22 settembre 2009

21.097

21.097 metri, cioè circa 16.000 passi. È l’impresa che ho compiuto domenica scorsa partecipando alla mia prima gara podistica, la Turin Half Marathon.
Half Marathon sta ovviamente per “mezza maratona”, nel senso che la distanza è esattamente la metà, ma a parte questo pare che abbia poco altro a che spartire con la regina delle corse, dato che fare 42km e passa è tutta un’altra storia, fisiologicamente e psicologicamente, oltre ovviamente alla fatica in sé.
Per cui, quando su una rivista ho letto un articolo che incitava i podisti dilettanti a correre su quella distanza, ho lanciato la sfida a me stesso e mi ci sono iscritto.
Fare una gara significa prepararsi ad essa, e io negli ultimi 2 mesi e mezzo l’ho fatto con una precisione scientifica: tre allenamenti alla settimana, sveglia all’alba, o prima, per sfuggire il caldo estivo, sforzi a volte anche eccessivi, paura di farmi male. Ma con l’impressione esaltante, cronometro alla mano, che il lavoro stesse dando i risultati sperati con invidiabile generosità.
Così domenica sono arrivato alla partenza con una sensazione che francamente mi è capitata poche volte nella vita: l’idea che stavo per affrontare una prova importante (è una gara da amatore, lo so, è una cazzata, lo so, non è “veramente” importante, lo so, però alla fine lo diventa, come per tutti quelli che erano lì con me) perfettamente preparato, senza sensi di colpa per essere stato indolente, senza timori che le cose andassero storto, di fare grame figure.
E in effetti è stato così: mi sono divertito un sacco, dallo sparo alla partenza al passaggio sotto il traguardo alla fine. In mezzo ci sono state sensazioni sempre belle, esaltanti. Lo slalom iniziale tra la folla dei concorrenti più lenti, la corsa per le vie di Torino chiuse al traffico e dedicate alla gara, il sorpasso lento ma inesorabile di così tanti concorrenti (!), l’essere uno di quelli a cui gli addetti ai ristori si dedicavano a passare bicchieri e spugne con sollecita efficienza, il cronometro al polso che continuava a segnare tempi più bassi del previsto, il cielo che si manteneva clementemente coperto, le gambe che giravano bene, gli applausi della gente per strada (applaudivano me! Perfetti sconosciuti che mi incitavano!). Poi è arrivata la fatica, ma solo alla fine, solo negli ultimi chilometri, ma anche questa è stata una sensazione positiva, perché significava che avevo corso al massimo, che non avevo risparmiato nulla. E l’ultimo chilometro è stato da sofferenza pura, da denti stretti, da “corro ancora solo perché sta per finire”, da “se non finisce muoio”, da “non mollo, ma mi butterei per terra”. E poi il traguardo, col cronometro che segnava un tempo che non avrei mai sperato, e la gente che applaudiva, la voce dei miei bambini “dai papiiii!!!” e infine il traguardo superato, la gioia, la soddisfazione. La fatica che diventa orgoglio e appagamento.
E poi quella cameratesca solidarietà di chi ha condiviso le tue fatiche: i complimenti reciproci, il rispetto, l’ammirazione.
21.097 metri di sana e gioiosa fatica. Un’ora e mezzo[*] di concentratissimo e esultante impegno, senza tregue e senza cedimenti.
Ma quando mi ricapita?
Alla prossima gara, ovviamente!

[*] Anche meno: esattamente 1h27'05" (1h26'17" effettivi)

0 commenti: