Un libro bellissimo, uno dei peggiori che abbia mai letto in vita mia.
Mi spiego: è un libro scritto magistralmente, in modo quasi perfetto, ma la vicenda che narra è talmente opprimente e triste da risultare quasi insostenibile.
In poche parole racconta del cammino che fanno un uomo e suo figlio per le strade di un mondo distrutto da una non meglio precisata catastrofe (nucleare? naturale? non è dato saperlo). Vanno alla ricerca di una regione un po' meno fredda di quella in cui si trovano all'inizio del libro, che poi è una zona centrale di quello che rimane degli Stati Uniti, mentre la loro meta vorrebbe essere il mare (penso quello del Golfo del Messico, ma in tutto il libro non si danno riferimenti meno che vaghi).
Il mondo, le campagne, le città, tutto è come se fosse stato distrutto da un incendio apocalittico, la natura è sepolta sotto uno strato di cenere, le case sono semidistrutte e spogliate dal tempo e dai pochi superstiti che ancora vagano per il pianeta.
I superstiti, già. Innanzitutto ci sono loro, il padre e il figlio (il loro nome non viene mai detto), ma poi si incontrano anche altri uomini, e lì sono dolori. Sono esseri disperati, che si contendono barbaramente gli ultimi avanzi del mondo che era un tempo, ucciderebbero senza pensarci due volte per un paio di scarpe, e poi si abbandonerebbero senza rimorsi al più basso dei gesti: il cannibalismo.
È davvero terribile il mondo in cui si muovono questi due pellegrini, e loro ne costituiscono l'unica fioca luce. Il loro amore reciproco, il legame, il senso di protezione è tanto caldo da rischiarare pure quelle lande desolate. Ed è così facile immedesimarsi in loro che spesso mi sono ritrovato ad alzare gli occhi dal libro stupendomi di trovarlo ancora vivo, caldo e colorato.
E l'altra fioca luce in queste pagine, costante, e contrapposta al cupo e quasi rassegnato pessimismo dell'uomo, è l'anelito di speranza del bambino, che desidera trovare "dei buoni", perché non è possibile che al mondo ci siano solo "i cattivi".
D'altronde loro due sono buoni.
Vero papà?
E allora ci saranno pure altri buoni da qualche parte.
Vero papà?
Un libro che ogni padre dovrebbe leggere.
Un libro che a nessun padre consiglierei di leggere. Fa davvero molto male.
CONCLUSIONE: dove svelo parte del finale, per cui, quelli a cui non piacciono queste anticipazioni stiano alla larga.
Non mi era mai successo di piangere alla fine di un libro e questa volta ci sono andato davvero molto vicino. Al groppo in gola e alle lacrime ci sono arrivato.
Più sopra dicevo di quanto sia facile immedesimarsi nei due personaggi, e per me, ovviamente, in quello del padre. A questo si aggiunga che l'ho letto quasi tutto a letto prima di addormentarmi, usando una di quelle lucine da lettura che illuminano appena la pagina del libro, lasciando buio tutto il resto della stanza. Beh, vi assicuro che letto così è davvero angosciante.
Però, più che la pena per l'uomo per il bambino denutrito e impaurito, è stata la morte dell'uomo a schiantarmi. E a pensarci bene, quello che mi ha fottuto non è stata la sua morte in sé, quanto il dolore che questa causa al bambino.
Devastante.
Sublime.
28 gennaio 2009
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2 commenti:
Ho appena finito di leggere il libro. L'ho letto tutto d'un fiato in un solo giorno. Ho finito di notte, come te e sono rimasta in silenzio per un po', commossa e stupita.
Condivido il tuo giudizio; è un libro splendido e devastante. Solo la conclusione ho colto in modo diverso. Questo è un McCarthy che lascia aperto alla speranza, non di vivere, ma di trovare un senso alla vita. Quel bambino cerca e trova un "buono". La morte di suo padre non è un distacco assoluto.
[Mi hai detto che non mi avresti lasciato mai.
Lo so. Mi dispiace. Hai il mio cuore. L’hai sempre avuto. Tu sei il migliore. Lo sei sempre stato. Anche se non ci sono puoi sempre parlare con me. Puoi parlare con me e io parlerò con te. Vedrai.
Ti sentirò?
Sì. Mi sentirai. Devi semplicemente parlarmi come sei abituato. E mi sentirai. Devi allenarti. Basta non arrendersi. Okay?
Okay.]
Grazie
Patti
littlefloo@gmail.com
In realtà sulla conclusione siamo d'accordo: è il momento più ottimistico di tutto il libro, l'unico in cui si riesce a vedere una speranza per il futuro, il fatto che l'uomo e il bambino non fossero gli unici 'buoni' e che qualcosa si possa ancora ricostruire.
Quello a cui mi riferivo io è il dolore che mi ha dato immedesimarmi in quel padre che muore e lascia suo figlio da solo in un mondo ridotto in quel modo (lui non sa ancora che il bambino troverà i buoni).
Senza mai scadere nel patetico.
È una delle emozioni più intense che abbia mai provato leggendo un libro.
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