26 febbraio 2010

Con le lacrime agli occhi

Sto leggendo un libro, Suttree di Cormac McCarthy. Non sono ancora sicuro, ma mi sa che è magnifico. Comunque ne dirò quando l’avrò finito.
Mi preme solo di condividere un momento di ilarità devastante che mi ha provocato. L’ho letto a letto con la lucina da lettura, mia moglie dormiva e io avevo letteralmente le lacrime agli occhi dalle risate, faticavo a trattenermi dal ridere a crepapelle.

L’ambientazione: è l’interno di una caffetteria americana, di quelle con i tavoli in fila e divani a formare ambienti separati, tipo quella di Pulp Fiction o dell’immagine qui sopra.
I personaggi sono dei vagabondi beoni e perditempo, quasi dei barboni, delle specie di Bukowski senza talento.
Lo so, come argomento è un po’ scatologico e questo forse rivela qualche aspetto dei miei gusti, però ci va del gran talento a scrivere anche queste cose, e McCarthy ne ha da vendere.
Vabbè, leggetelo:

J-Bone lo guardava con un’aria folle. Si piegò un pochino, come per alzare una gamba. Strabuzzò gli occhi. Un’enorme scoreggia squarciò l’aria della tavola calda zittendo il tintinnio e l’acciottolio di tazze e posate dell’ora di pranzo, sbalordendo i clienti, precipitando il locale nel silenzio. Boneyard si alzò all’istante e andò a mettersi su uno sgabello al bancone, guardandosi alle spalle atterrito. Ai fornelli il greco arretrò vacillando, una mano sulle fronte. Hoghead barcollò tra i tavoli boccheggiante, l’angoscia dipinta in volto mentre la signora del séparé accanto si alzò e li guardò dall’alto con un’aria cadaverica e si diresse alla cassa.
Hiii, cantilenò J-Bone dentro le mani a coppa.
Cristo santo, disse Suttree , alzandosi con piatto e bicchiere.
Ti sei fatto male Jim?, disse forte Boneyard schermandosi con il dorso della mano.
Caspita, fece Hoghead seduto al bancone. Mi sa che qualcosa è venuto a tirare le cuoia nelle tue budella.
Il greco lanciava occhiate truci verso il retro del locale. Rimasto solo nel séparé, J-Bone arricciava il naso. Un minuto dopo strisciò fuori tra i tavoli. Gesù bambino, disse. Mi sa che manco io la reggo.
Vattene di qua.
Sto cercando di mangiare, Jim.
Gesù, disse J-Bone, mi sa che mi si è ficcata nei capelli.
Andiamo via, disse Boneyard.
Suttree considerò quelle facce ridenti. Un secondo, lasciatemi finire, disse.

12 febbraio 2010

12

Un film bellissimo, un film russo di un paio di anni fa. Si intitola semplicemente “12”, e dodici sono i giurati chiusi nella palestra di una scuola con il compito di emettere una sentenza sul caso di un giovane ceceno accusato di omicidio.
La vicenda è tutta qua, non c’è altro (dovrebbe essere il remake di La parola ai giurati del 1957, ma la struttura è decisamente diversa).
Il caso pare inizialmente banale: il ragazzo (ceceno si badi, praticamente uno straniero per i giurati moscoviti) è palesemente colpevole, con l’aggravante di avere ucciso un benefattore, il padre adottivo che lo teneva con sé in casa.
La sentenza però deve essere necessariamente emessa all’unanimità e quando si svolge la votazione iniziale tutti si sorprendono nello scoprire che uno di loro è sfavorevole alla condanna. Questo significa affrontare una discussione invece che raggiungere la sentenza immediata come si auspicavano tutti.
A partire dal dubbio instillato da quell’unico giurato, si articola tutto il seguito del film con il confronto a volte drammatico, a volte esilarante tra i votanti che poco per volta mettono a nudo, assieme alle proprie convinzioni sul caso, anche aspetti diversissimi e profondi della propria personalità.
Come dicevo la vicenda si svolge in una palestra, a causa dei lavori di ristrutturazione del tribunale che rendono inagibile l’aula solitamente dedicata alle riunioni dei giurati, e questo permette di conferire un po’ di dinamicità alle scene e alla recitazione (superba) dei protagonisti.
Di tanto in tanto si hanno dei flash-back che illustrano momenti dell’infanzia dell’imputato, sprofondato negli orrori della guerra cecena. Altre divagazioni rispetto alla scena principale mostrano l’imputato in cella in attesa del giudizio e la vista di lui in attesa nervosa mentre i giurati discutono, conferisce ulteriore drammaticità al film.
A parte queste due divagazioni però, tutta la storia potrebbe benissimo essere un soggetto teatrale, con i personaggi che uno ad uno diventano protagonisti di intensissimi monologhi e dialoghi serrati conditi a base di razzismo (l’accusato come dicevo è ceceno e la vittima un ex militare russo), debolezze, orgoglio, intolleranze, stanchezza, fierezza… per una durata di quasi tre ore il cui peso però non si fa minimamente avvertire grazie ad una sceneggiatura sempre tesa e coinvolgente.

Ne avevo sentito parlare molto bene, ma da quando è uscito non sono stato in grado di trovarne una copia da nessuna parte. Sono poi riuscito a beccarlo sulla programmazione di Sky e non so se nel frattempo si sia reso più disponibile.
Prendetene nota però, e se vi capita di poterlo vedere non perdete l’occasione, ne vale davvero la pena.

10 febbraio 2010

Aiutarli nel loro paese

C’è una frase che mi dà particolarmente sui nervi quando le chiacchiere a tavola vanno oltre la meteorologia e si dirigono in territori un po’ più ostici o appassionanti, quali i temi sociali, la povertà, l’immigrazione. Questa frase assume dettagli ogni volta diversi, ma si riassume grossomodo nello standard “Io sì che sono per aiutare quella gente, ma a casa loro!” e giù a condire questa storia con considerazioni quali “evitare di essere sradicati dal proprio paese”, “i legami culturali e famigliari”, “le proprie usanze” e così via.
Tutti discorsi che hanno pure la loro fondatezza, ci mancherebbe. Quello che mi dà sui nervi è che, ad essere ottimisti, nel 95% dei casi si tratta di pura ipocrisia che non nasconde altro che un “Se se ne stanno là a casa loro, sono altri a doversene occupare, il Governo, la CRI, l'ONU... E io non sono costretto a sentirne la puzza”.
Questo atteggiamento mi dà sui nervi, dicevo, ma più che altro perché quell’ipocrisia si nasconde molto bene dietro un reale paravento. Tutte le giustificazioni che si danno sono verissime, il modo migliore per aiutare qualcuno è quello di riuscire a migliorare la sua condizione nel luogo in cui vive, sia essa una questione politica (dittature, guerre civili) o economica (pura povertà), perché questo miglioramento potrebbe essere un volano in grado di innescare circoli virtuosi capaci di risollevare le sorti di intere aree geografiche e alla fin fine evitare, o anche solo ridurre, la necessità di emigrazione verso paesi stranieri e lontanissimi da ogni punto di vista. Perché per chiunque debba affrontarli, quei tipi di emigrazione sono dei veri drammi, non c’è dubbio.
Ora ho trovato un modo per rendere effettivo quell’”aiutiamoli a casa loro” e si tratta di Kiva.org, un’associazione che si occupa di microcredito in tutto il mondo.
In pratica funziona così:
1) Varie associazioni si occupano di individuare dei piccoli imprenditori nel terzo mondo che necessitano di un finanziamento per avviare o sostenere una qualsiasi attività. Si noti che queste persone non hanno alcuna possibilità di accedere a forme di finanziamento di tipo bancario, non avendo possibilità di dare alcuna garanzia (immobili, stipendi, conti correnti attivi ecc. Provate voi ad ottenere anche qua un mutuo senza quella roba) o neanche essere in grado di accedere alla burocrazia, in quanto analfabeti.
2) Queste associazioni segnalano l’imprenditore e la sua necessità di credito sul sito Kiva.org (di fatto spesso capita che queste associazioni PRIMA finanzino loro stesse l’imprenditore e POI lo segnalino sul sito).
3) Chiunque di noi può scegliere uno dei tanti imprenditori segnalati e elargire il proprio finanziamento (taglio minimo 25$)
4) L’imprenditore poi restituisce il credito nel tempo

Si noti che il tasso di restituzione è molto alto, circa il 98% (che pare che sia davvero molto alto), quindi nel giro di mesi i soldi ritornano sul conto del finanziatore (noi) che può poi decidere di fare un altro finanziamento o di riprendersi i soldi.
Quindi si tratta di un PRESTITO, non di beneficienza. E i vantaggi di questo tipo di operazione sono molti, al di là del fatto che non sono soldi persi per chi finanzia. Si tratta di un impegno che mantiene alta la dignità dei beneficiari, ne stimola l’impegno imprenditoriale e responsabilizza i finanziatori a non lasciare soldi a fondo perduto di cui non si può conoscere l’effettiva destinazione.
Finisco col dire che si tratta di un sistema molto serio e ben strutturato. Di ogni possibile finanziamento sono indicati i dettagli del progetto imprenditoriale (è una parolona, ma a volte si tratta di attività molto semplici), la valutazione del rischio del prestito, la valutazione del partner coinvolto, statistiche sulla stabilità della regione in cui l’impresa ha sede, ecc.

Io, novello e microscopico Bill Gates, ho iniziato finanziando un gruppo di donne imprenditrici nel sud del Costa Rica che sperano con i soldi ricevuti di avviare o incrementare le loro attività di taxista, ristoratrice, venditrice di cosmetici.
Qui sotto un immagine delle "mie" imprenditrici. In bocca al lupo ora!