PREMESSA
(di cui non ci dovrebbe essere bisogno, ma non è mica detto che tutti sappiano le stesse cose)
L’intera meravigliosa recherche di Proust prende spunto da un piccolo episodio capitato all’autore. Questi, accettando l’offerta di un tè con pasticcini, si ritrova a vivere una epifania di ricordi vivissimi e involontari, stimolati dall'aver assaggiato una madeleine, una piccola pasta a forma di conchiglia.
Da subito non riesce a spiegarsi questo turbinio di sensazioni che lo ha assalito, poi a poco a poco mette a fuoco e si rende conto che quel biscotto è lo stesso che gli offriva sua zia quando era bambino. È stato il semplice sapore di quel biscotto, mai più assaggiato dopo l’infanzia, a risvegliare la sua memoria involontaria e a fare riemergere come un’eruzione i mille ricordi che costituiscono poi le migliaia di pagine dell’opera.
Nel mio piccolo, oggi ho fatto esperienza analoga ascoltando concert- the cure live. Chi mi conosce personalmente e mi frequentava ai tempi della mia adolescenza, sa bene quanto allora mi piacesse questo gruppo e, tra i non moltissimi dischi che avevano pubblicato fino ad allora[1], quanto amassi questo in modo particolare.
Ieri mi sono trovato a passare per caso di fronte ad un negozio di dischi in liquidazione, l’ennesima vittima dei megastore, e ovviamente mi sono gettato a compiere atto di sciacallaggio andando a ravanare tra la merce in svendita. Mi sono portato a casa alcune cose per pochi euro e tra esse c’era appunto questo disco, che probabilmente non avrei mai comprato[2] se non mi fosse stato offerto ad un prezzo irrisorio.
Oggi, complice una piccola baruffa familiare e conseguente aria imbronciata che sconsigliava obiezioni, ho avuto la rara possibilità di mettere su un disco a mio piacimento e me lo sono ascoltato per intero. Non sto ad elencare la miriade di ricordi che quelle dieci canzoni hanno risvegliato in me durante l’ascolto, ma per circa un’ora ho vagato tra immagini ed emozioni vecchie di quasi quattro lustri[3], ambientati in quegli incredibili anni ’80 che videro la mia adolescenza.
Quello che però mi ha sorpreso (negativamente) è la qualità della musica e delle canzoni di quel disco.
So che è ingiusto e ingrato giudicare le cose del passato con gli occhi del presente, ma il punto non è la qualità in sé della musica o il suo essere datata. Il punto è che ho avuto modo di constatare quanto miseri fossero i miei gusti musicali di allora. E anche in questo sarei ingiusto nei miei confronti (in fondo avevo dai 15 ai 17 anni), se non fosse che allora mi ritenevo un cazzutissimo alternativo.
Cioè, quelli erano gli anni in cui spopolavano i paninari, con le loro colonne sonore a ritmo di Duran Duran, Spandau Ballet, Wham! e orrori del genere, per cui, andarsene in giro a dire “a me mi piacciono i Cure, Siouxsie e i Joy Division[4]” faceva davvero strano, si rischiava di venire messi al bando da certe comunità, senza scherzi. E se avevi il fegato di sbandierarlo, allora eri davvero un figo. O un pirla, dipende dalla comunità a cui apparteneva chi ti giudicava (bei tempi, eh?).
Beh, per farla breve, quello che mi ha sorpreso riconoscere oggi è stato che in fondo c’era molta meno differenza tra i The Cure e i Duran Duran che tra un piumino Moncler e una sua imitazione. Dico sul serio, ho messo questo disco con la stessa aria cospirativa con cui mi atteggiavo allora, come se stessi per riversare dalle casse qualcosa di veramente fuori dall’ordinario e invece ne sono scaturiti ritmi pari che non escono mai dai 2/4 o al più (!) 4/4, melodie che non sgarrano dai gradi fondamentali, rime baciate, assoli fischiettabili, perfette alternanze di strofe e ritornelli,…
Insomma, alla fin fine quelle canzoni erano fatte della stessa identica pasta delle canzoni cantate dai gruppi rivali. Magari avevano un po’ meno synth, batterie elettroniche o coretti, ma il succo era davvero lo stesso.
E allora?
Beh, innanzitutto queste considerazioni ridimensionano un po’ l’immagine “fuori dal gregge” che ho di me a quei tempi. Ma questi sono problemi miei.
Poi aprono un ragionamento interessante sulla forza di certa musica commerciale e sulla sua capacità di travestirsi in modo da risultare appetibile anche a persone che hanno (o vorrebbero avere) filosofie di vita piuttosto differenti. O meglio (e più correttamente): su come certe derive stilistiche, quali il filone alternativo post-punk degli anni fine-70-inizio-80, siano state prese a modello estetico, superficiale, per creare dei cloni che ne incarnassero il ruolo, ma prettamente in ambito pop. In altre parole: c’era allora un intenso e interessante fenomeno musicale underground, che per la sua stessa essenza recava con sé la sua importante dose di fascino. Bene, a fronte di questo si è creato un mondo che ne imitava l’aspetto esteriore (colori scuri, testi negativi o depressi, atmosfere melanconiche), ma offrendosi al pubblico in maniera orecchiabile e facilmente digeribile, in modo da trasformare un fenomeno di ribellione in una moda, che è l’esatto opposto di una ribellione.
Non fraintendetemi: non parlo di Grandi Fratelli o di regie occulte atte a soffocare le manifestazioni devianti. Semplicemente constato come la spinta commerciale sia in grado di assimilare qualsiasi fenomeno culturale, anche quelli più estranei o addirittura ostili ad essa, per sfruttarli a vantaggio di un redditizio successo popolare[5].
E poi, infine, proprio per non dire del tutto male di questo disco, mi piace riconoscere come gli episodi che all’ascolto di oggi mi sono sembrati ancora almeno un po’ interessanti, siano quelli che a quel tempo consideravo più trascurabili[6]. In particolare, poi, noto che questi coincidono con le canzoni del primo album dei nostri (Three imaginary boys, effettivamente ancora oggi un bel frutto acerbo) e che questo definisce la carriera dei Cure più come un’inesorabile discesa che come una parabola.
E, veramente per ultimo: per quanto mi riguarda, è forse il caso di imparare la lezione e di riflettere qualche istante sulla considerazione che oggi ho per i miei gusti musicali. Vedremo se passeranno il mio giudizio fra altri venticinque anni.
[1] i The Cure sono ancora in giro e la loro discografia è diventata di una lunghezza abnorme. Più che altro imbarazzante se si pensa che, almeno nel look e in certe pose, scimmiottano ancora i se stessi di venticinque anni fa.
[2] Il motivo è che in fondo quello che descrivo oltre me lo aspettavo.
[3] Madonna!
[4] Sì, i Joy Division sono su un altro pianeta, lo so, ma allora finiva tutto nello stesso calderone
[5] Che poi alla fine magari si traduce in un semplicissimo "Ragazzi, se volete vendere qualche disco, dovete ammorbidire un po' i toni" detto da un produttore o da un membro stesso della band. Ma l'effetto è poi quello.
[6] Lo so: questo la dice ancora più lunga sui miei gusti di allora, ma stiamo facendo atto di contrizione. Facciamolo fino in fondo.
2 commenti:
eh no!!!!così mi cade un mito però!!!!....passi che mi distruggi i Duran Duran che dall'alto dei miei 5 anni ascoltavo appassionatamente!!!!(chiaramente la colpa era dell'altro fratello..hihihi!!!!)...ma se demolisci pure i Cure...il Tuo gruppo!!!!! per il quale un ferragosto ti sei pure travestito...non posso reggerlo...sigh!!
:-)
però mi sa che se oggi fossi ancora appassionato a cose che ascoltavo più di vent'anni fa, la cosa sarebbe ancora più deludente. o no?
comunque ricordi male: non fu a ferragosto che mi vestii da dark.
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