19 novembre 2009

Amari - Poweri

Partiamo dalla constatazione che si tende un po' troppo spesso e facilmente a dire che il panorama della musica italiana è di un desolante spaventoso. E io, a meno che i discorsi non vadano troppo per il sottile, sono un acceso sostenitore di questa tesi.
Ecco, appunto: a meno che i discorsi non vadano troppo per il sottile. Perché poi, a ben vedere, di eccezioni ce ne sono tante, e io stesso cerco, per quanto mi è possibile, di divulgarle e di parlarne in questo blog.
Gli Amari sono un gruppo proveniente da Udine (dalla sua provincia, puntualizza Wikipedia), che circola da diversi anni alla ricerca di un po' di luce all'ombra dei nostrani colossi che inquinano il panorama di cui si diceva sopra, facendosi tra l'altro testimoni della banale equazione piccolo&sconosciuto=figo&interessante che è un po' il grido di battaglia dei musical-snob.
Qualche settimana fa è uscito il loro nuovo album, Poweri, che di fatto è il settimo della loro discografia, per dire che non sono proprio di primissimo pelo.
Questo disco segue di due anni Scimmie d'amore, il loro album di maggiore successo e probabilmente anche il più commercia(bi)le, nel senso buono del termine, quello che li aveva fatti conoscere appena un po' più in là delle solite cerchie, e aveva fatto scoprire che quel gruppo friulano faceva canzoni gradevolissime, orecchiabili e trascinanti, sempre in bilico tra l'ovvio e l'originale, ma comunque sempre al di fuori di troppo semplici cliché.
In questo disco la formula non è stata stravolta, ma l'impatto è un po' meno immediato, appena un po' più difficile. Niente di che, ma i motivetti si appiccicano meno facilmente alla testa ed è meno ovvio ritrovarsi a canticchiarli sotto la doccia. E per me questo è un pregio, sia chiaro. Non so per il loro successo commerciale, ma a me piace di più così.
C'è molto più funk, più struttura e tecnica. Le contaminazioni sono più marcate: dance, house, hip-hop, funky... E pure più sovrapposte ed amalgamate, tanto da lasciare inizialmente spiazzati: dopo il primo ascolto è poco quello che rimane addosso, ma con un po' più di attenzione e di assuefazione agli arrangiamenti elaborati, si scopre che lì in mezzo si nascondono dei veri gioielli, pezzi anche abbastanza lunghetti che il sottoscritto si è ritrovato ad ascoltare senza ritegno a tutto volume, trascinato in vortici ritmici e melodici a dir poco coinvolgenti. Situazione davvero anomala in ambito musica italiana. Per quanto mi riguarda, almeno.
Perché è vero che da noi c'è gente bravissima quando si tratta di derivare verso il cerebrale, ma bravi davvero (per esempio gli straordinari Vasco Brondi o i Bachi da pietra), però, mi chiedevo: siamo in grado di cimentarci nel terreno del pop, quel campo già così invaso di colossi iperprodotti e strasentiti da sembrare non lasciare più spazio ad alcun approccio veramente di qualità?
Beh, forse con gli Amari ci siamo.

Ah, per chi già li conosce e questo disco non l'ha ancora sentito: cantano in inglese in qualche pezzo, e questa è una novità.

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