Voilà:


La vignetta (e quindi l'ovvio copyright) è di Stefano Disegni.
alla deriva nel mare magnum
Il peggio poi è che questi carri si radunano tutti in una piazza per dare seguito alla festa, e lì fanno a gara a chi pompa più forte, producendo di fatto una cacofonia terribile e incomprensibile che toglie ogni spazio alla comunicazione mettendo pure a repentaglio la salute dei timpani dei partecipanti.
Beh, mi son detto: se questa forma di “festa” ha diritto di essere (e ne ha, ci mancherebbe) ha pure senso una ben più consapevole creazione industriale rumorosa come quella degli Einstürzende Neubeuten. E vi assicuro che dopo tale strazio uditivo, la litania angosciante di Negativ Nein sembra ancora melodiosa.
E dato che gli Einstürzende Neubauten celebrano l’alienazione, è tutto dire.
Non mi è mai piaciuto il fare tribunizio di Michele Santoro, condito spesso da una faziosità ormai fine a sé stessa: un ruolo interpretato ad arte perché il telegiornalista ex-epurato dalla Rai "è quella cosa lì". Riconoscibile e svettante proprio perché fazioso, Santoro non è più un semplice giornalista, ormai è un brand, che ha tuttavia il pregio di scegliere spesso ospiti interessanti, che non frequentano molto il tubo catodico.
Tra gli ospiti della puntata di ieri della trasmissione Annozero c'erano il direttore di Panorama Maurizio Belpietro e il fisico Carlo Rubbia. Con un intervento mirato ed estremamente chiaro, Rubbia ha spiegato perché il nuovo piano energetico per l'Italia non potrà essere basato solo sul nucleare, tecnologia ormai sicura, ma talmente costosa da vanificare il reale risparmio ottenuto non comprando più energia dall'estero.
Belpietro, l'uomo che sta al giornalismo come Biscardi all'Accademia della Crusca, ha ferocemente contestato le osservazioni di Rubbia, sparando dati e cifre apparentemente a caso. Infatti, nel giro di cinque minuti, il fisico ha puntualmente smontato l'inconsistente invettiva di Belpietro, il quale naturalmente continuava a sostenere di avere ragione.
Mentre osservavo allibito la scena, un pensiero mi ha crivellato il cervello: ti accorgi che la fine del mondo è vicina quando un tizio travestito da giornalista, che non sa nemmeno cosa sia un neutrone, pretende a tutti i costi di saperne di più di un premio Nobel per la fisica. Fossi un atomo di Belpietro avrei già iniziato un'intensa fissione...
Per quanto mi riguarda ho avuto conferma che De Gregori è un cantautore degnissimo del rispetto istintivo che gli tributavo. Sa stare sul palco, e ci mancherebbe, dopo una carriera di più di trent’anni di carriera, ma lo fa sempre in un modo talmente impacciato da suscitare se non almeno tenerezza, almeno simpatia. Insomma, sembra quasi stupito dei calorosi e frequenti applausi, ringrazia come dire “Ma siete sicuri?”, invita all’applauso per la band, parla poco ma sorride tanto.
Una cosa che mi ha poi toccato particolarmente, che emerge pure nei dischi, ma che dal vivo è molto evidente: ha una bellissima voce. Voglio dire, non dal punto di vista tecnico, assolutamente, ma nel senso estetico. È una voce che fa piacere sentire, che interpreta magistralmente le proprie canzoni, che incarna alla perfezione il ruolo di folk-singer italico al punto che, tutto sommato, non sfigura affatto tra i suoi ispiratori d’oltre oceano.
Il concerto è durato poco più di due ore, due ore e mezza, contando una lunga pausa che mi ha permesso di fare un giro per lo splendido foyer dello splendido Teatro Regio e mi pare che abbia lasciato tutti soddisfatti, per scaletta, durata, affabilità del cantautore (mia moglie mi raccontava di un suo concerto di qualche anno fa in cui si era comportato in modo freddissimo e scorbutico), acustica e arrangiamenti. Io sono solo un po’ perplesso su quest’ultimo punto, non tanto per le scelte quanto per l’interpretazione di alcuni strumentisti. Mi sbaglierò, ma secondo me qualcuno ha litigato un po’ con la chitarra.
Comunque rimango anche stavolta convinto che il prezzo di questi concerti sia davvero eccessivo, soprattutto paragonato agli smandrappati gruppi che amo più spesso seguire, ma almeno ‘stavolta, a parte questo, non ho quasi nulla di cui lamentarmi.
Un ultima nota a riguardo del titolo: questa volta non c’entrano i traduttori, quella di citare nientepopòdimeno che Totò (siamo uomini o caporali?) e pure il volere spingere a forza un trattato che è per il 90% scienza e solo nella sua coda finale bio-etica, nella polemica sulla “sacralità della vita”, è una esplicita scelta editoriale (e pure dell’autore?) che la dice lunga su quanto sia tenuta in considerazione la sete culturale dei frequentatori di librerie: un titolo serio e non polemico non vende, meglio buttarla sulla boutade o sulla rissa.