17 dicembre 2007

Sulla regina d'Inghilterra


Non so se avete mai pensato alla regina di Inghilterra. Personalmente, ma penso di essere in gran compagnia, praticamente mai. O meglio, chissà quanto tempo fa mi ero inoltrato in qualche ragionamento o discussione o lettura da cui scaturiva l’assurdità di un’istituzione costosa ed inutile come quello della monarchia, e questo me l’aveva cristallizzata in una visione negativa che di fatto non avevo mai sottoposto a verifica. Più che altro perché proprio non me ne fregava nulla.
Fino a un mese fa.
Nelle mie visioni serali di film registrati mi sono infatti imbattuto in The Queen, il film di Stephen Frears che narra in giorni vissuti appunto dalla regina Elisabetta II nell’immediato della morte di Diana. Il tema forte è quello della caparbietà con cui la famiglia reale riesce a rimanere altezzosamente distante dal dolore popolare di quei giorni, a lungo refrattaria ai richiami di stampa e istituzioni democratiche (Tony Blair, allora appena nominato primo ministro, in testa) a mostrare segni di umana pietà per la scomparsa della ex principessa.
Oltre a questo però, il film dipinge efficacemente il ritratto del carattere della regina, talmente aristocratico e superiore da non riuscire neanche più antipatico. Fa tornare in mente che l’etimologia della parola snob è sine nobilitate, senza nobiltà, cioè quell’atteggiamento di chi, non essendo effettivamente di sangue nobile, deve assumere pose di disprezzo e soprattutto di distacco dalla plebe, come unico mezzo per non essere mai confuso con essa.
La conseguenza è che la regina di Inghilterra, una delle persone di lignaggio aristocratico più alto del mondo, non può essere snob. E nel film questo si nota bene: la regina è colta, misurata, elegante, ma pure dotata di senso pratico, usa la borsa dell’acqua calda, guida la jeep, non si trattiene dal darsi della stupida quando rimane in panne.
Sarà forse perché a me la storia di Diana ha sempre dato la nausea per la sua sdolcinatezza a 360 gradi, ma alla fine Elisabetta finisce pure con lo starmi simpatica.

Dopo il film mi è capitato di trovare in libreria l’ultimo libro di Alan Bennet, La sovrana lettrice, che racconta sempre di lei, ma questa volta alle prese con l’infatuazione per i libri, sindrome che io conosco abbastanza bene, ma che ovviamente lei si ritrova a vivere in maniera regale (uncommon dice il titolo del libro in lingua originale).
Anche in questo caso il tema forte del racconto (perché poco più di un racconto si tratta, una novantina di pagine) è quello dell’impatto sugli affari della famiglia reale di questa nuova e irrefrenabile passione della sovrana, ma l’aspetto che più mi ha conquistato è la descrizione del suo stile di vita al di sopra di tutto e di tutti mettendo l’accento sulla naturalezza di questa sua superiorità. Per esempio, tra le tante considerazioni, si descrive il fatto che pur essendo una persona che per il suo ruolo ha viaggiato forse più di chiunque altro nel mondo, lei non ha mai e poi mai dovuto dedicare un solo pensiero alla preparazione dei bagagli. Ma, e qui si torna al discorso di sopra, non per un suo snobismo che le farebbe dire “Io di queste questioni non mi voglio occupare”, bensì per il semplice fatto che lei non l’ha mai fatto, un esercito di servitori se ne occupa per lei e lei non è tenuta a preoccuparsi del lavoro che implica ogni suo spostamento, c’è un altro esercito di persone, a partire dal consorte, pronta al dissuaderla dal farlo.

Ora, per finire, voglio precisare come stanno realmente le cose, perché è giusto dare a Cesare quel che è di Cesare: il merito della gradevolezza di film e libro vanno ovviamente ai rispettivi autori. Entrambi inglesi hanno saputo non solo cogliere e trasmettere con garbo e intelligenza gli aspetti più tipicamente british delle vicende narrate.
A questo proposito un’annotazione in più per Alan Bennett: i suoi libri vengono definiti come spassosi, divertentissimi. A me queste descrizioni lasciano sempre stupefatto: per quanto trovi gustosi e piacevoli i suoi libri, non riesco mai ad andare oltre un lieve sorriso; pure cercando di immedesimarmi nelle situazioni, pur cercando di dipingere meglio che posso nella mia mente i personaggi che le vivono, il massimo che riescono a strapparmi è un’increspatura del labbro, un lieve sbuffo che altera il ritmo della respirazione.

Questo è umorismo, signori, genuine british humor.

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