi, puntualissima, ritrovo un'altra bella raccolta di illuminati ragionamenti sulla questione, sempre frutto di arguti e sensati ragionamenti.
Qualche stralcio:
Chiesa, allarme Halloween
Ma questo è solo il titolo, opera del titolista. Allora passiamo al virgolettato:
Attenzione alla pseudo festa di Halloween esaltata il 31 ottobre come un apparente carnevalata mentre nasconde un grande rituale satanico collettivo
E poi:
Il sistema imposto di Halloween proviene da una cultura esoterico-satanica in cui si porta la collettività a compiere rituali di stregoneria, spiritismo, satanismo che possono anche sfociare in alcune sette in sacrifici rituali, rapimenti e violenze

Una cultura di morte viene promossa anche con Halloween dove il mondo dei minorenni è il più a rischio ed esposto


La morte infatti non va esorcizzata anche con queste sagre. Essa va affrontata nella crudezza della sua realtà.

E infine:
"Se proprio non fosse evitabile, la festa di Halloween poteva trovare spazio in altra data. La sovrapposizione smaschera la chiara intenzione di soppiantare la festa di tutti i Santi e quella consecutiva dei defunti”. Questa, per mons. Zenti, “è sopraffazione. Che è di altra natura rispetto ai valori della democraticità. Con il fondato timore che la stessa protesta si risolva in un boomerang: potrebbero accusare chi protesta di intolleranza. E anche questa logica iniqua sa di dittatura."
Allora, facciamo così: oggi pomeriggio, intorno al tramonto, Revigliasco Torinese (il paese in cui abito) verrà invaso da bambini mascherati e gioiosi perlopiù accompagnati da mamme, che andranno in giro a chiedere a negozianti e abitanti qualche caramella, sotto la minaccia di chissà quali sadiche ritorsioni (Dolcetto o scherzetto).
Bene, vengano questi imbecilli (perché sono degli imbecilli, non ci sono santi) a vedere quanto aleggi la cultura di morte, il satanismo o addirittura la logica che sa di dittatura in quella frotta di vampiri, streghette e zucche arancioni.

PS A proposito di zucche: ne ho preparata una meravigliosa. Stasera se riesco la fotografo e poi la pubblico qui. Non è bella come quella dell'immagine qui sopra, ma se lo merita comunque.

30 ottobre 2008

"Picchiarli a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano"

Non vorrei parlare molto di politica in questo blog, che vorrebbe essere più che altro uno svago dedicato ai miei passatempi.
Però ogni tanto le palle mi girano tanto, ma talmente tanto, che non riesco a farne a meno.
Qualche giorno fa parlavo delle criminali parole dell'ex Presidente della Repubblica ("emerito" dovrebbe essere).
Ieri, quelle che qualcuno bollava come innocue farneticazioni di un ottantenne, hanno iniziato a concretizzarsi. Quaggiù un resoconto dettagliato dei fatti di ieri a Roma, Piazza Navona.

La scuola di partito

Mentre da genitore assisto sconfortato al lucido e determinato sfascio della scuola pubblica, la primaria (elementari) prima di tutto, ma solo perché ne sono direttamente coinvolto, ché il lavoro di asfissia che si vuole portare a superiori e Università non è certo da meno, mi chiedo perché diavolo si stia operando in questo modo allucinante e umiliante per chiunque abbia la bella pretesa di volere fare un qualche ragionamento, una discussione, un confronto.
La cosiddetta "Riforma Gelmini" è un intervento sconvolgente su uno degli aspetti più delicati e sensibili di una qualsiasi Società, l'Istruzione scolastica, ed è stato fatto senza chiedere non solo il parere di chi in Italia le leggi le dovrebbe fare, il Parlamento, ma neanche di chi la scuola la conosce, ci lavora, la gestisce, la sostiene.
Niente.
Una rivoluzione imposta dall'alto, con una prepotenza arrogante e sorda ad ogni obiezione, che potrebbe alla lunga rivelarsi una pessima mossa dal punto di vista politico, quando, ora di tornare alle urne, si potrà constatare con mano quali sono stati gli effetti di un'azione non voluta da una fetta enorme dell'elettorato.
E allora, mi chiedo, perché? Perché uno dei governi più demagoghi della storia, non solo italiana, rischia di apparire così impopolare, di fare del male proprio a quei centri fondanti della democrazia italiana, come li chiamano loro, che sono le famiglie? D'altronde si sa, come siamo fatti: toccaci quello che vuoi, toccaci i portafogli, toccaci la cultura, toccaci pure le convinzioni religiose, ma non ci toccare i figli, ché, sai com'è, pure le pecore diventano aggressive se gli tocchi i figli.
Ma allora qual è la strategia a lungo termine? Si presentano gli scenari più foschi, e nel porsi questa domanda, nel cercare di trovare una risposta, vengono addirittura in aiuto parole dette quasi 60 anni fa, con una lungimiranza che fa paura. Solo che un tempo certi ragionamenti avevano addirittura l'effetto di porre dei freni alle azioni dei politici e alle scelte degli elettori.
Ora non più, le coscienze sono addormentate, se ancora sono vive.
Il discorso lo fece nel 1950 Piero Calamandrei, un padre costituente e disse così:
Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime... Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico

24 ottobre 2008

Marta Sui Tubi - Sushi & Coca

Più che altro una segnalazione, anche se il disco meriterebbe più attenzione.
[Più che altro perché, durante la solita mia pausa del fine settimana, non rimangano come primo post del blog le delinquenti e schifose dichiarazioni di Cossiga]
È uscito da qualche settimana l'ultimo album dei Marta sui Tubi un trio di origini siciliane ma di stanza a Milano (amata ed odiata, come si evince da diverse loro canzoni).
L'organico è praticamente voce+chitarra - chitarra - batteria - tastiere (Hammond). Sul loro precendente disco una nota diceva qualcosa tipo "Nessun basso é stato utilizzato per la registrazione di questo album", tipo le etichette dei cosmetici cruelty-free.
In effetti pure stavolta il basso è assente, e tutto si regge su complicati arpeggi di chitarra e vocali, a creare originali trame che, pur sconfinando addirittura in pezzi degni del migliore math-rock, lasciano sempre una sensazione di canzoni orecchiabili e poco più che pop.
Un ottimo disco (come ottimo era pure il precedente C'è gente che vuole dormire), a testimoniare che la musica italiana magari agonizza, ma non è ancora morta.
Tra l'altro sono in tour.
Vedeteveli.

23 ottobre 2008

Ma dico, siamo scemi?

L'ex Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, in una intervista, oggi:

Quali fatti dovrebbero seguire?
Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interni.
Ossia?
In primo luogo lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito.
Gli universitari invece?
Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città.
Dopo di che?
Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri.
Nel senso che...
Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano.
Anche i docenti?
Soprattutto i docenti.
Presidente il suo è un paradosso, no?
Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì.

Vorrei che fosse uno scherzo, ma è tutto vero.

22 ottobre 2008

The Köln concert - ancora un aneddoto

In questo articolo si parla ancora del concerto di Colonia di Keith Jarrett del 1975. Ne avevo scritto un post l'anno scorso.
Si ri-racconta della serie di sfortunati eventi che lo precedettero, del fatto che quella tournee fosse una cura disintossicante dal periodo con Miles Davis che lo aveva piazzato dietro ad un organo elettrico, si sottolinea come ancora oggi, a 33 anni di distanza si possa godere a pieno del frutto di una creazione estemporanea, di per sé irripetibile.
A questo proposito si fa notare (io non me ne ero mai accorto), che le primissime memorabili note del concerto sono sottolineate da alcune risate del pubblico. Molto lievi, ma ci sono.
Il motivo è che quelle note erano le stesse della musichetta suonata dal teatro per richiamare il pubblico in sala all'inizio o dopo l'intervallo di un concerto.
Jarrett, a cui neppure le vicissitudini di quei giorni avevano levato il buonumore, inizia il concerto scherzosamente, citando proprio quel cicalino. E il pubblico ride divertito.
Poi ammutolisce ammirandone l'evoluzione per il resto del tempo.

Questo aneddoto sottolinea ancora di più il valore di assoluta improvvisazione di quell'ora abbondante di musica, creata letteralmente sotto gli occhi degli spettatori. Come ha più volte spiegato, Keith Jarret non ha la minima idea di cosa suonerà quando si siede per quei concerti solisti. Butta giù qualche nota, poi ne segue il flusso di coscienza per il resto del concerto.
Miracoli improvvisativi irripetibili. E fortunati noi a vivere nell'epoca delle registrazioni.

Aggiornamento del 23/10 (quei pensieri che ti vengono poco dopo avere pubblicato il post): Provo a pensare al tizio che ha scritto o comunque composto quel jingle. Voglio dire, ci sarà una persona che ha detto: "Allora, per richiamare la gente in sala diffondiamo un segnale acustico fatto così" e ha buttato giù quelle 5 note, da-da-da-da-daaa.
, quella persona ha visto la sua piccola musichetta diventare lo spunto per un capolavoro indimenticabile.
Figo, no?

21 ottobre 2008

Iconoclastìa

Carlotta, guardando la copertina del libro qui a lato:
-Io se avessi un papà così non gli parlerei neanche
-Però ha fatto delle musiche bellissime
-Sì, però a me fa schifo

Tiè, Miles, ciapa lì.


No dai, Miles, non te la prendere, non ha neanche 5 anni.
Lo sai che io ti adoro.

Wall-E

Con film come questo si gode appieno del privilegio di potere accompagnare dei bambini a vedere un film Walt Disney. Voglio dire, entrare in una sala cinematografica gremita di bambini, con pop-corn sparso ovunque, con nessun adulto non accompagnato da qualche moccioso e con la prospettiva di assistere ad un film di animazione fantascientifica di cui si parla benissimo, è una sensazione che scova e tira fuori a forza il pre-adolescente che si cela in qualsiasi uomo adulto, per quanto compassato possa apparire.
E così, nel più classico dei pomeriggi domenicali, mi sono pienamente abbandonato (con tanto di risate e oohhh ad alta voce) al piacere di assistere a quello che penso sia un vero capolavoro.
La trama dovrebbe essere già abbastanza conosciuta, comunque in poche parole si tratta della storia di un robottino, Wall-E, rimasto a raccogliere e imballare rifiuti di una terra ormai abbandonata dall'uomo e da ogni altra specie vivente. Questo lavoro prosegue sempre uguale per 700 anni, durante i quali Wall-E acquisisce personalità ed una passione per il collezionismo di oggetti strani scovati tra i rifiuti. Il suo tran-tran viene sconvolto dall'arrivo di EVE, un'altro robottino dai tratti elegantissimi ed efficentissimi[*] (a paragone con l'aspetto sgangherato di Wall-E). E qui comincia l'avventura...
Ogni volta che vedo un nuovo film di animazione resto stupefatto dal livello eccelso raggiunto dalla grafica, ma questa volta siamo davvero a livelli pressoché perfetti. Poi sicuramente lo dirò di nuovo col prossimo film, ma sinceramente fatico a pensare come si possa ancora migliorare l'mpressione di fantastico realismo (non so se mi spiego) che dà la visione di queste scene.
Come spesso (sempre) capita coi film di Walt Disney ci sono anche un paio di buone morali di fondo, ottime per dare l'occasione, ritornando a casa dopo il film, di un bel discorso che inizi con "Vedete bambini cosa succede se...", e sono legate all'eccesso di produzione di rifiuti, alla vita sedentaria, al rispetto della vita...
Le citazioni di film di fantascienza si sprecano, primo su tutti quel capolavoro quarantennale che fu 2001 Odissea nello spazio, ma anche Star Trek, Io sono leggenda e pure Manhattan di Woody Allen (e chissà quante altre che non ho colto) e come sempre hanno il compito di rendere più divertente la visione agli adulti che inevitabilmente accompagnano i pargoli al cinema.
L'intreccio della storia infine è abbastanza semplice e tutto sommato prevedibile, ma in fondo non bisogna dimenticare che questo è un film per bambini. In certi momenti può sembrare incredibile, ma è così.
A rendere infine appetibile il film pure alle mamme (che notoriamente sono meno avvezze alla fantascienza pura), c'è pure una bella dose di simpatico romanticismo nella strampalata storia d'innamoramento tra Wall-E e EVE.
Insomma, se avete figli portateli a vederlo, se non ne avete convocate i nipotini, i cuginetti di terzo grado, oppure fregatevene, celate l'imbarazzo, e andate da bravi adulti senza bambini a seguito, ma andate a vederlo. Ne vale davvero la pena.

[*] I tratti di EVE sono sfacciatamente in stile Apple, sembra di ammirare un'evoluzione futura dell'I-pod. Ma si sa, tra Walt Disney-Pixar e Apple è tutto un magna-magna...

17 ottobre 2008

Andrea Bove - Stagista a 40 anni

Andrea è un mio Amico (A maiuscola non casuale). Lo dico subito per evitare polemiche o spiritose scoperte dell'acqua calda. Però questo non mi spingerebbe a parlare bene di un suo libro se non fossi convinto che se lo merita. Piuttosto farei finta di niente e starei zitto (aurea regola che cerco sempre di seguire, da sempre).
Andrea ha avuto una vita che per certi versi si potrebbe definire avventurosa, almeno a confrontarla con altri e ben diffusi percorsi che, passando dalla scuola nei suoi vari gradi, approdano ad un impiego lavorativo più o meno stabile, più o meno soddisfacente.
Lui era più ambizioso, o meglio: a sentire lui, l'oggettiva dote di alcuni talenti lo ha convinto di essere destinato ad un grande futuro, così, per grazia ricevuta, a prescindere dal pagamento del proverbiale pegno in forma di sangue&sudore che queste mire richiedono (eppure anche lui, come tutti quelli della nostra generazione, deve avere visto più e più volte la sigla di Saranno Famosi con il celebre cazziatone della prof. di danza: "Voi avete sogni ambiziosi...successo...fama... ma queste cose costano.... ed è proprio qui che incominciate a pagare.... col sudore!!!").
Fatto sta che invece la vita, che si sa, è stronza e meretrice, invece di porgergli gli allori che lui si aspettava, ha preso a rifilargli una serie di sonori ceffoni che pian piano lo hanno convinto a ben più miti consigli, fino a costringerlo ad adattarsi a fare lo stagista, come fanno tanti giovani che scalpitano all'ingresso del mondo del lavoro. A lui però succede quarant'anni, come dice il titolo.
A prima vista questo libro potrebbe sembrare un atto di denuncia al sistema lavorativo (e probabilmente la scelta dell'editore di favorire l'equivoco non è casuale). In realtà Andrea per buona parte del libro invece biasima se stesso e le sue indoli, a volte troppo modeste e a volte troppo presuntuose, che lo hanno ridotto così. Ed è severo, molto severo con se stesso, forse fin troppo, considerando che purtroppo (o per fortuna) noi della nostra vita siamo artefici e responsabili, sì, ma quelle cose che popolarmente si chiamano culo e sfiga, alla fine hanno comunque un peso determinante nel dipanarsi dei destini. Però si sa,  quando si prende una batosta si tende a leccarsi le ferite e a fare un grosso, probabilmente eccessivo, esercizio di umiltà.
Però io Andrea stiamo raccontando tutta la storia.
Io rimedio subito dicendo che questo libro è poi alla fine ben lontano da essere un cupo mea culpa. È brillante e pure divertente a tratti, perché l'autoironia non è certo dote che manchi all'autore, e così tutto sommato è tutto un prendersi in giro e un cercare sempre di rivoltare la medaglia dal lato dritto, con sorrisi e gustosi aneddoti sulle sue strambe esperienze lavorative che mettono in risalto il lato accattivante e di piacevole compagnia del suo carattere.
E pure interessanti sono le tre postfazioni affidate a tre imprenditori (più o meno: due lo sono in senso tradizionale, l'altro è Madaski, leader di se stesso e degli Africa Unite) che tirano qualche scappellotto all'arrendevole e rassegnato autore.
Invece Andrea non ci racconta di come, nonostante le sue vicende, abbia deciso di intraprendere la strada della scrittura, altro ambiente che sicuramente condivide con quello della musica la forma dell'iceberg.
Da questo lato è stato un nuovo ritorno a galla, un cimento folle e sconsiderato, altro che mite rassegnazione. Tanto quanto pubblicare un disco, per dire, ma che ancora una volta un piccolo successo se l'è guadagnato, magari di nuovo transitorio, ma pur sempre un altro successo (per chi non lo sapesse l'esperienza musicale di Andrea, ben raccontata nel libro, aveva partorito un CD di piccolo ma benaugurante successo).
E ora, visto che, come dicevo in apertura, Andrea è mio amico, un piccolo consiglio mi permetto pure di darglielo: Andrè, bravo sei bravo, e l'hai di nuovo dimostrato. Però adesso basta guardarsi l'ombelico, ok?

16 ottobre 2008

Cosa strana i sogni

Stamattina, durante il dormiveglia che mi concedo tra il primo suono della sveglia e il suo definitivo richiamo, la mia mente, vagando per pensieri sconnessi ma nitidissimi, ha prodotto questa immagine:
In città, un cantiere stradale opera su una rotonda. Probabilmente i lavori sono terminati e il cantiere sta smantellando, infatti un operaio piuttosto robusto, in tuta blu e maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti, raccoglie i coni di segnalazione a strisce bianche e rosse intorno alla rotonda, infilandoli uno dentro l’altro. Mentre sta per raccogliere il terzo o quarto, improvvisamente si ferma: infilato sull’apertura alla sommità del cono a terra, c’è un fiore rosso, forse un garofano. Se infilasse il cono dentro a quelli già raccolti che imbraccia con la mano sinistra come stava per fare, lo schiaccerebbe. Allora, con la mano libera lo raccoglie e cerca di infilarselo in una tasca, o meglio, in un occhiello della tuta, ma il gambo del fiore è troppo lungo.

Sarebbe bello capire perché la mia mente abbia prodotto questa immagine. Psicologi, avanti.