27 gennaio 2012

La crisi dell'industria discografica e io

Proprio in questi giorni si sono verificati un paio di avvenimenti che riguardano l'ormai eterna lotta tra i produttori di musica e film e il mondo vario e diffuso della cosiddetta pirateria.
Il primo evento è stata la protesta dei maggiori servizi internet (Google e Wikipedia, per dirne due colossali) contro una proposta di legge del senato USA che, dando la possibilità di imporre la rimozione di contenuti che unilateralmente vengono considerati come violazioni del copyright, avrebbe avuto come conseguenza l'impossibilità di diffondere su internet informazione libera e democratica.
L'altro evento è stato la chiusura di alcuni provider di file sharing, in altre parole siti dove chiunque può mettere a disposizione di tutti i propri file, compresi ovviamente musica e film.

Questi due accadimenti mi hanno portato per l'ennesima volta a riflettere sulla mia posizione in merito alla pirateria, alla diffusione gratuita di contenuti altrimenti intesi a pagamento.
Una volta tanto voglio provare a pubblicare qui le mie considerazioni:

1. Scaricare musica e film aggratis da internet non è un furto.
Io un furto lo intendo come sottrazione a qualcuno di un bene o un valore che gli appartiene. In questo caso il furto sarebbe tale solo se fosse vero che se non avessi potuto scaricare quello che ho scaricato, l'avrei comprato. Non è vero, quasi mai. Chi scarica il CD dei Pinco Pallinos non è detto che lo avrebbe comprato se non avesse potuto scaricarlo. Molto probabilmente ne avrebbe fatto a meno.
Soprattutto quei bulimici del download che scaricano 10.000 mp3 alla settimana, mai e poi mai li avrebbero comprati tutti.
Scaricare è piuttosto come assistere a uno spettacolo a scrocco, senza pagare il biglietto. È scorretto, chiaro, ma non è la stessa cosa di rubare. Se non avessi potuto entrare gratis, lo spettacolo non lo avrei visto e tu, artista, i miei soldi non li avresti presi lo stesso. Punto. Perché costa troppo, perché non ho voglia di fare la fila per il biglietto… per qualsiasi ragione, giusta o sbagliata. A questo punto, dato che comunque io il biglietto non lo pago, sta a te, artista, decidere se è meglio che comunque io lo spettacolo lo veda o no. Se lo vedo, magari ne parlo in giro, ti faccio pubblicità e la voce arriva alle orecchie di chi i CD o i DVD li compra. O magari me li compro io (vedi punto 3).
2. Come corollario al punto precedente: se invece io scarico un CD che se non avessi potuto scaricare lo avrei comprato e me lo ascolto per sempre aggratis, allora questo è un furto bello e buono. Niente scuse.
Chiaro che il processo alle intenzioni è un po' difficile, come si fa a dire cosa uno avrebbe fatto? Ma ognuno in cuor suo lo sa, e sia onesto almeno con sé stesso.
3. Per quanto mi riguarda il file sharing non è solo dannoso per le case discografiche, anzi in alcuni casi può essere addirittura benefico. Riassumo questa considerazione con questa frase che ogni tanto mi ripeto: "non ho mai comprato tanti CD come da quando ho avuto la possibilità di scaricarli".
Statisticamente funziona in questo modo: più o meno compro 1 CD ogni 10 scaricati e ascoltati. Se ne scarico 100 ne compro 10. Semplice.
In epoca pre-download invece ne compravo molti, molti di meno.
I motivi sono piuttosto banali: i CD costano un sacco di soldi e un acquisto al buio comporta un rischio notevole. Allora si tende ad andare sul sicuro, cioè si comprano i CD di chi si sa già che ci piace. Però questo filone si esaurisce in fretta, gli artisti invecchiano e la loro musica perde smalto nel 99% dei casi. Alla fine si lascia perdere. Dopo l'ennesima fregatura a 20 euro il pezzo, uno smette. E di CD ne compri molti di meno, praticamente nessuno. Per me, prima del download, è andata proprio così.
Grazie al download invece ho potuto allargare gli orizzonti di migliaia di chilometri. Ho avuto modo di esplorare zone del mondo della musica di cui non sospettavo nemmeno l'esistenza, anche in senso temporale, andando a recuperare gigantesche e colpevoli lacune nella mia conoscenza musicale, ovviamente ascoltando anche un sacco di roba indigeribile, ma nel mucchio trovando tantissime cose magnifiche. Il tutto senza dovere pensare ogni volta se quei 15-20 euro li avrei rimpianti o meno.
E qui è tornata in ballo la mia passione per la musica e il piacere di possedere un CD, la sensazione che se hai un elenco di mp3 non hai nulla, e che se hai un CD invece possiedi un opera (opera d'arte a volte). Quindi il cerchio è presto chiuso: quello che scarico e che mi piace, prima o poi finisco per comprarlo, così più scarico aggratis, più scopro cose che mi piacciono e più ne compro.

Ragionando in questi termini mi chiedo quanto possa essere diffuso il mio modello di scaricatore-compratore. Temo molto poco, quelli come me non salveranno di certo l'industria discografica, ma sono convinto di non essere affatto da solo. Siamo in tanti a vedere nel download un mezzo per potersi concedere acquisti più soddisfacenti e anche (e soprattutto) meno popolari, più di nicchia, per dire.
Il motivo per cui questo modello non è tanto diffuso è che si applica a persone che hanno una serie di caratteristiche che ho provato a rappresentare in questo giochino di insiemistica:

Utilizzatore di Internet: sembrerà incredibile a chi legge queste cose su un blog, ma i veri utenti di internet sono ancora una percentuale piuttosto bassa, soprattutto se non si tiene conto di chi internet lo usa solo per mail e facebook. Gli internauti sono ancora una minoranza. In crescita, ma per ora è ancora così, soprattutto in Italia.
Ascoltatori di musica: comprende tutti gli ascoltatori, da quelli che la musica la ascoltano sul grammofono ai possessori di i-pod et similia. Anche questa è solo una percentuale ben lontana dal 100% della popolazione. L'intersezione di questa categoria con la precedente (quindi gli ascoltatori di musica che navigano in internet) costituisce il popolo dei downloader. Con qualche eccezione, ovviamente.
I musica-dipendenti: cioè quelle persone che della musica proprio non possono fare a meno, che la amano e cercano di ascoltarla ogni volta che possono, che si informano, che cercano di tenersi aggiornati. È un sottoinsieme degli ascoltatori, comprende sia internauti che non.
Persone che amano il possesso dei CD: sono quelli convinti che il CD sia un valore. Sono fortemente convinto che le colpe maggiori delle case discografiche consistano nell'avere assottigliato questo insieme di persone, svendendo la musica in ogni modo possibile, dal trionfo dell'usa-e-getta degli hit commerciali agli investimenti smodati in video e marketing piuttosto che sulla qualità. Fatto sta che nonostante tutto i CD-maniaci ancora esistono. Per loro (per noi) il possesso di un CD è un piacere quanto per alcuni il possesso di un quadro, di una bella macchina, di un paio di scarpe.
Amano (amiamo) vagare in un negozio di CD alla ricerca di un titolo da comprare, guardare la propria CD-teca a casa, leggere il booklet mentre ascoltano il CD.
Persone che possono permettersi l'acquisto di CD: già, perché comunque i CD costano e la possibilità del download li rende ancora più superflui. Senza voler fare retorica, i tempi sono quelli che sono e destinare una parte del proprio budget ai CD è una scelta pesante. In questa categoria quindi inserisco non tanto chi può permetterselo finanziariamente (20euro al mese, per dire, sono alla portata di quasi tutti), quanto quelli che se la sentono di destinare una quota del proprio stipendio ai CD, dovendo scegliere tra CD, libri, cinema, sport, videgame e chissà cos'altro. Il fatto che io dica di appartenere pure a questo insieme non sia quindi inteso come spocchia, ma semplicemente di come io indirizzo le spese superflue.

Ecco, secondo me è l'intersezione di tutte queste categorie a definire quelli come me, che non hanno mai comprato tanta musica come da quando hanno avuto la possibilità di scaricarla a scrocco.

Non siamo molti, ma ci siamo. Sappiatelo, case discografiche, e coccolateci un po', ogni tanto.

12 gennaio 2012

Innamoramento

 L’altro ieri mi sono trovato per un paio d’ore da solo con mia figlia in montagna. Lei aveva appena terminato la sua lezione di sci e attendevamo la conclusione di quella del fratello.
Durante le sue escursioni aveva adocchiato una pista di pattinaggio su ghiaccio, per cui mi ha chiesto di andarci.
“Sì, perché no?”, le ho risposto più prontamente di quanto potessi immaginare.
Mi sono così ritrovato goffo e traballante, a cercare di domare quegli scomodissimi arnesi che sono i pattini da ghiaccio al di sopra di una superficie insidiosa e pericolosamente dura.
E mi sono ritrovato a pensare che mi stavo comportando esattamente come una persona innamorata.
Mi spiego: a mente fredda avevo diverse volte pensato che non mi sarei mai ritrovato a fare la figura dell’uomo goffo e traballante che cerca di fare una cosa così stupida come muoversi lentissimamente sul ghiaccio (intendiamoci: non considero il pattinaggio su ghiaccio una cosa stupida, anzi, trovo che sia un’attività incantevole quello artistico e uno sport sbalorditivo quello di velocità. Quello che trovo stupido è il penoso risultato a cui giunge un quarantenne che mette i pattini per la seconda volta in vita sua, la prima essendosi verificata circa 25 anni prima).
È una questione di dignità, mi dicevo. E non è neanche che io sia così cocciutamente sensibile alla dignità, solo che quando il beneficio è irrisorio quanto una ginocchiata sul ghiaccio, allora non vale davvero la pena di sopportare l’onta di una seppur irrilevante brutta figura.
Queste cose, pensavo, si fanno quando si è innamorati e la bella di turno ci propone di fare qualcosa che fino ad un secondo prima avremmo rifiutato categoricamente. È una cosa tipicamente maschile, direi (le donne hanno altri modi di instupidirsi), che si traduce in corsi di latin dance, di cucito, poesie scritte con inchiostri colorati, nomignoli infantili e vocine ridicole.
È una cosa che, mi sono accorto, si fa anche con i propri figli. Parlo soprattutto delle ultime due, omoni grandi e grossi che parlano ai figli (solitamente neonati o poco più, poi passa) con vocine da cartoon che loro stessi troverebbero indegne di qualsiasi rispetto.
Ed era proprio questa comunanza di atteggiamenti tra l’innamoramento e l’essere genitore che mi intrigava mentre, più che pattinare, evitavo di cadere.
Ho spesso pensato che quella per i propri figli sia la forma di amore più pura che si possa immaginare: totale, senza compromessi e completamente disinteressata. Per esperienza (almeno da parte di padre) direi che questo vale soprattutto finché i figli sono piccoli, poi le aspettative si fanno più articolate e l’amore pur rimanendo fortissimo assume toni meno assoluti, diventa sempre più simile ad un rapporto tra persone più che all’adorazione di un tesoro.
L’amore di un uomo per una donna (o ragazza, o ragazzo… insomma, ci capiamo) è qualcosa di molto più legato ad aspettative di reciprocità, ma quando queste sono soddisfatte, allora anche in questo caso lo sbracamento è totale.
Sto leggendo un libro che tratta dell’origine evolutiva e culturale di certe facoltà umane, per cui mi sono trovato a domandarmi per estensione a quale fosse il motivo per cui l’attrazione verso altre persone adulte e le cure parentali abbiano questo tratto così netto in comune. A farla semplice: perché ci instupidiamo di fronte alla fidanzata come di fronte ai nostri figli?
La ragione dell’istupidimento verso i figli dovrebbe risiedere in un comportamento che attenua l’aggressività maschile nei confronti di esseri del tutto indifesi. Addolciamo il nostro testosterone con dosi di melensaggine per evitare di sbranare i frugoletti. Si tratta di un comportamento vincente dal punto di vista evolutivo, perché banalmente chi non sbrana i propri figli ha maggiore probabilità di dare discendenza ai propri geni.
Sul perché diventiamo melensi e accondiscendenti con le nostre amate mi risulta più difficile da intuire. A istinto, ma ne so poco, penso che potrebbe essere anche in questo caso un tentativo di apparire inoffensivi, unito magari ad una strategia che faccia leva sull’istinto materno delle femmine.
Sia chiaro che sono considerazioni che valgono il tempo che trovano; affermazioni di questo tipo per potere assumere un qualche carattere di serietà, vengono sezionate nei minimi dettagli, verificate con test, statistiche, confutate, discusse.
I miei sono solo pensieri al volo, fatti cercando di mantenere un’instabile equilibrio e godendomi l’ebbrezza di quel momento di innamoramento limpido come il cielo su quelle montagne.

Mia figlia si è poi stufata prima di me del pattinaggio, permettendomi di raggiungere il duplice risultato di non scontentarla interrompendo qualcosa che le piace e di impartirle l’implicita lezione che quando chiedi qualcosa, soprattutto se coinvolgi qualcun altro, non ti è poi concesso di accantonare il giocattolo dopo un attimo, come un capriccio. D’altronde sono pur sempre un padre…

10 gennaio 2012

No, non ve lo consiglio

La cosa più orribile che abbia letto in tutta la mia vita. Solo quattro pagine, ma crudeli e lancinanti come una scheggia di vetro, insopportabili e irresistibili.
Le leggi tutte d'un fiato, in apnea, perché non ti ci puoi staccare, e più veloce che puoi perché desideri solo che quello strazio finisca al più presto. Ti chiedi -dopo, quand'è finito- se sia sadismo ad avere dettato quelle frasi, o puro genio, o tutte e due le cose.
È la precisione dei dettagli secondari ad amplificare l'orrore che provi, a dargli quell'ulteriore sensazione di realismo che rende tutto insopportabilmente preciso.

INCARNAZIONI DI BAMBINI BRUCIATI di David F. Wallace (contenuto nella raccolta di racconti OBLIO, ed. Einaudi)