27 novembre 2007

Throbbing Gristle - Part Two: The Endless Not

Dove sta andando la musica? Cosa si può inventare ancora?
Sono domande piuttosto frequenti in chiunque cerchi qualcosa di nuovo in questa forma espressiva a riguardo della quale a volte pare che si sia già detto e fatto di tutto. Tanto per fare un numero, freedb, il database che raccoglie i dati relativi a praticamente ogni CD che venga pubblicato al mondo, contiene qualcosa come due milioni di voci. Parliamo di qualsiasi CD musicale, dalla musica gotica al noise, dal jazz al rock, dal liscio all’avanguardia, dal punk ai quartetti da camera di Mozart. Se facciamo il solito discorso delle note che in fondo sono 7, e gli accordi sono poi sempre quelli (il discorso che giustifica i plagi, per intenderci) c’è ancora la possibilità che ancora oggi, nel 2007, si riesca a produrre qualcosa di innovativo, senza che questo finisca con lo scivolare nell’esercizio fine a se stesso?
Grazie al cielo la domanda è retorica, e la risposta è affermativa. È il caso di questo disco, uscito in realtà da un po’ di mesi, ma che mi sarebbe dispiaciuto non segnalare prima della fine dell’anno.
I Throbbing Gristle sono uno di quei gruppi che pare che abbiano la musica come attività collaterale, essendo la loro principale la dissacrazione, la provocazione, il tutto con un approccio molto cerebrale e artistico nel senso più sgradevole del termine. Le loro performances (definirli concerti sarebbe riduttivo) non disdegnavano esibizioni pornografiche, violente, disturbanti, di quelle che da un lato ti lasciano perplesso se non proprio irritato, dall’altro possono anche colpire nel segno se il loro intento è risvegliare a suon di shock una parte dormiente della tua coscienza.
Poi però l’attitudine musicale del gruppo prese il sopravvento e si realizzò tra il 1977 e il 1981 con una serie di album, EP e registrazioni live che fondarono un genere, l’industrial senza mai tralasciare l’aspetto provocatorio nelle performance dal vivo.
Nell’81, poi, con una visione autocritica che dovrebbe essere molto più diffusa, compresero che il loro compito era stato realizzato, (Mission terminated) e si sciolsero. Non che non avessero più nulla da dire, semplicemente il seme era stato lanciato, aveva attecchito, e non richiedeva da parte loro ulteriori cure. Poteva essere lasciato libero di crescere secondo le intenzioni di chiunque avesse raccolto il testimone.
I membri dei Throbbing Gristle proseguirono quindi in progetti diversi, chi rimanendo nell’abito musicale, chi riavvicinandosi all’ambito della performance artistica.
Poi dopo ben 26 anni e qualche sopradico riavvicinamento, i quattro decidono di ritrovarsi per realizzare un nuovo lavoro, Part two: The endless not.
Un’operazione del genere è di quelle a massimo rischio, di quelle che critico e pubblico, ben felici di potere riascoltare qualcosa di nuovo da artisti stimati, li attendono però col fucile puntato, pronti ad impallinare qualsiasi scivolata verso la banalità, il bollito, lo scontato, insomma verso la nostalgia dei bei tempi che furono. E di solito va proprio a finire così, nella stragrande maggioranza dei casi.
E invece i TG affrontano l’operazione con un processo diverso: rinunciano ad essere avanguardia (non lo sono più, sarebbe sciocco provarci) e a maggior ragione rinunciano pure ad accodarsi a qualsiasi corrente moderna. Si astraggono quindi da ogni tentazione modernista e fanno un disco fuori dal tempo.
Se lo ascolti non ci trovi nulla di familiare, mai. Però neanche niente di rivelatorio, nessuna apertura di nuovi fronti musicali, nulla che possa dirsi seminale per il futuro. Ci sono brani in cui il ritmo è sostenuto da micro-loop di rumori inintelligibili e l’armonia (se così si può chiamare)è fatta di strati di altri rumori che solo se uditi nel loro insieme acquistano significato musicale. È un po’ come guardare lo schermo di un televisore, da vicino si vedono solo puntini colorati, occorre allontanarsi per comprendere l’immagine che viene trasmessa.
Altri brani hanno un approccio che sembrerebbe più tradizionale, con strumenti quali sax o pianoforte e un canto indolente. A volte sembra (addirittura!) di ascoltare una canzone, la bellissima e struggente Almost a kiss, altre volte il suono si fa totalmente sconnesso, ai limiti del rumore.
Qualche post fa sostenevo che non fosse un buona strategia quella di essere alla moda se si desidera mantenere una certa durata nel tempo. Ascoltando questo disco mi trovo a confermare questa impressione: il suo essere al di fuori (al di sopra) del tempo, unito ovviamente alla grandissima classe dei quattro TG e alla loro intelligenza compositiva, lo rende già un classico, di quelli capaci, pure fra dieci anni, di provocare le stesse bellissime sensazioni.

Ah, ancora una nota riguardo la confezione del CD: si tratta di un jewel-box completamente trasparente che contiene solo il CD stesso e la copertina. Su questa è riportata una foto del monte Kailash, la montagna più sacra di tutto il Tibet, talmente sacra che non è permesso scalarla, e questo, oltre alla sua posizione difficilissima da raggiungere la rende uno dei luoghi più inaccessibili del pianeta. Un luogo denso di spiritualità, altissimo ed inaccessibile: ha a che fare con il contenuto del disco, eccome.

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