17 giugno 2008

testi di dubbia delicatezza, che potrebbero scandalizzare non poco il lettore

Nei miei momenti di pacata ragionevolezza arrivo perfino a pensare che l'anticlericalismo, come la maggior parte degli anti-, sia un atteggiamento fondamentalmente sbagliato perché viziato dal classico "fare di tutta l'erba un fascio".
E poi però, leggendo qua e là, vieni a scoprire che certi comportamenti di cui le gerarchie religiose vengono a volte accusati ancora oggi, quali la chiusura mentale, la prepotenza ideologica, la persecuzione di chi osa pensarla diversamente da loro, non siano poi tanto facilmente liquidabili con un "ma va, quella è roba del passato", ma che sono invece consuetudini praticate ancora ai giorni nostri e anche e soprattutto ad alti livelli della gerarchia.
Succede infatti che una studiosa di cose storiche, Gaetana Mazza, abbia scritto un libro che racconta fatti accaduti in qualche luogo d'Italia tra il '600 e il '700, e che in questo libro si finisca inevitabilmente a parlare di Inquisizione, e che questo lo si faccia mettendo alla luce storie di persone vere, con volti, vite, speranze, paure, pregi e difetti.
Succede poi che, vai a capire perché, magari solo per ingenua riconoscenza (gli archivi dell'Inquisizione resi pubblici dallo scorso papa sono fonte di valore immenso per gli storici, e non solo per i processi in sé, ma anche, come in questo caso, per conoscere la vita reale di quelle epoche), la studiosa invii una copia già stampata ma non ancora distribuita al vescovo della cui diocesi aveva utilizzato gli archivi.
Bene, questo vescovo, dopo aver letto il lavoro, intima all'autrice di mandare al macero il primo volume e di sottoporre ad una commissione ad hoc il secondo, al fine di correggerlo secondo le sue decisioni. La motivazione è che si tratta di "testi di dubbia delicatezza, che potrebbero scandalizzare non poco il lettore". Proprio così, pensa un po'.
E la cosa assolutamente scandalosa è che la legislazione italiana, in base alle norme concordatarie gli consente di farlo, trattandosi di ricerche sugli archivi ecclesiastici (che tra l'altro ricevono finanziamenti statali, i miei soldi, insomma).
In questo specifico caso si spera (come conclude l'articolo in cui viene raccontata questa storia) che il vescovo sia stato, come si dice, più papista del papa, e abbia voluto eccedere in zelo contrariamente alle disposizioni di trasparenza date dallo stesso papa quando era ancora cardinale.
Resta però il fatto che dalle nostre parti gli esponenti di una struttura religiosa hanno la pretesa, e, cosa ancora peggiore, l'effettivo potere, di decidere cosa nel mondo è possibile scrivere e leggere. In questo caso si tratta della chiesa cattolica, ma pensiamo cosa sarebbe successo se a farlo fossero, tanto per fare un esempio, i mussulmani.

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