Dopo il concerto di sabato scorso ho raddrizzato le antenne nei confronti del jazz italiano e sono venuto a sapere di questo disco, che non mi è ancora chiaro se sia del 2008 o del 2009 (trovo commenti solo a partire dal 2009, ma sul cd c’è scritto 2008, ed è stato effettivamente registrato la scorsa estate. Sarà semplicemente un ritardo di pubblicazione).
Ne ho sentito parlare bene, l’ho accattato e ora ve lo consiglio vivamente.
Roberto Gatto è un batterista e costituisce un raro esempio di batterista-band leader e compositore (esempio raro, ma dagli illustrissimi precedenti, Max Roach e Art Blakey su tutti), molto molto apprezzato sia qui da noi che all’estero.
Per l’occasione ha riunito intorno a sé 4 bravissimi compari: Paolo Fresu alla tromba e flicorno, Stefano Bollani al piano e rhodes, Daniele Tittarelli ai sax e Rosario Bonaccorso al basso e ha registrato un disco bellissimo di cose sue e di cover (nel senso jazzistico) di brani fuori dall’usuale repertorio del jazz.
Infatti degli 11 brani che compongono l’album, 6 sono a firma sua e gli altri 5 sono pescati qua e la dal pop e pure dall’opera. La band si cimenta infatti con un pezzo di Elvis Costello (You Left Me in the Dark), uno di Ennio Morricone (A Fistful of Dynamite, cioè il tema di Giù la testa), uno di Mina (cioè non di Mina, ma a suo tempo interpretato da lei, quindi come se fosse: Le tue mani), l’aria di Vesti la Giubba (Doninzetti, Riiidiii pagliaaaccioooo…) e infine addirittura un pezzo degli Chic (At last I am free).
Nelle note di copertina Gatto si accosta ad alcuni Grandi (Miles Davis, Sonny Rollins, Duke Ellington) che come lui attinsero dal repertorio pop per reinterpretare i brani in chiave jazz, analogamente a quanto si faceva un tempo con i grandi successi di Brodway (così sosteneva Miles Davis a giustificazione dei suoi sbandamenti verso Time after time di Cindy Lauper o Human nature di Michael Jackson).
Personalmente trovo che sia sempre un po’ rischioso, se non presuntuoso, accostarsi -per iscritto poi- a simili mostri sacri, ma in questo caso Gatto si pone al loro fianco solo per l’attitudine non tanto per i risultati. Che poi a ben vedere quelli di Miles Davis furono abbastanza raccapriccianti.
E comunque il risultato di questo disco è davvero buono, variegato negli stili interpretati e splendidamente suonato da tutti i protagonisti e soprattutto, nonostante si dica che il leader abbia lasciato piena libertà agli altri strumentisti, si avverte nettamente una decisa conduzione ed equilibrata orchestrazione che evita ogni momento di calo di tensione o di mancato coordinamento.
Ora, sull’onda di una delle mie solite effimere e brucianti passioni, mi sto indirizzando con grande interesse verso il jazz italiano che a quanto si dice sembra essere ancora uno dei più vivaci del mondo.
Su questo tema ho però un’unica rimostranza: perché i cd di jazz nostrano costano così tanto? Io immagino che sia per il loro essere più frequentemente delle novità rispetto a quanto si può trovare negli altri scaffali dei negozi, però, accidenti, stare sempre a ridosso dei 20 euri, anche nel caso di album che incominciano ad avere già qualche annetto di polvere che si accumula, è davvero un grosso freno per chi, come me, si sentirebbe anche intenzionato ad osare qualche nuova scoperta.
0 commenti:
Posta un commento