23 settembre 2009

Andrea De Benedetti - Val più la pratica. Piccola grammatica immorale della lingua italiana.

Il fatto è che lo studio della grammatica italiana, per quanto l’argomento possa essere affascinante, è un impegno davvero palloso.
Di per sé trovo che sia davvero intrigante cercare di capire quali siano le logiche, le regole e i meccanismi che si celano sotto una delle attività tra le più spontanee della nostra vita, comunicare verbalmente. Noi parliamo, scriviamo, mandiamo sms in italiano (più o meno, dipende) e riusciamo, a volte, a realizzare delle costruzioni anche molto complesse, ardite a volte, e tutto questo lo facciamo spontaneamente, senza pensare alle regole grammaticali che stiamo usando, ma ciò nondimeno, le usiamo continuamente, e corrughiamo la fronte dal fastidio quando avvertiamo una loro violazione, anche se poi non sapremmo dire quale regola sia stata effettivamente violata, come si chiama e come viene formulata nei suoi termini più generali.
Queste constatazioni, assieme alla lettura di uno di quei libri che sono fonte di ispirazione per la vita, mi avevano lanciato verso un entusiastico studio ed approfondimento della materia.
Poi, come spesso purtroppo capita, gli approfondimenti seri diventano presto seriosi e l’entusiasmo si spegne repentinamente se non c’è un forte stimolo a proseguire. Nella mia libreria rimangono quindi un paio di libri di grammatica, che, pur essendo preziosi supporti nella soluzione dei dubbi che negli anni scolastici dei miei figli stanno diventando sempre più frequenti, non mi sognerei mai più di leggere dall’inizio alla fine come mi ero riproposto mentre li acquistai.
Il motivo è che l’argomento, così affrontato, è mortalmente tedioso. E allora, dopo aver gioito per la scoperta dei segreti che si celano sotto i nomi, dopo avere sviscerato le regole che sottendono l’utilizzo degli aggettivi, dopo avere affrontato la scivolosità dell’uso dei pronomi,… mi sono rotto un po’ le palle, per capirci. L’approccio sistematico di questo tipo, benché non si possa assolutamente dire arido, alla lunga diventa un po’ noiosetto.

L’interesse di cui sopra però rimane, tutto sta nel trovare una sua trattazione meno rigorosa.
E il libro in oggetto è esattamente ciò di cui avevo bisogno: un approccio serio e preciso, ma senza cadere nel tassonomico.
Il tema centrale è una sorta di battaglia contro quelli che l’autore chiama neo-crusc, ossia quelle persone che nel tentativo di difendere la lingua italiana dall’imbarbarimento, si arroccano su posizioni pressoché integraliste e intolleranti, senza rendersi conto che le regole che vanno brandendo come armi sono esse stesse contraddittorie, piene di eccezioni, già serenamene violate da illustrissimi autori e ormai praticamente (val più la pratica) trasgredite in tanti e tali modi da non potere essere più neanche definite regole.
Con questo intento, combattere le insostenibili rimostranze dei neo-crusc, Debenedetti affronta con piglio efficace e accattivante alcuni (non tutti, è vero) meccanismi della lingua italiana, dimostrandosi indulgente verso quelli che considera peccati veniali, soprattutto nell’uso parlato della lingua, spiegando che alcuni di questi sono errori che commettiamo tutti, nessuno escluso, quando parliamo (uno per tutti: l’anacoluto) e cerchiamo di esprimere un pensiero in maniera efficace e veloce magari sacrificando qualche norma grammaticale.
Questa sua battaglia è però più che altro un pretesto, perché forse certi intransigenti personaggi che lui descrive non esistono neanche. È un pretesto per affrontare alcuni temi della grammatica, per presentarli sotto punti di vista inconsueti arrivando anche, in certi passi, a un approccio decisamente tecnico. Quando succede però l’autore se ne scusa, ma a volte è inevitabile.
Ne viene fuori una trattazione insolita (mi pare, non sono certo un esperto) e gradevole, fuori dagli schemi più noiosi, ma senza cadere nel troppo semplice e, ammesso che l’argomento piaccia, sempre su toni decisamente interessanti.
Quindi se vi incuriosisce sapere come si configura l’enorme differenza tra dire al ristorante “Pago io” o “Io pago”, date una chance a questo libro, non vi dispiacerà.

0 commenti: