10 luglio 2007

Bachi da pietra - non io

Esiste un sottobosco nascosto nella musica italiana. E questo sottobosco brulica, cresce, formicola, più vivo del panorama dei più celebri artistoni nostrani. E oltre a patetiche scimmiottature delle star più famose, produce esemplari strani, bizzarri, curiosi, e qualcuno pure qualcuno magnifico.
Tra questi ci sono sicuramente i Bachi da Pietra, un duo di Novi Ligure (AL) che suona un blues d’autore cupo e malato, pochi suoni, chitarre e percussioni, voce spesso sussurrata, atmosfere a volte simili ai Massimo Volume, ma dal tono decisamente più scuro.
Lo confesso, al primo ascolto la prima reazione non è stata positiva, l’ho trovato davvero palloso. Ma questo è un problema mio, mi è capitato spesse volte di avere questa prima impressione, poi sostituita da un crescente entusiasmo nelle successive passate.
E pure questa volta è stato così, pian piano mi sono ritrovato a crogiolarmi nel torpore di quelle canzoni, una volta assuefatto alle bizzarre strutture dark del disco, ho incominciato ad apprezzarlo, ad appassionarmi e a goderne la fattura davvero ottima.
Alla fine penso che sia un disco davvero buono, un po’ ostico, ma che superata l’iniziale difficoltà si rivela di certo uno dei miei migliori ascolti in questo 2007. E mi fa pure piacere pensare che una volta tanto è una scoperta che viene da così vicino.

5 luglio 2007

I 9 racconti di J.D. Salinger

Scoprire nel 2007, a 37 anni poi, che questo libro è un capolavoro, non è certo una cosa di cui vantarsi, ma a me è capitato proprio così. L’ulteriore aggravante, è che questo l’avevo già letto in un’età più opportuna, ma allora non lo avevo apprezzato, credo perché lo avevo affrontato sullo slancio dell’entusiasmo per Il giovane Holden, a mio avviso più gradevole per un wanna-be adolescente ribelle.
Nick Hornby, in Una vita da lettore definisce questi racconti semplicemente perfetti, e penso che abbia ragione sotto molti punti di vista, ma l'aspetto che più ha affascinato me è la tecnica adottata in 6 dei nove racconti che consiste nell’iniziare la narrazione come se una telecamera venisse accesa in un determinato istante, apparentemente casuale, venisse poi usata per riprendere la scena e quindi spenta alla fine, senza aver fatto alcuna digressione nel passato, senza nessuno scarto temporale, senza alcun inciso didascalico che descriva in qualche modo il contesto in cui si svolge la scena al centro della narrazione.
Questo modo di scrivere i racconti non è certo esclusiva di Salinger, ma lui riesce a farlo con una precisione chirurgica difficilmente eguagliata (forse un altro del suo livello è Capote). Con questa tecnica noi veniamo portati improvvisamente nel mezzo di una scena, senza alcuna informazione pregressa riguardo ai personaggi, alla loro vita, alla loro condizione e riusciamo a percepire poco per volta i dettagli che l’autore ha ritenuto indispensabili tramite indizi nelle conversazioni che ascoltiamo, nei particolari della scena che viene descritta, assieme ad altri dettagli casuali, forniti solo perché fanno parte della ripresa.
La maestria di Salinger è quindi quella di darci in modo solo apparentemente casuale, le informazioni che ci servono per comprendere che quello descritto non è mai un momento banale, come se la telecamera venisse veramente accesa in un attimo casuale, ma che si tratta invece di un istante determinante per la vita dei personaggi, le cui implicazioni, anche se pure queste non vengono esplicitamente descritte, sono sempre di una profondità vertiginosa, se non addirittura fatali (in un paio di casi).

Ho letto il libro in nove sere, sempre a letto prima di addormentarmi, e mai come in questi casi mi sono ritrovato a spegnere la luce e a trovarmi a vivere ancora un po’ assieme a Teddy, a Seymour, a Sybil, a Eloise… tanta era la precisione, la perfezione (ha ragione da vendere Hornby) con cui ero stato introdotto a fare da spettatore nella loro vita.

3 luglio 2007

Chiacchiere da spiaggia

-Papi, perché il mare è salato?
-Papi, perché la spiaggia è fatta di sabbia?

Sono imbarazzanti queste curiosità, viene la tentazione di liquidarle con un “Non lo so” (che per quanto mi riguarda è l’unica risposta vera), oppure con qualcosa tipo “Quando sarai grande lo capirai”. I manuali di pedagogia spicciola consigliano la tecnica dell’inversione causa-effetto, tipo “Il mare è salato perché altrimenti i pesci del mare morirebbero” oppure “La spiaggia è fatta di sabbia altrimenti non sarebbe una spiaggia”. Sono risposte sciocche dal punto di vista logico, eppure coi bambini, che logici non sono, funzionano quasi sempre ed interrompono le temibili catene dei perché che porterebbero a impossibili escursioni verso la geologia, l’archeologia, la fisica della materia, la fisica delle particelle fino al big-bang e oltre.

Quando mi ritrovo di fronte a queste situazioni, la soluzione ideale sarebbe potere rispondere che le cose sono così perché Dio ha voluto che fossero così durante la famosa settimana della Genesi. Se fossi credente non ho dubbi che farei così, pure se fossi un credente che ammette il valore allegorico della Bibbia in almeno questi passi. In tal caso mi rifugerei tranquillamente nelle più che soddisfacenti spiegazioni della cosmogonia per bambini, quelle che prevedono l’azione di un essere onnipotente, magico, con incredibili superpoteri in grado di placare la sete di sapere del bambino più curioso, delegando poi alla loro maturità l’affinamento delle spiegazioni.

Eppure io, per mia natura e per il mio modo di vedere le cose, non ho alcuna possibilità di risolvere la questione in questo modo e devo arrabattarmi con una delle tecniche di cui sopra, ben tenendo presente che quegli occhioni che ti guardano dal basso verso l’altro non hanno grosse pretese, ma non possono neppure essere delusi, e questa è una delle tante responsabilità che comporta l’essere i sapienti della situazione.

La riflessione che queste situazioni mi provocano la voglio però riportare. In fondo l’efficacia della risposta teologica a queste domande non è altro che l’origine delle religioni. Quando l’uomo era bambino (rispetto alle conoscenze attuali) aveva ovviamente le stesse curiosità che hanno i miei figli, e tutto sommato gli stessi strumenti per soddisfarle. Logico che all’alternativa “nessuna risposta” fosse preferibile l’opzione “demiurgo”, piuttosto che arrendersi ed ammettere l’incapacità a dare una risposta soddisfacente, se ne inventa una di comodo. Tutto sommato la religione è anche una questione di orgoglio.