3 gennaio 2008

Muriel Barbery - L'eleganza del riccio

È stato il mio penultimo libro letto nel 2007 (dell’ultimo, altrettanto bello, parlerò a breve), divorato praticamente tutto durante lunghe ore passate in rumorose sale d’attesa. Questo dettaglio solo per dire che tra i vari pregi che ha c’è quello di essere sufficientemente coinvolgente da indurre all’isolamento pure in situazioni poco adatte alla lettura.
È scritto in prima persona da due protagoniste diverse (alternando capitoli relativi all’una e all’altra) che vivono nello stesso palazzo di una zona elegante di Parigi. Una (che poi è il personaggio principale) è la portinaia, l’altra, di poco secondaria, è la figlia di facoltosi inquilini del signorile edificio. Entrambe però incarnano i loro ruoli solo superficialmente e tengono ben nascosta la loro vera identità di persone eccezionalmente colte e sensibili, facendo tutto il possibile affinché le altre persone si fermino solo all’apparenza, cosa che peraltro gli riesce benissimo grazie alla superficialità degli altri personaggi.
L’autrice è una professoressa di filosofia e dalle pagine del libro si capisce piuttosto chiaramente che questa non deve essere solo una professione, ma un’autentica passione. Infatti, in un contesto tutto sommato leggero come possono essere le vicende di due personaggi inseriti loro malgrado in un contesto troppo borghese per i loro gusti, si dipanano ad ogni pretesto riflessioni di carattere filosofico che vanno dalla sociologia, alle lotte di classe, all’Arte. È soprattutto quest'ultimo l’aspetto che più viene analizzato e approfondito soprattutto dalla portinaia, toccandone più volte forme diverse: cinema, musica e letteratura in primis.
Tenuto presente che non si tratta né di un libro di pura avventura ne’ di un saggio filosofico, l’autrice è sufficientemente sapiente nel mantenere un buon equilibrio tra questi due ingredienti, da evitare il rischio della noia su entrambi i fronti. Per forza di cose però al di là delle due protagoniste principali (anzi, a ben pensarci, soprattutto una delle due, la portinaia), gli altri personaggi sono dipinti un po’ troppo come macchiette, interpretando senza troppe sfumature i ruoli assegnati di ricchi snob. Questo aspetto, pur essendo di per sè veniale, acquista un peso maggiore per il continuo riferimento a Tolstoij, un tizio che non aveva il timore di scrivere migliaia di pagine pur di mostrarci le molteplici e inevitabili sfaccettature dell’animo umano.
Al di là di questo comunque rimane un bel libro, non un capolavoro magari, ma senz’altro abbastanza piacevole da meritare di essere letto.
E poi, lo ammetto, a me è capitato, si finisce davvero con l’affezionarsi a quella strana portinaia che sotto il suo vestito da qualche euro e le ciabatte d’ordinanza nasconde il tesoro di un animo nobile forse pure più di noi stessi.

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