14 maggio 2009

W.Marsalis - Come il jazz può cambiarti la vita

Che il jazz possa davvero cambiarti la vita è forse un po’ eccessivo. Probabilmente (anzi sicuramente) l’ha fatto all’autore (per chi non lo sapesse: uno dei massimi esponenti del jazz contemporaneo) e a tutti quelli di cui parla in questo libro.
La spiegazione è abbastanza semplice: il jazz per sua stessa natura porta ad esprimersi assieme ad altre persone, a loro volta intente ad esprimersi al loro meglio, improvvisando su un canovaccio armonico e supportandosi l’un l’altro in modo che il risultato di quella complicata interazione sia un insieme comunque coordinato, ma libero di prendere pieghe inaspettate per chi suona e per chi ascolta.
Inoltre il jazz è indubbiamente il massimo contributo degli Stati Uniti alla Storia della Musica. Suonarlo ed ascoltarlo vuol dire immergersi completamente non solo nell’arte, ma pure nella storia sociale di quel paese e nell’attitudine, che ne è pure uno dei punti di forza, a non piangersi addosso, ma a dare sfogo ai propri sentimenti, ancorché tristi o frustrati o depressi in un canto (suono) liberatorio capace di ridare entusiasmo a chi lo produce e a chi lo ascolta.

Questo è il punto di vista di un uomo che ha vissuto di jazz da sempre (suo padre e buona parte della sua famiglia sono stimati jazzisti) –sebbene ammetta più volte di averlo snobbato in gioventù perché poco cool– e ascoltare la sua entusiastica descrizione di questo mondo è un buon modo, per chi già ama il jazz, di addentrarsi un po’ di più nella non accademica filosofia che lo sostiene.

Parlando di questo libro comunque mi sento in dovere di riportare un paio di obiezioni che mi sono sorte leggendolo.
Innanzitutto, come dicevo all’inizio, il fatto che il jazz possa veramente cambiarti la vita è probabilmente vero, ma solo se sei un musicista e lo suoni realmente. Voglio dire, tutti quei giochi di interplay, di traino ritmico, di appoggio armonico, di ascolto reciproco, li puoi vivere veramente solo se sei tu a farli. Marsalis sostiene che un buon effetto lo possano avere anche su chi ascolta, ma temo che sia un eccesso di entusiasmo. È magnifico, sublime, ascoltare il prodotto di certi gruppi ben affiatati, lo so bene, ma essere parte di essi deve essere un’esperienza molto, molto più fondamentale. Effettivamente capace di cambiare il tuo modo di vedere le cose.
E in secondo luogo è vero che quella cultura (quella Americana) è trainante nel mondo occidentale, ma non al punto, per noi italici almeno, da poterci identificare completamente con essa. Anche in questo caso assaporare il gusto del frutto migliore di quei terreni è inebriante, ma ad esserci vissuti dentro deve esserlo ben di più.
In ogni caso, fatte queste due tare, la tesi di Wynton Marsalis (quella del titolo) è comunque interessantissima e permette di ascoltare l’entusiastico racconto di una persona eccezionale per la passione della sua vita.
E già questo basterebbe.

Poi ci sono alcuni ritratti –o meglio schizzi, si tratta infatti di poche pagine ognuno– di alcuni dei mostri sacri del jazz: Miles Davis, John Coltrane, Theolonious Monk, Art Blakey, Duke Ellington,… alcuni dei quali ha conosciuto personalmente (o ci ha anche suonato insieme), altri conosciuti tramite la loro musica e i loro scritti.
Sono altre pagine appassionate ed appassionanti, un vero tributo di stima ai suoi Maestri. Una splendida occasione per scoprire qualcosa in più sul loro conto o sul giudizio che ne ha uno che se mostro sacro non è poco ci manca, è solo questione di tempo. O anche un’occasione in più per chi, beato ignorante come me, alcuni di questi ancora non li conosce(va).

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