
Ci dovrebbero essere tantissime cose da dire, ma mi sembra che ognuna di esse non sarebbe in grado neanche lontanamente di descrivere quello che provo.
Mi affido alla vostra immaginazione.
alla deriva nel mare magnum
Questo è umorismo, signori, genuine british humor.
Questa è la scala, conciata così fa molto middle-class:
L’albero indoor:
L’albero outdoor:
E, chicca kitsch 2007, il Babbone Natale gonfiabile. Nella foto non si vede bene, ma è pure illuminato dentro:
Marco Parente calca le scene già da molto tempo, inizialmente con il giro dei CSI, suonando la batteria in Ko de Mondo e Linea Gotica (si parla di metà anni ’90), poi inizia a registrare a nome suo, non smettendo comunque mai di collaborare con altri artisti più o meno famosi come Cristina Donà o gli Afterhours, ed è un questa veste, nel comparire spesso nelle note di copertina dei loro dischi che mi ha reso il suo nome familiare, ma niente più, non sapevo neanche che faccia potesse avere.
Poi, qualche tempo fa, non so perché, non so come, mi sono incominciato a chiedere se davvero non si riuscisse a trovare in Italia un cantautore davvero valido che non fosse uno dei grandi nomi del passato. Ammetto la mia ignoranza, ma a guardarmi intorno vedevo un paesaggio davvero desolante, popolato da personaggi troppo attenti alla posizione in classifica o a consolidare remoti successi che a inventare nuova musica. In un negozio di dischi, di quelli che mettono a disposizione delle cuffie per ascoltare i cd in vendita, ho dato un ascolto alle tracce del secondo album.
Folgorazione! Finalmente qualcosa di interessante.
L’ho comprato e inserito nel lettore in macchina. C’è stato una settimana buona, oggetto di ripetuti e ammirati ascolti.
Documentandomi ho scoperto che questo cd è la seconda parte di un lavoro in due atti, Neve Ridens con le già citate differenze grafiche. Ho acquistato quindi pure il primo e gli ho riservato lo stesso trattamento di ascolto iterato.
Sono due album abbastanza omogenei, tanto da fare sorgere spontanea la domanda su perché non si sia pensato ad un album doppio; le risposte possono essere anche meramente commerciali (un album doppio di un quasi Mr. Nessuno chi se lo compra?), ma in effetti i due cd hanno un approccio sufficientemente diverso da giustificarne almeno la ripartizione. Il primo infatti è più melodico, mentre il secondo si colloca degnamente in quell’etichetta di songwriting adottata da chi con cantautorato intende i lavori dei mostri sacri del passato.
In effetti non siamo più in ambito di canzoni chitarra-voce strutturate su schemi strofa-ritornello ad accompagnare messaggi in forma di testo. Siamo nell’ambito dell’evoluzione più moderna di quell’approccio: arrangiamenti sofisticati, strumentazione inusuale, testi al limite dell’intelligibile, strutture complesse e stratificate. C’è pure passione, quel sangue&sudore che è ingrediente fondamentale per chi cerca di trasmettere se stesso attraverso i suoni e la musica, ci sono sussurri, ci sono rumori, ci sono dissonanze… Ma c’è pure melodia (non banale), ritmi accattivanti e testi da canticchiare. Però non è tutto lì, ed è questa la differenza con quel desolante panorama di cui dicevo prima. L’unico appunto che sento di fargli è che scivola un po’ troppo verso i Radiohead di qualche tempo fa. Peccato veniale però, primo perché i Radiohead di qualche tempo fa producevano cose meravigliose e secondo perché queste scivolate sono sinceramente poche (3, 4 sui due dischi). Prendiamole come citazioni, va.
Oggi mi preme condividere una scoperta che ho fatto grazie ad esso. Si tratta degli El Guapo, un trio proveniente dalla zona di Washington D.C. che ha fatto questo disco talmente poco diffuso da essere persino difficile da recuperare dai percorsi p2p. Lo sto ascoltando da qualche giorno e mi sento travolto dall’entusiasmo per la scoperta di una tale meraviglia. Non mi è facile descrivere di cosa si tratta, perché è una cosa che io non avevo mai sentito. Certe eco ci sono, danno dei riferimenti, e si orientano nell’ambito di una rielaborazione della new-wave, ma sono talmente rimaneggiati alla luce non solo di quello che è venuto dopo (techno, noise, post-rock…), ma pure da quello che c’era prima e che la new-wave, proprio nel suo essere “new”, aveva ripudiato: prog, kraut, pure jazz e jazz-rock e qualche strizzata d’occhio al buon vecchio Zappa, il tutto talmente ristrutturato, dicevo, da perdere qualsiasi connotazione di nostalgico revival.
Ne è venuto fuori un lavoro composto da ben diciotto tracce, alcune a dire il vero brevissime, ma che devono la loro concisione non all’essere dei riempitivi quanto al fatto di essere sufficienti a se stesse, dall’essere un discorso che non richiede ulteriori sviluppi. Le tracce invece di lunghezza più usuale hanno solo questa in comune a canzoni ordinaria fattura: fin dalle prime battute rivelano strutture sghembe, a volte complesse e a volte scarne ma mai, in nessun modo, banali e che evolvono puntualmente verso derive affascinanti.
Ritornando al discorso iniziale, la scarsissima visibilità (ho faticato davvero parecchio a procurarmelo) di un lavoro come questo, è molto probabilmente e semplicemente dovuta ad una esiguità di mezzi finanziari di chi l’ha prodotto, scarsa possibilità di promozione, pure in ambiti specialistici, assenza di video, bassa propensione al divismo degli autori, ma è pure imputabile, e qui salta fuori l’orgoglio snob, ad una sua elevata sofisticazione, troppo elevata per essere apprezzabile senza un’adeguata conoscenza delle possibilità dell’espressione musicale.
Chiaro che io, proprio per orgoglio, preferisco propendere per la seconda motivazione, ma insisto col dire che non si tratta solo di autocompiacimento: sono davvero convinto di essere alle prese con un capolavoro e ho bisogno di giustificazioni di vario tipo per comprendere perché non sia conosciuto ed apprezzato per quel che merita.
Ah, ancora una nota riguardo la confezione del CD: si tratta di un jewel-box completamente trasparente che contiene solo il CD stesso e la copertina. Su questa è riportata una foto del monte Kailash, la montagna più sacra di tutto il Tibet, talmente sacra che non è permesso scalarla, e questo, oltre alla sua posizione difficilissima da raggiungere la rende uno dei luoghi più inaccessibili del pianeta. Un luogo denso di spiritualità, altissimo ed inaccessibile: ha a che fare con il contenuto del disco, eccome.
When you go
Take me on ya genocide tour
Take me on a truck to
Take me where you would go
Oppure
I'm knocking on the doors of ya hummer hummer
Yeah we hungry like the wolves huntin dinner dinner
And we moving with the packs like hyena yena
Barbarella looks like she my dead ringer
When I'm dogging on the bonner of ya red Honda
Insomma, questa è la strategia di Miss M.I.A.: gridare al mondo le sue peggiori nefandezze utilizzando uno stile accattivante, gradevole alle masse, perché è alle masse che deve arrivare il messaggio ed è controproducente fare i ricercati o i sofisticati. Però M.I.A. sofisticata lo è, eccome, e allora scopri che quello stile all’apparenza trito nasconde un tesoro di generi, stili, suoni e influenze da fare invidia ai più paludati chansonnier.
E infine l’ultimo dettaglio (si fa per dire): la ragazza è pure bellissima, e questo non fa altro che aumentare il fascino accattivante della sua proposta. Per questo motivo, per avere una sua immagine nel mio blog, ripeto lo schema di mettere su la copertina del CD in oggetto e qui sotto la foto dell’artista.
Voilà:
Dato che è da poco trascorso il decennale dalla sua pubblicazione, non mi perito di accendere un cero virtuale a memoria di quello che è uno dei più bei libri che abbia mai letto.
[Chi indovina dalla copertina di quale album ho preso la candela qui sopra, vince una copia in mp3 di Daydream Nation condivisa su Rapidshare.com]
In pratica funziona così: chi vuole può inviargli una sua canzone a tema natalizio. Sufjan e la sua casa di produzione la Asthmatic Kitty (Gattino Asmatico!) sceglierà un vincitore e quella persona scambierà i diritti della canzone con una di Sufjan composta per l’occasione. Come con i regali natalizi, dopo lo scambio, la canzone ricevuta diventerà la propria canzone e chi la riceve potrà farne ciò che vuole, rivenderla alla Coca-Cola, inserirla nel proprio disco, cantarla a Sanremo, tenersela per se e cantarsela sotto la doccia, distribuirla gratis sul proprio sito, insomma, proprio quello che vuole.
Ovviamente Sufjan potrà fare lo stesso con la vostra ex-canzone.
Inoltre, solo ad inviare la propria canzone, pur non essendo scelti, si da il diritto alla Asthmatic Kitty di metterla in stream sul proprio sito. È comunque un’altra vetrina dove proporsi.
In genere le star che si “abbassano” ad assumere atteggiamenti popolari (come le aspiranti rockstar che mettono il proprio video “salotto e chitarra” su YouTube) risultano un po’ goffi. Giudicate voi, il video è qui sotto.
Crash è un film del 2005 che racconta, incastrandole l’una nell’altra, tante storie, o più semplicemente, tanti avvenimenti che capitano durante 36 ore a Los Angeles. Il tema principale, il combustibile che alimenta tutti i drammatici accadimenti, è il razzismo, il classismo, l’intolleranza e le incomprensioni tra differenti gruppi etnici o classi sociali. Il modo in cui questi vengono presentati, ed è questo secondo me il punto forte del film, è ogni volta quello del protagonista.
Per esempio: due borghesi bianchi vengono rapinati dell’auto da due neri armati di pistola. Il film poi si sviluppa facendo vedere sia il punto di vista dei rapinati che quello dei rapinatori, mostrandone tutte le ragioni, i torti, le ipocrisie e le contraddizioni, dimostrando che la realtà non è mai una semplice questione manichea di buoni/cattivi o bianco/nero, ma è talmente ricca di sfaccettature e angolazioni equivalenti da renderci ogni volta impossibile dire con sucurezza dove sta il torto e dove la ragione.
E questa sensazione, l’impotenza ad emettere giudizi netti sulle azioni delle persone, per quanto efferate o sublimi esse siano, è una sensazione che sotto sotto provo molto spesso. Non riesco infatti a rassegnarmi al fatto che l’animo umano e la vita delle persone sono argomenti talmente complessi ed articolati da rendere possibile il formulare giudizi sommari, e in fondo giustifico l’operato di chi (i giudici) queste cose (i giudizi) le fa quotidianamente, solo assimilandolo ad una sorta intervento arbitrale che si può solo limitare a valutare l’osservanza o la trasgressione di una regola senza essere tenuti, perché impossibile, a valutarne le ragioni di fondo.
Abbandonando i miei discutibili e contorti ragionamenti e tornando al film: come molto spesso capita nei film americani, la sceneggiatura e le recitazioni sono di livello eccelso, il ritmo è sempre sostenuto, senza mai momenti morti e, nonostante l’estrema frammentarietà della narrazione (le storie sono raccontate a spezzoni che si alternano e si intrecciano costantemente), non si ha nessuna difficoltà a seguirne il filo. L’inizio è drammatico e cinico in tutti gli episodi, poi a seconda dei casi evolve in direzioni dal tenore molto diverso tra loro, qualcuna va bene, qualcuna va male. Come nella vita vera.
L’album in sé è un meraviglioso disco pop. Pop, niente più, ma davvero accattivante e divertente, di quelli che si fa fatica a non ascoltare battendo il piedino a ritmo. Gli ingredienti sono ottimi, Smiths in salsa pop, folk, dance-pop, Housemartins, sentimentale, soul, sfrontate scurrilità, leggera elettronica… niente di sconvolgente, ma le scelte sono sempre dettate da buon gusto senza mai venire a noia.
Per i momenti più spensierati.
L’oggetto in questione è un cofanetto di tre CD, è di Bill Evans e si intitola The Complete Village Vanguard Recordings, 1961. E ora una lista di 5 buoni motivi per cui questo è un ottimo regalo:
1. Questi tre CD contengono la registrazione completa di uno degli eventi più sbalorditivi della storia, non solo del jazz, ma della musica in generale. Il Bill Evans trio (formato, oltre che da lui al piano, dal magnifico Scott La Faro al contrabbasso, personaggio mai abbastanza rimpianto su cui varrebbe la pena di spendere un intero post, e da Paul Motian alla batteria) concludeva un ingaggio di due settimane di concerti al Village Vanguard, storico locale di New York dove la prassi era (ed è tuttora, andate a vedere il sito) appunto quella di scritturare complessi per una o più settimane intere, con esibizioni tutte le sere, più una conclusiva la domenica che prevedeva anche una sessione pomeridiana.Infine: per un po’ sono stato dibattuto se mettere come al solito l’immagine della copertina o un primo piano di Wyatt, tanto trovo intenso il suo volto. Faccio entrambe le cose, su la copertina, qui sotto il ritratto.
Se avete voglia, andatevi a vedere The Diana-Morrissey Phenomenon. Si spiega, con incontrovertibili fatti alla mano, di quelli che non lasciano adito a dubbi, che il leader dei rimpianti Smiths aveva previsto tutto sulla morte di Diana.
Sono cose che fanno riflettere…
Halloween: sacerdote genovese
invita
ad obiezione di coscienza
«Halloween è pedofilia esercitata in campo morale, psicologico, spirituale, mentale, senza violentare il corpo». L’allarme è stato lanciato da don Marino Bruno, insegnante di religione e parroco della chiesa di Santa Maria delle Nasche, in un lungo articolo pubblicato oggi sul settimanale cattolico di Genova «Il Cittadino».
Ora, senza entrare in tematiche troppo delicate (ma su cui ho opinioni nettissime), direi che oggi come oggi un prete dovrebbe, almeno per buon gusto, cercare di evitare di usare la parola “pedofilia” come accusa a qualcun altro. Ma al di là di questo, mi chiedo, con che coraggio si può accostare una festa, per quanto sciocca, consumista o frivola alla pedofilia? Guardate che non sono parole dette di slancio, magari dette durante una predica infervorata, sono parole scritte, meditate. Da accapponare la pelle.
E poi prosegue:
«c’è un abisso tra Halloween ed il carnevale: i mandanti di questo `carnevale d’ottobre´ sono gli stessi che stanno cercando di bombardare, con stile politically correct, la religione in sé e quella cattolica in particolare».
I mandanti, per don Bruno, sono «esoterismo, lobby politiche e filosofiche» che «lavorano per svitare il senso del sacro ed il rispetto che gli si deve» e che hanno quali «prede preferite i bambini».
(l’articolo completo è qui)
Cioè, io già mi sentivo un po’ scemo a pensare che a spingere per il successo di Halloween ci fossero degli astuti commercianti, che, riuniti in incognito in una località segreta, ordiscono trame subliminali, manovrano i servizi dei telegiornali, falsificano le statistiche, tutto all’insegna del motto “Halloween è cosa buona e giusta e ci porterà un sacco di profitti”.
Ora però scopro che ci sono addirittura dei mandanti, e questi sono “esoterismo e lobby filosofiche” (lasciamo perdere la politica, che non capisco che c’entri).
Ma mi chiedo: che cazzo sono ‘ste lobby filosofiche? Una volta facevano i simposi, elucubravano, discettavano, ora organizzano feste con maschere da vampiri?