31 dicembre 2008

Fumetti

I fumetti sono una cosa davvero particolare. L'immediatezza del messaggio che trasmettono, dovuta all'efficacissima associazione tra testi ed immagini, li rende un prodotto ideale per l'editoria infantile, e questo fatto li colloca istintivamente, nelle nostre associazioni immediate, ad un genere destinato solo a loro, o al più a brufolosi adolescenti con la passione per il Fantasy o i supereroi.
E invece, ovviamente, non è così. Ci sono fumetti per adulti, che trattano temi adulti, in modo adulto e per nulla infantile, anzi.
Li ho scoperti in questi giorni, pur avendoli corteggiati a lungo e per tante volte in libreria. Il motivo per cui non li ho mai comprati è stato uno sciocco (mi rendo conto) calcolo euro/minuto di lettura. Voglio dire, in genere i fumetti, per ragioni di stampa immagino, costano parecchio, mentre a leggerli ci si mette davvero poco. Poi dipende da fumetto a fumetto, ovviamente.
E così tutte le volte che mi sentivo ispirato da qualche volume, mi sono ritrovato a pensare che gli stessi soldi li avrei potuti impiegare nell'acquisto di qualche libro che mi tenesse compagnia per molto più tempo.
È un discorso sciocco, lo so, ma trovandomi nella piuttosto comune condizione di disponibilità di risorse finite, qualche scelta bisogna pur farla.
Poi, l'uovo di Colombo: la biblioteca. I miei familiari ne frequentano una dove si approvvigionano di libri per bambini (che hanno lo stesso identico problema euro/minuto di lettura, se non peggio) e un sabato mattina li ho accompagnati io. In quell'occasione ho scoperto che il reparto fumetti è abbastanza ben fornito e ne ho immediatamente approfittato.

Il primo che ho preso è stato Blankets di Craigh Thompson.
È un libro che nelle sue più di 500 pagine (ma costituite di tavole molto ampie e poco dettagliate, veloci da leggere quindi) racconta parte dell'infanzia e dell'adolescenza dell'autore, tra educazione rigorosamente religiosa, rapporti fraterni e educazione sentimentale.
A tratti comico e romantico è un libro che si legge davvero d'un fiato tanto riesce ad essere avvincente pur nella sua semplicità. Il suo unico difetto è proprio quello che dicevo prima: il costo. 29 euri tondi tondi...

Poi sono passato a Palestina di Joe Sacco. Qui il registro cambia decisamente. Si parla di guerra, quella sporca che si svolge tra arabi e israeliani in quella che dovrebbe essere la Terra Santa (e che proprio in questi giorni sta vedendo un ennesimo, forse inaudito, aumento della violenza). Il tutto viene visto come un reportage giornalistico che riporta racconti e testimonianze dei palestinesi.
Un reportage di parte quindi, ma dichiaratamente. Non mancano infatti le manifestazioni di scetticismo da parte dell'autore, e neppure le critiche che gli stessi palestinesi rivolgono all'autore stesso e in generale al giornalismo occidentale, ma la sensazione di fondo rimane comunque quella della documentazione di un'oppressione ingiusta e incivile, tollerata da tutto il mondo per ragioni meschine ed utilitaristiche.
Qualcosa su cui riflettere veramente, altroché roba per bambini.

30 dicembre 2008

Have A Nice Life - Deathconsciousness

L'ho scoperto solo in questi giorni (grazie alle classifiche dei best of 2008 che iniziano ad essere pubblicate), ma è un disco che è già in circolazione (ed apprezzatissimo) da diversi mesi.
Si tratta di un ambiziosissimo doppio album prodotto in cinque anni di lavoro da un duo di sconosciuti[1] ragazzotti di Middletown, Connecticut, che lavorando al chiuso delle loro camerette, con invidiabile pazienza e capacità hanno dato alla luce ad un opera straordinaria, sia nella forma che nel contenuto.
La promozione è avvenuta tramite passaparola, nei negozi è impossibile trovarlo[2] e di certo su MTV o RadioDJ passa pochino, ma ciononostante l'apprezzamento che gli si è tributato è pressoché generale e sono pronto a scommettere che la sua diffusione aumenterà ulteriormente con la pubblicazione delle playlist di fine anno (come è successo con me, appunto).
E anche nel loro caso, come i ben più noti Radiohead, sono pronto a scommettere che i guadagni derivanti da quei 5$ a copia saranno ben maggiori da qualsiasi altra ipotetica forma di distribuzione tradizionale
Ma di che si tratta? È un immensa opera gothic-rock, dove con questo si intendono tempi lenti, muri di chitarre elettriche, voci distorte e variamente trattate, armonie non troppo lontane dal melodico (ma nemmeno troppo vicine), atmosfere cupe, qua e la qualche drum-machine, spruzzate industrial...
Come se i My Bloody Valentine avessero incontrato i Sister Of Mercy, ma con echi di tantissime altre influenze (Nine Inch Nails, Joy Division, Earth, certi Tool, per iniziare, ma oggi mi sono venuti in mente pure i Tangerine Dream in certe introduzioni cosmic-music).
Loro stessi lo definiscono "the most depressing record in the history of music", con un pizzico di immodestia a parer mio, ma più che altro pubblicizzandosi male. Cioè, non che non sia un album cupo e a tratti pure lugubre - c'è però di peggio, per questo sono immodesti -, ma il suo ascolto è sufficientemente gradevole da non risultare affatto deprimente.
Rimane in ogni caso un lavoro impegnativo, difficilmente proponibile per la festa di capodanno, ma se dopo i bagordi intendete crogiolarvi nello spleen, o se come me avete avuto simpatie per il filone dark di qualche anno lustro fa, questo è davvero un grandissimo disco.
Procuratevelo.

[1] A me, ma pare che sia un sentimento assai diffuso
[2] Lo si può scaricare dal sito enemies.net al costo di 5$

The Music They Made

Secondo me queste cose non si dovrebbero fare prima dell'effettiva fine dell'anno. Sai com'è, potrebbe rimanere ancora fuori qualcuno...
In ogni caso a questo link trovate un bel ricordo dei musicisti che ci hanno lasciati in questo 2008.

29 dicembre 2008

Mark Haddon - Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte

Un libro agile e veramente piacevole da leggere.
Racconta le vicende di un ragazzino affetto dalla sindrome di Asperger, una forma di autismo altamente funzionale che da un lato crea tremende difficoltà nei rapporti interpersonali, e dall'altro permette lo sviluppo di facoltà specifiche di livello altissimo.
Il protagonista di questo romanzo per esempio, non sa comprendere una metafora, tipo "darsi una regolata", dà fuori di matto se viene toccato, si rifiuta di mangiare cibi che siano venuti in contatto tra di loro, detesta il giallo e il marrone, va in giro con un colorante rosso per rendere i cibi del suo colore preferito, non sa distinguere un sorriso sincero da un sarcasmo..., ma in matematica, suo principale campo di interesse, è un genio precoce, tanto da essere in grado di sostenere un esame di ammissione universitaria a soli 15 anni.
Il racconto prende spunto dal mistero di un cane ucciso nel giardino della sua vicina di casa e dall'impegno che si assume Christopher (questo il nome del protagonista) di risolvere il caso come farebbe il suo idolo letterario, Sherlock Holmes, ma poi si sviluppa in temi ben più pregnanti e fondamentali per la sua vita.
In tutto il libro Christopher è l'Io narrante, per cui ci si trova ad affrontare tutta la vicenda con gli occhi particolari di questo strambo ragazzino. Chiaramente il dubbio fondamentale che sorge leggendo quelle pagine è se l'interpretazione data dall'autore (che autistico non è) del modo di ragionare di un affetto dalla sindrome di Asperger sia realistica oppure un'invenzione inaffidabile. Alla fine pare che sia piuttosto verosimile (lo si può leggere qui, oppure semplicemente fidarsi della frase di Oliver Sacks riportata in copertina che lo definisce "Un romanzo commovente verosimile e molto divertente").
A parte la verosimiglianza, su cui ovviamente non avrei nulla da dire, io approvo in pieno il suo giudizio: è commovente e divertente allo stesso tempo, abbastanza appassionante da indurmi a leggerlo in un paio di giorni, e tutto sommato piuttosto istruttivo su quanto possa essere difficile trattare con persone con questo tipo di menti, al di là della simpatia e dell'affetto che normalmente ci trasmettono libri e film su questi temi.
Una lettura distensiva che vi consiglio caldamente.

Natale in casa mia

Dedicato a quelli che "avere dei figli significa diventare grandi".
Durante questi quattro giorni:
- Ho fatto un sacco di gare con la pista delle macchinine. Qualcuna vinta, qualcuna persa.
- Sono diventato un esperto montatore nonché autista del Camper di Barbie
- Padroneggio con sicurezza il Trenino Dentino: le sue luci e i suoi suoni non hanno segreti per me. Pure le forme, triangolo, cerchio e quadrato, le infilo nel buco giusto al primo colpo.
- Ho giocato almeno 10 partite a calcio balilla. In genere vinco io.
- Ho quasi imparato a memoria "La Balena", canzoncina educativa pro igiene dentale.
- Ho fatto a palle di neve e un paio di discese sullo stesso bob che usavo da bambino
- Ho giocato al Transatlantico di Polly, interpretando il ruolo di un bel fusto con lunghi capelli biondi

Tutto ciò non fa che rendere ancora più faticoso il mio rientro al lavoro...

10 dicembre 2008

Paolo Conte - Psiche

Ci sono delle certezze, per fortuna. Dei punti fermi sui quali potresti anche azzardare una piccola scommessa. Come quella costituita dall’acquisto di un CD.
E Paolo Conte è una certezza[1].
È un classico che affonda le sue radici in epoche per me talmente lontane che è come se ci fosse da sempre, come il profilo delle montagne che circondano il suo (e mio) Piemonte.
Alcuni dettagli mutano, ovviamente, come il suono della sua voce, sempre più roca e meno estesa, ma la forza evocativa dei versi che canta è sempre potente come ai tempi di Bartali e del Gelato al Limon.
E le musiche, le musiche…
Sono sempre melodie tutto sommato semplici, ma sempre abbastanza eleganti e piacevoli da scansare con savoir-faire il rischio della banalità. Gli arrangiamenti sono spesso bastardi, mischiano stili e influenze che vanno dai bistrot francesi alle feste balcaniche, sempre con il pianoforte del padrone di casa a fare da centro per ogni melodia. I temi dei testi non si discostano molto dalle preferenze dell’avvocato: poesie ermetiche o evocazioni in bianco e nero, sempre abbastanza suggestivi da lasciare spazio alle interpretazioni più libere di chi li ascolta.
Non che non ci siano degli episodi meno felici, qualche canzone sembra non aver trovato il giusto abbrivio per decollare come le altre, ma quando a quasi settantadue anni si pubblica ancora un disco, e questo disco contiene 15 canzoni, qualche piccola scivolata la si può tranquillamente perdonare.

A proposito di scivolate: questa mattina il CD girava nel lettore della mia auto mentre scendevo verso la città sotto la neve. C’era pure un po’ di nebbia, le condizioni stradali imponevano una marcia a passo d’uomo, la neve decorava meravigliosamente gli alberi ai lati della strada e la sua voce mi scaldava il cuore.
Alla fine sono giunto al lavoro abbastanza regolarmente, ma se per caso fossi stato costretto a fermarmi lì, beh, poco male. L’atmosfera era davvero perfetta.

[1] Un po’ esagero, ovviamente. Per esempio lo scorso album, Elegia, non mi è piaciuto molto. Ma comunque non mi sono pentito di averlo comprato.

A proposito di diritti umani

È già passato un mese da quando la Corte di Cassazione ha decretato il diritto della famiglia di Eluana Englaro a porre fine ad una esistenza che di umano non ha ormai più niente, da anni.
Ora, dopo che il cattolicissimo governo della Lombardia ha imposto il suo rifiuto in tutte le strutture della Regione, dopo che pure la Regione Toscana ha detto il suo no, nemmeno ad Udine il padre della ragazza avrà la possibilità di vedere la fine del calvario suo e di sua figlia.

Siamo un paese misero e triste, dove chi ha il potere si ritiene in diritto di applicarlo in modo arrogante strafottendosene di tutto e di tutti, dalle semplici opinioni altrui, ai credo più profondi, fino alle sentenze del più alto organo giudicante del paese.
Solo quello che pensano loro è buono e giusto, e se gli altri hanno opinioni diverse sono in errore, chiunque essi siano.

Loro sì che sono davvero morti.

10 dicembre 1948

Oggi si celebra il sessantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo.
Vale la pena rileggersela tutta e riflettere su quanto siano applicati nel mondo i trenta articoli che la compongono.
E purtroppo non solo dall'altra parte del pianeta, ma pure vicino a noi. Molto vicino.

Riporto qui il primo articolo, quello che da solo sarebbe sufficiente a migliorare (e di molto) le cose del pianeta:

Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

7 dicembre 2008

Il deludente gusto della madeleine

PREMESSA

(di cui non ci dovrebbe essere bisogno, ma non è mica detto che tutti sappiano le stesse cose)

L’intera meravigliosa recherche di Proust prende spunto da un piccolo episodio capitato all’autore. Questi, accettando l’offerta di un tè con pasticcini, si ritrova a vivere una epifania di ricordi vivissimi e involontari, stimolati dall'aver assaggiato una madeleine, una piccola pasta a forma di conchiglia.

Da subito non riesce a spiegarsi questo turbinio di sensazioni che lo ha assalito, poi a poco a poco mette a fuoco e si rende conto che quel biscotto è lo stesso che gli offriva sua zia quando era bambino. È stato il semplice sapore di quel biscotto, mai più assaggiato dopo l’infanzia, a risvegliare la sua memoria involontaria e a fare riemergere come un’eruzione i mille ricordi che costituiscono poi le migliaia di pagine dell’opera.


Nel mio piccolo, oggi ho fatto esperienza analoga ascoltando concert- the cure live. Chi mi conosce personalmente e mi frequentava ai tempi della mia adolescenza, sa bene quanto allora mi piacesse questo gruppo e, tra i non moltissimi dischi che avevano pubblicato fino ad allora[1], quanto amassi questo in modo particolare.

Ieri mi sono trovato a passare per caso di fronte ad un negozio di dischi in liquidazione, l’ennesima vittima dei megastore, e ovviamente mi sono gettato a compiere atto di sciacallaggio andando a ravanare tra la merce in svendita. Mi sono portato a casa alcune cose per pochi euro e tra esse c’era appunto questo disco, che probabilmente non avrei mai comprato[2] se non mi fosse stato offerto ad un prezzo irrisorio.

Oggi, complice una piccola baruffa familiare e conseguente aria imbronciata che sconsigliava obiezioni, ho avuto la rara possibilità di mettere su un disco a mio piacimento e me lo sono ascoltato per intero. Non sto ad elencare la miriade di ricordi che quelle dieci canzoni hanno risvegliato in me durante l’ascolto, ma per circa un’ora ho vagato tra immagini ed emozioni vecchie di quasi quattro lustri[3], ambientati in quegli incredibili anni ’80 che videro la mia adolescenza.

Quello che però mi ha sorpreso (negativamente) è la qualità della musica e delle canzoni di quel disco.

So che è ingiusto e ingrato giudicare le cose del passato con gli occhi del presente, ma il punto non è la qualità in sé della musica o il suo essere datata. Il punto è che ho avuto modo di constatare quanto miseri fossero i miei gusti musicali di allora. E anche in questo sarei ingiusto nei miei confronti (in fondo avevo dai 15 ai 17 anni), se non fosse che allora mi ritenevo un cazzutissimo alternativo.

Cioè, quelli erano gli anni in cui spopolavano i paninari, con le loro colonne sonore a ritmo di Duran Duran, Spandau Ballet, Wham! e orrori del genere, per cui, andarsene in giro a dire “a me mi piacciono i Cure, Siouxsie e i Joy Division[4]” faceva davvero strano, si rischiava di venire messi al bando da certe comunità, senza scherzi. E se avevi il fegato di sbandierarlo, allora eri davvero un figo. O un pirla, dipende dalla comunità a cui apparteneva chi ti giudicava (bei tempi, eh?).

Beh, per farla breve, quello che mi ha sorpreso riconoscere oggi è stato che in fondo c’era molta meno differenza tra i The Cure e i Duran Duran che tra un piumino Moncler e una sua imitazione. Dico sul serio, ho messo questo disco con la stessa aria cospirativa con cui mi atteggiavo allora, come se stessi per riversare dalle casse qualcosa di veramente fuori dall’ordinario e invece ne sono scaturiti ritmi pari che non escono mai dai 2/4 o al più (!) 4/4, melodie che non sgarrano dai gradi fondamentali, rime baciate, assoli fischiettabili, perfette alternanze di strofe e ritornelli,…

Insomma, alla fin fine quelle canzoni erano fatte della stessa identica pasta delle canzoni cantate dai gruppi rivali. Magari avevano un po’ meno synth, batterie elettroniche o coretti, ma il succo era davvero lo stesso.

E allora?

Beh, innanzitutto queste considerazioni ridimensionano un po’ l’immagine “fuori dal gregge” che ho di me a quei tempi. Ma questi sono problemi miei.

Poi aprono un ragionamento interessante sulla forza di certa musica commerciale e sulla sua capacità di travestirsi in modo da risultare appetibile anche a persone che hanno (o vorrebbero avere) filosofie di vita piuttosto differenti. O meglio (e più correttamente): su come certe derive stilistiche, quali il filone alternativo post-punk degli anni fine-70-inizio-80, siano state prese a modello estetico, superficiale, per creare dei cloni che ne incarnassero il ruolo, ma prettamente in ambito pop. In altre parole: c’era allora un intenso e interessante fenomeno musicale underground, che per la sua stessa essenza recava con sé la sua importante dose di fascino. Bene, a fronte di questo si è creato un mondo che ne imitava l’aspetto esteriore (colori scuri, testi negativi o depressi, atmosfere melanconiche), ma offrendosi al pubblico in maniera orecchiabile e facilmente digeribile, in modo da trasformare un fenomeno di ribellione in una moda, che è l’esatto opposto di una ribellione.

Non fraintendetemi: non parlo di Grandi Fratelli o di regie occulte atte a soffocare le manifestazioni devianti. Semplicemente constato come la spinta commerciale sia in grado di assimilare qualsiasi fenomeno culturale, anche quelli più estranei o addirittura ostili ad essa, per sfruttarli a vantaggio di un redditizio successo popolare[5].

E poi, infine, proprio per non dire del tutto male di questo disco, mi piace riconoscere come gli episodi che all’ascolto di oggi mi sono sembrati ancora almeno un po’ interessanti, siano quelli che a quel tempo consideravo più trascurabili[6]. In particolare, poi, noto che questi coincidono con le canzoni del primo album dei nostri (Three imaginary boys, effettivamente ancora oggi un bel frutto acerbo) e che questo definisce la carriera dei Cure più come un’inesorabile discesa che come una parabola.

E, veramente per ultimo: per quanto mi riguarda, è forse il caso di imparare la lezione e di riflettere qualche istante sulla considerazione che oggi ho per i miei gusti musicali. Vedremo se passeranno il mio giudizio fra altri venticinque anni.


[1] i The Cure sono ancora in giro e la loro discografia è diventata di una lunghezza abnorme. Più che altro imbarazzante se si pensa che, almeno nel look e in certe pose, scimmiottano ancora i se stessi di venticinque anni fa.

[2] Il motivo è che in fondo quello che descrivo oltre me lo aspettavo.

[3] Madonna!

[4] Sì, i Joy Division sono su un altro pianeta, lo so, ma allora finiva tutto nello stesso calderone

[5] Che poi alla fine magari si traduce in un semplicissimo "Ragazzi, se volete vendere qualche disco, dovete ammorbidire un po' i toni" detto da un produttore o da un membro stesso della band. Ma l'effetto è poi quello.

[6] Lo so: questo la dice ancora più lunga sui miei gusti di allora, ma stiamo facendo atto di contrizione. Facciamolo fino in fondo.

3 dicembre 2008

Non sembra, ma son vivo

Sto trascurando il blog. E mi spiace, più che altro perché è una cosa che nel suo piccolo mi da soddisfazione, e che, moderno ed adulto tamagotchi dovrebbe essere nutrito e curato frequentemente per non morire. E più passa il tempo e più mi dispiace di non scrivere, e più mi dispiace e più cresce la sindrome da pagina bianca...
Quindi mi metto di impegno e parlo un po' delle cose che mi succedono in questi giorni, ovviamente riferendomi alle mie esplorazioni musicali e letterarie, che dei fatti miei propriamente detti non credo ci si possa interessare più di tanto.

Ho letto Mattatoio N.5.
Bello.
Cioè carino.
Insomma, mi ha un po' deluso. È piuttosto universalmente acclamato come un capolavoro, ma io non sono riuscito ad entusiasmarmi. Dovrebbe essere un intenso pamphlet anti-guerra, e per certi versi lo è, nel descriverla in maniera grottesca e assurda attraverso gli occhi di un particolarissimo miserabile. Ma nel complesso la trama si rivela a volte troppo semplicistica, troppo superficiale rispetto ai temi smodatamente impegnativi che mi aspettavo che avrebbe trattato. Opinione del tutto personale eh, che, ripeto, probabilmente è troppo viziata da aspettative sbagliate.

Ho ascoltato Dark Developments di Vic Cesnutt & Elf Power. Bello, questo sì.
Per me questo autore (Chesnutt) è una scoperta abbastanza recente, dei tempi del suo penultimo disco, North Star Deserter, un piccolo bellissimo capolavoro dell'anno scorso. Ora si riconferma alla grande, con toni appena un po' più classic-folk, ma ancora ricco di atmosfere moderne e mai banali.

Ho ascoltato The Camel's Back dei PSAPP. Anche questi sono una recente scoperta. Il primo album (The Only Thing I Ever Wanted) era molto vicino al concetto di "duo indie lui-lei, acustica ed elettronica, un po' toy orchestra sbarazzina, un po' piano-bar da festa" non proprio raro nei meandri alternativi. Con questo disco si dimostrano molto cresciuti, senza perdere del tutto la loro aria giocosa, si concedono colori più intensi e corposi, più deviazioni verso tematiche più serie, dal funky all'orchestrale. Bello e divertente.

Ho iniziato a leggere La Gang del Pensiero (di Tibor Fisher). Non so, non mi sta prendendo un granché benché ne abbia sentito dire dappertutto un gran bene. Sarà che per ora (ma sono ancora alle prime pagine) è un po' troppo sullo stile "simpatico intellettuale scalcinato" e io forse non ho più l'età per stupefarmi di fronte alla verve dei simpatici intellettuali scalcinati, ma per ora non decolliamo ancora.
Vedremo, ne dirò.

Così, tanto per fare sapere che sono vivo e vegeto.