Ma sotto sotto lo stimavo. E il motivo era piuttosto semplice: nelle sue ultime canzoni non si capisce più che cazzo stia dicendo. Voglio dire, non che a me faccia così piacere rimanere perplesso ascoltando interminabili litanie di concetti slegati (…Pezzi di bastone, pezzi di carota/Pezzi di motore contro pezzi di ruota/Pezzi di fame, pezzi di immigrazione…), ma trovo ammirevole che un artista che avrebbe potuto continuare a fare soldi a palate scrivendo canzoni strappa-brividi, abbia scelto di deviare verso una direzione meno accessibile, meno popolare e quindi meno facile.
Per cui, quando un bel po’ di mesi fa ho scoperto che era in tournee e che sarebbe passato da Torino in un momento che si prevedeva quieto dal punto di vista logistico-familiare, ho fatto il bel gesto di comprare un paio di biglietti per me e mia moglie, tra le prime file del Teatro Regio per lo spettacolo di due giorni fa.
E come è andata? Beh, direi senz’altro bene, il concerto è stato bello e coinvolgente, l’atmosfera era perfetta, il teatro pure.
Innanzitutto il pubblico: decisamente over 30, ma per ampie fette pure over 40 o 50. Gente tranquilla, giacche di velluto a iosa, barbe e occhialini intellettuali, entusiasmo composto.
Poi la band: due chitarre, una pedal-steel guitar, tastiere e piano, batteria e basso. Tutti buoni musicisti, qualcuno secondo me non all’altezza, ma comunque niente di grave.
E poi lui, in gessato con camicia bianca, cravatta nera e cappello sempre calato sulla testa, come nella foto qui sopra (a parte camicia e cravatta), con la chitarra al collo per quasi tutto il concerto.
La scaletta (anomala, a sentire gli aficionados che commentavano alle mie spalle) è iniziata prima con i pezzi vecchi, gli storici (Titanic, La leva calcistica della classe '68, Generale, Rimmel,…), poi dopo una pausa alcune canzoni più recenti, quelle che dicevo sopra, meno accattivanti e comprensibili, infine il bis, con la Donna cannone, La valigia dell’attore (interpretata in modo piuttosto teatrale, quasi didascalico nell’evidenziare quanto fosse non solo autobiografica, ma pure strettamente legata alla sua condizione di artista viaggiante in quel momento) e una Buonanotte fiorellino completamente riarrangiata.
Per quanto mi riguarda ho avuto conferma che De Gregori è un cantautore degnissimo del rispetto istintivo che gli tributavo. Sa stare sul palco, e ci mancherebbe, dopo una carriera di più di trent’anni di carriera, ma lo fa sempre in un modo talmente impacciato da suscitare se non almeno tenerezza, almeno simpatia. Insomma, sembra quasi stupito dei calorosi e frequenti applausi, ringrazia come dire “Ma siete sicuri?”, invita all’applauso per la band, parla poco ma sorride tanto.
Una cosa che mi ha poi toccato particolarmente, che emerge pure nei dischi, ma che dal vivo è molto evidente: ha una bellissima voce. Voglio dire, non dal punto di vista tecnico, assolutamente, ma nel senso estetico. È una voce che fa piacere sentire, che interpreta magistralmente le proprie canzoni, che incarna alla perfezione il ruolo di folk-singer italico al punto che, tutto sommato, non sfigura affatto tra i suoi ispiratori d’oltre oceano.
Il concerto è durato poco più di due ore, due ore e mezza, contando una lunga pausa che mi ha permesso di fare un giro per lo splendido foyer dello splendido Teatro Regio e mi pare che abbia lasciato tutti soddisfatti, per scaletta, durata, affabilità del cantautore (mia moglie mi raccontava di un suo concerto di qualche anno fa in cui si era comportato in modo freddissimo e scorbutico), acustica e arrangiamenti. Io sono solo un po’ perplesso su quest’ultimo punto, non tanto per le scelte quanto per l’interpretazione di alcuni strumentisti. Mi sbaglierò, ma secondo me qualcuno ha litigato un po’ con la chitarra.
Comunque rimango anche stavolta convinto che il prezzo di questi concerti sia davvero eccessivo, soprattutto paragonato agli smandrappati gruppi che amo più spesso seguire, ma almeno ‘stavolta, a parte questo, non ho quasi nulla di cui lamentarmi.
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