30 maggio 2008

A braghe calate

Ieri sera, al Tg1 il Vincenzo Mollica intervistava Francesco De Gregori in occasione dell'uscita del suo nuovo album. Come al solito le lodi del marchettaro "giornalista" sono state sperticate, "uno dei dischi più importanti e belli della sua carriera", ha detto. Ma si sa, il Mollica tesse lodi per tutti, quindi non si può avere la più pallida idea di quanto sia effettivamente bello ciò di cui parla.
Nel corso del mini spot, Mollica ha chiesto poi conto a De Gregori di una sua intervista in cui ha dichiarato che Berlusconi merita fiducia nello sforzo che sta compiendo per riformare l'Italia. La sua risposta è stata che lui, pur rimanendo di sinistra non sente di avere un tale vincolo di appartenenza da impedirgli di dire che gli va o non gli va qualcosa. E più che altro che, constatando che Berlusconi ha vinto le elezioni con larga maggioranza, non si sente di augurarsi che governi male e porti alla rovina il paese, ma che invece non può che augurarsi che si ponga al servizio del paese, che governi bene e che possa essere riconosciuto come un bravo governante.

Bene, bravo. E ci mancherebbe, non è che si faccia un gran esercizio di elasticità mentale a sperare che le cose vadano bene invece che male. Pure Massimo Catalano approverebbe.

Però.
Però mi viene da pensare che il buon Francesco, a cui piace gigioneggiare nel fare l'artista libero da logiche commerciali, non sia poi così ingenuo da non sapere che una sua affermazione del genere, per quanto ovvia e banale, non possa non avere una grossa risonanza sui media. E che pure questa sua dichiarazione non possa non essere interpretata come una sorta di apertura ad una parte politica che fino ad ora era in qualche modo considerata avversa (sempre in termini politici, non personali, ovvio).

Al di là di un forte (e legittimo, perdonami Francesco) sospetto di "mossa commerciale" fatta a ridosso dell'uscita del suo nuovo disco, questo atteggiamento mi pare l'ennesima calata di braghe di fronte ai risultati elettorali del 13-14 aprile scorso. Voglio dire, ultimamente mi capita spesso di sentire gente che presumevo avesse delle forti convinzioni e dei solidi ideali, arrendersi senza vergogna di fronte alla solita constatazione che "gli italiani hanno scelto così e ogni altra posizione è fuori dalla realtà".
Il popolo in una democrazie è sovrano. Vero, anzi sacrosanto.
Però il popolo, si sa, è pure bove. Cioè, potete dirmi quello che volete, ma che proprio debba essere seguito in ogni suo isterismo o capriccio, non mi pare il caso.
Anzi, io resto tutto sommato dell'opinione che chi del paese ha responsabilità di governo (e "governare" significa "condurre") abbia il dovere di non essere così succube alla sua volontà quanto stanno facendo non solo quelli che hanno vinto le elezioni, che forse ne avrebbero pure il dovere, ma pure quelli che le elezioni le hanno perse.
Insomma, ero convinto che una certa classe dirigente che comprende sia i dirigenti propriamente detti che quella quota di persone che dovrebbero costituire l'anima pensante del paese, gli intellettuali, dovesse essere considerata l'eccellenza, e che avesse la funzione di ammonire noi, il popolo, che certe nostre intemperanze non sono accettabili e che l'atteggiamento giusto dovrebbe essere un altro.
E invece tutti, chi per convenienza, chi per ottusità, si stanno adeguando al refrain di "non avete capito i problemi della gente" che sta giustificando ogni tendenza populista che ormai sembra essere diventato l'unico metro di giudizio nelle azioni intraprese o da intraprendere.

E mi fa un po' di tristezza vedere che pure una persona come De Gregori, che motivo non ne avrebbe, si stia piegando a questa tendenza con la stessa arrendevolezza che sta manifestando tutta quella che una volta in Italia si chiamava Sinistra e che ora ha talmente paura del proprio insuccesso da non rendersi conto che non sempre, anzi quasi mai, la ragione sta nei grandi numeri.

Come vanno le cose qua

Stamattina, venendo al lavoro, mi sono preso la briga di scattare tre foto al Po in piena (che al di là dei disastri che può comportare, è sempre uno spettacolo suggestivo). I murazzi sono allagati, ma l'acqua scorre ancora abbondantemente sotto le arcate dei ponti.

29 maggio 2008

Sigur Rós nudisti aggratis

Pure i Sigur Rós cavalcano l'onda della promozione tramite regali. In pratica anche loro mettono a disposizione per il download il primo brano del nuovo album.
In più si può anche vedere il video di questo pezzo. Carino, pieno di gente che saltella e gioca nuda per i boschi.
Nuda nuda, eh, come mamma li fece (a parte qualche scarpetta, indispensabili anche per gli aspiranti elfi che desiderano zompettare tra spine e sassi).
Qui si trova tutto, sia il video che la possibilità di ottenere il singolo.

28 maggio 2008

Nervi a posto, gente!

Ho la bruttissima impressione che si stia prendendo una terribile deriva:

Una madre ha denunciato, stamani, alla polizia il rapimento del proprio figlioletto di 3 anni, mentre si trovava all'interno del negozio di brocante 'Salvagente', di zona san Martino a Sanremo, mobilitando la polizia, anche se poco tempo dopo si e' scoperto che il piccolo stava bene e si era soltanto nascosto dentro un armadio.

Preoccupata alla vista di alcune persone sospette, che sembravano nomadi e non vedendo piu' il bambino, la donna si e' subito messa a gridare aiuto, richiamando l'attenzione della proprietaria che ha cosi' chiamato il 113.

Sul posto e' intervenuta una pattuglia della polizia. Alla fine, si e' scoperto che il piccolo si era nascosto dentro un armadio, forse perche' consapevole del guaio che aveva combinato, aveva paura di 'prendersele' dal genitore. Gli agenti, tra l'altro, avevano gia' iniziato a perlustrare un vicino torrente alla ricerca di eventuali campi nomadi.

L'articolo originale è qui.

23 maggio 2008

I Rom nella cattolicissima Italia

Faccio un po' di copia-incolla.
Prima questa vignetta qua...



... che immediatamente contraddico riportando l'articolo di un sacerdote di quelli che sanno vivere veramente i messaggi del tizio inchiodato qui sopra, Don Luigi Ciotti:




[Don Luigi Ciotti • 17.05.08] Pubblichiamo il commento di don Luigi Ciotti alla foto pubblicata sullo sgombero dei rom di Ponticelli. Articolo apparso su «l'Unità» del 16 maggio 2008. «Cara signora, ho visto questa mattina, sulle prime pagine di molti quotidiani, una foto che La ritrae. Accovacciata su un furgoncino aperto, scassato, uno scialle attorno alla testa. Dietro di Lei si intravedono due bambine, una più grande, con gli occhi sbarrati, spaventati, e l'altra, piccola, che ha invece gli occhi chiusi: immagino le sue due figlie...».

Cara signora, ho visto questa mattina, sulle prime pagine di molti quotidiani, una foto che La ritrae. Accovacciata su un furgoncino aperto, scassato, uno scialle attorno alla testa. Dietro di Lei si intravedono due bambine, una più grande, con gli occhi sbarrati, spaventati, e l'altra, piccola, che ha invece gli occhi chiusi: immagino le sue due figlie. Accanto a Lei la figura di un uomo, di spalle: suo marito, presumo. Nel suo volto, signora, si legge un'espressione di imbarazzo misto a rassegnazione. Vi stanno portando via da Ponticelli, zona orientale di Napoli, dove il campo in cui abitavate è stato incendiato. Sul retro di quel furgoncino male in arnese - reti da materasso a fare da sponda - una scritta: «ferrovecchi».

Le scrivo, cara signora, per chiederLe scusa. Conosco il suo popolo, le sue storie. Proprio di recente, nei dintorni di Torino, ho incontrato una vostra comunità: quanta sofferenza, ma anche quanta umanità e dignità in quei volti. Nel nostro paese si parla tanto, da anni ormai, di sicurezza. É un'esigenza sacrosanta, la sicurezza. Il bisogno di sicurezza ce lo abbiamo tutti, è trasversale, appartiene a ogni essere umano, a ogni comunità, a ogni popolo. É il bisogno di sentirci rispettati, protetti, amati. Il bisogno di vivere in pace, di incontrare disponibilità e collaborazione nel nostro prossimo. Per tutelare questo bisogno ogni comunità, anche la vostra, ha deciso di dotarsi di una serie di regole. Ha stabilito dei patti di convivenza, deciso quello che era lecito fare e quello che non era lecito, perché danneggiava questo bene comune nel quale ognuno poteva riconoscersi. Chi trasgrediva la regola veniva punito, a volte con la perdita della libertà. Ma anche quella punizione, la peggiore per un uomo - essendo la libertà il bene più prezioso, e voi da popolo nomade lo sapete bene - doveva servire per reintegrare nella comunità, per riaccogliere. Il segno della civiltà è anche quello di una giustizia che punisce il trasgressore non per vendicarsi ma per accompagnarlo, attraverso la pena, a un cambiamento, a una crescita, a una presa di coscienza.

Da molto tempo questa concezione della sicurezza sta franando. Sta franando di fronte alle paure della gente. Paure provocate dall'insicurezza economica - che riguarda un numero sempre maggiore di persone - e dalla presenza nelle nostre città di volti e storie che l'insicurezza economica la vivono già tragicamente come povertà e sradicamento, e che hanno dovuto lasciare i loro paesi proprio nella speranza di una vita migliore.

Cercherò, cara signora, di spiegarmi con un'immagine. É come se ci sentissimo tutti su una nave in balia delle onde, e sapendo che il numero delle scialuppe è limitato, il rischio di affondare ci fa percepire il nostro prossimo come un concorrente, uno che potrebbe salvarsi al nostro posto. La reazione è allora di scacciare dalla nave quelli considerati "di troppo", e pazienza se sono quasi sempre i più vulnerabili. La logica del capro espiatorio - alimentata anche da un uso irresponsabile di parole e immagini, da un'informazione a volte pronta a fomentare odi e paure - funziona così. Ci si accanisce su chi sta sotto di noi, su chi è più indifeso, senza capire che questa è una logica suicida che potrebbe trasformare noi stessi un giorno in vittime.

Vivo con grande preoccupazione questo stato di cose. La storia ci ha insegnato che dalla legittima persecuzione del reato si può facilmente passare, se viene meno la giustizia e la razionalità, alla criminalizzazione del popolo, della condizione esistenziale, dell'idea: ebrei, omosessuali, nomadi, dissidenti politici l'hanno provato sulla loro pelle.

Lo ripeto, non si tratta di "giustificare" il crimine, ma di avere il coraggio di riconoscere che chi vive ai margini, senza opportunità, è più incline a commettere reati rispetto a chi invece è integrato. E di non dimenticare quelle forme molto diffuse d'illegalità che non suscitano uguale allarme sociale perché "depenalizzate" nelle coscienze di chi le pratica, frutto di un individualismo insofferente ormai a regole e limiti di sorta.

Infine di fare attenzione a tutti gli interessi in gioco: la lotta al crimine, quando scivola nella demagogia e nella semplificazione, in certi territori può trovare sostenitori perfino in esponenti della criminalità organizzata, che distolgono così l'attenzione delle forze dell'ordine e continuano più indisturbati nei loro affari.

Vorrei però anche darLe un segno di speranza. Mi creda, sono tante le persone che ogni giorno, nel "sociale", nella politica, nella amministrazione delle città, si sporcano le mani. Tanti i gruppi e le associazioni che con fatica e determinazione cercano di dimostrare che un'altra sicurezza è possibile. Che dove si costruisce accoglienza, dove le persone si sentono riconosciute, per ciò stesso vogliono assumersi doveri e responsabilità, vogliono partecipare da cittadini alla vita comune.

La legalità, che è necessaria, deve fondarsi sulla prossimità e sulla giustizia sociale. Chiedere agli altri di rispettare una legge senza averli messi prima in condizione di diventare cittadini, è prendere in giro gli altri e noi stessi. E il ventilato proposito di istituire un "reato d'immigrazione clandestina" nasce proprio da questo mix di cinismo e ipocrisia: invece di limitare la clandestinità la aumenterà, aumentando di conseguenza sofferenza, tendenza a delinquere, paure.

Un'ultima cosa vorrei dirLe, cara signora. Mi auguro che questa foto che La ritrae insieme ai Suoi cari possa scuotere almeno un po' le nostre coscienze. Servire a guardarci dentro e chiederci se davvero questa è la direzione in cui vogliamo andare. Stimolare quei sentimenti di attenzione, sollecitudine, immedesimazione, che molti italiani, mi creda - anche per essere stati figli e nipoti di migranti - continuano a nutrire.

La abbraccio, dovunque Lei sia in questo momento, con Suo marito e le Sue bambine. E mi permetto di dirLe che lo faccio anche a nome dei tanti che credono e s'impegnano per un mondo più giusto e più umano.

Luigi Ciotti
presidente del Gruppo Abele e di «Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie»



(l'originale qua)

22 maggio 2008

Brian Eno & David Byrne - My Life In The Bush Of Ghosts

My Life In The Bush Of Ghosts ovvero: quando due geni si incontrano (e l'aria che tira tra loro è ottima).
L'ho sempre un po' temuto questo disco; se ne parla tanto in giro, viene definito un capolavoro, ma di genere sperimentale e piuttosto cerebrale, per cui confesso che pensavo di dovermi trovare in chissà quale stato di grazia per potere affrontare un tale mattone.
E invece mi sbagliavo, e di grosso pure.
L'approccio è sperimentale, vero, ma il buon gusto dei due personaggi è talmente alto che non ci sono mai passaggi sgradevoli o intellettualisticamente ostici.
L'idea di fondo è questa: la nostra esistenza (si noti che stiamo parlando del 1980) è bombardata da suoni e voci provenienti dalle fonti più disparate, non solo tv e radio, ma pure altoparlanti ai supermercati, negli ascensori, dall'impianto del vicino... e queste voci a loro volta declamano i messaggi più disparati, dalla pubblicità alle prediche religiose, agli annunci catastrofici, alle richieste di aiuto... Così alla fine, volenti o nolenti, ci troviamo al centro di queste voci tra di loro incoerenti e sconnesse, ma di cui più o meno direttamente siamo proprio noi i destinatari designati.
La coppia Eno&Byrne dunque realizza un disco in cui questi messaggi, sotto forma di registrazioni realizzate coi metodi più disparati (dai più sofisticati ai microfonini per strada), vengono posti al centro di tutti i brani, quasi appoggiati sopra le trame musicali che costituiscono l'ossatura dei pezzi. E qui sta la sorpresa: al di là di tanta concettualità la musica è assolutamente accattivante e godibile. Una sorta di funk ipertecnico eseguito da signori musicisti (gente come Bill Laswell, Robert Fripp, Busta Jones) che imbastiscono trame complicate e mai banali sempre restando nei territori del fruibile. E questa non è una contraddizione (complicazioni-fruibili) soprattutto grazie ad un semplicissimo trucco: le costruzioni vengono reiterate un numero talmente alto di volte che alla fine ci entrano in circolo e divengono perfino orecchiabili nonostante disparità e dissonanze.
La lunghezza dei brani è infine sempre entro i canonici confini del pop: tra i tre e i quattro minuti.
Questi sono grossomodo i principali ingredienti della ricetta. La differenza tra una buona idea e un capolavoro poi, si sa, la fanno i geni. E questi due lo sono, sicuramente.

12 maggio 2008

Bob Jabukovic - Una religione del tutto nuova

Un romanzo agile e leggero senza essere frivolo. In poche parole racconta cosa succede quando uno scrittore, considerato uno dei più grandi scrittori viventi (se non il più grande) decide di svolgere la sua attività in modo quasi ossessivamente segreto, nascosto alla curiosità di media e lettori, senza che di lui trapeli una sola informazione o immagine che non sia il contenuto dei suoi osannati libri. Questo breve romanzo (o lungo racconto…) racconta alcuni avvenimenti che si svolgono durante la stesura e poi la pubblicazione del suo attesissimo prossimo libro, “Una religione del tutto nuova”, appunto.

Oltre alla storia in sé, c’è poi una velenosa critica dei meccanismi più spudoratamente commerciali che si azionano intorno a quella che dovrebbe essere un’attività alta e culturalmente irreprensibile come la pubblicazione di un’opera letteraria e di cui, tutto sommato, siamo vittime tutti noi lettori, per quanto cerchiamo di sentirci più smaliziati o avveduti nel modo in cui spendiamo certi soldi.

Per quanto mi riguarda, per esempio, questo libro l’ho scoperto nella sezione “Narratori Underground” di una libreria. Già di per sé questa categoria lascia un po’ il tempo che trova. Il mondo editoriale è una di quelle piramidi con la base smisuratamente larga, a fronte di qualche dozzina di autori da milioni di copie la stragrande maggioranza ritiene un successone il raggiungimento delle migliaia (una o due). Per cui l’accezione Underground, che dovrebbe denotare una nicchia nascosta e dagli esigui volumi, in realtà descrive il 99,99% degli autori, e allora… alla faccia della nicchia. Però, al di là di questo, mi premeva sottolineare che io stesso, nell’acquisto di questo libro, sono stato facilmente attratto da una semplice etichetta che ha solleticato la mia simpatia (per gli sfigati destinati all’insuccesso commerciale) e la mia attenzione. La quarta di copertina ha poi fatto il resto.

Insomma, alla fine anche qui siamo in un modo o nell’altro vittime del marketing. Diciamo che dopo questo libro ne sono almeno un po’ più consapevole.

6 maggio 2008

NIN: Musica aggratis, e che musica

Che Trent Reznor non fosse del tutto normale (in senso buono, s'intende) se ne avevano già ben fondati sospetti. Tutta la carriera dei suoi Nine Inch Nails ne è una conferma.
Poi è entrato in conflitto con la Universal (la sua ex casa discografica) e invece di cambiare semplicemente casa, come fanno, a suon di battaglie legali milionarie, tutti gli altri musicisti del mondo, ha deciso di fare per conto suo.
Prima ha pubblicato un quadruplo album strumentale dei NIN (Ghosts I-IV) dandone l'anteprima gratuita sul suo sito, e ora ha messo a disposizione gratuitamente il nuovo album classico. Lo si può scaricare aggratis da questo sito semplicemente fornendo un indirizzo e-mail.
Sull'analoga iniziativa dei Radiohead, si era discusso parecchio sulla qualità degli mp3 forniti (erano dei 192kbs, il minimo indispensabile per un buon ascolto. Troppo poco, dicevano i puristi dell'Hi-Fi). Il buon Trent invece mette a disposizione ben quattro formati diversi, di cui uno di qualità addirittura superiore a quella del CD. Per tutti i gusti insomma.
Perché lo fa?
Perché ha fatto un ragionamento semplicissimo:
  • La musica si scarica gratuitamente comunque, non c'è protezione che tenga.
  • I guadagni diretti per il musicista legati alla vendita dei CD sono ridicoli.
  • Comunque il CD verrà prodotto, distribuito e venduto, per cui i cosiddetti feticisti del supporto fisico (quelli che, nonostante eMule, il disco lo vogliono avere) saranno accontentati, con conseguente soddisfazione economica (per quanto irrisoria, si diceva sopra) dell'autore. E sono pronto a scommettere che le vendite non caleranno poi di molto, in fondo l'alternativa tra download gratuito e acquisto ce l'abbiamo già per tutti i CD.
  • La pubblicità che deriva da questa iniziativa è enorme e gratuita.
  • Tutta questa manovra molto probabilmente si tradurrà in una serie di pienoni ai suoi concerti. E lì sì che i musicisti guadagnano davvero.
Insomma, mentre le case discografiche continuano a piangere le lacrime dei coccodrilli, chi ha davvero talento sta già cavalcando l'onda alla grande. Chapeau!

PS. Il disco non l'ho ancora sentito, l'ho appena scaricato. Ma a questo punto che servono le recensioni? Basta scaricarlo e ascoltarselo, no?

5 maggio 2008

J. S. Foer - Molto forte, incredibilmente vicino

Ogni tanto nella vita capitano delle coincidenze, o come le mie in questo caso, dei temi ricorrenti. E' un certo periodo infatti che mi ritrovo ad avere a che fare con l'Undici Settembre. Innazitutto mi è capitato di vedere World Trade Center di Oliver Stone, che, in una sorta di sineddoche cinematografica, rivive gli avvenimenti di quei giorni a New York attraverso l'esperienza di due pompieri coinvolti nel crollo delle torri.
Poi, spinto dall'interesse risvegliato dal film, mi sono sciroppato un po' di documentazione su quegli eventi e soprattutto sulle smentite delle versioni "complottiste" che girano da un po' di tempo a questa parte. Il sito che ne dimostra la totale infondatezza (delle teorie complottiste) è questo qua.
Infine, ho letto questo libro.
In poche parole racconta le vicende di un bambino che ha perso il suo papà nel crollo delle torri. Tra le sue cose rimastegli trova una chiave in una busta con su scritta la parola Black. Oskar, così si chiama il bambino, parte dunque alla ricerca della serratura a cui corrisponda la chiave, contattando tutti i Mr. o Mrs. Black che trova sull'elenco.
Intrecciata a questa storia se ne sviluppano altre, soprattutto quella dei suoi nonni che nella loro gioventù subirono il terribile bombardamento di Dresda, in un ricorrere degli eventi e del dolore davvero toccante.
E' scritto in modo piuttosto complicato, sicuramente non lineare, ma nonostante una certa fatica a seguirne il filo, mi sono trovato totalmente rapito per tutte le sue più di trecento pagine che sono corse via come un romanzo d'avventura.
Le vicende sono tutte narrate in prima persona, attraverso pensieri o lettere, e, cosa rara e difficile in un libro rivolto agli adulti, l'autore riesce comunque a mantenere infantile il protagonista, pur dotandolo di un'intelligenza vivacissima. E allora sono sogni ad occhi aperti, capricci, paure, testardaggini, slanci d'enorme affetto e di puerile cattiveria.
Non sono certamente aggiornato sulla letteratura di quelle parti, ma ho come l'impressione che Johnatan Safran Foer sia (o stia diventando) un grande scrittore americano.