5 maggio 2009

Pontiak - Maker

Perché ogni tanto mi piace il rock fatto di sudore polvere e sangue.
I Pontiak sono i Carney bros., tre fratelli originari della provincia americana, tanto somiglianti tra loro quanto coeso è il suono prodotto dai loro strumenti chitarra-basso-batteria(-tastiere) più voci di tutti e 3. Si dice che tra i membri della band ci fosse pure un quarto, ma lui non era fratello, non aveva mangiato la stessa sbobba, e allora niente, fuori dal gruppo. Sul sito della loro casa discografica (Thrill Jockey) li si definisce ‘rurali’, molto legati alla loro terra e dicono che durante i tour spesso rifiutino le camere di albergo per campeggiare sotto le stelle.
Fanno una cosa che si chiama stoner-folk-psych-rock, che nel loro caso significa un suono non velocissimo e pesante, molto distorto, con improvvisi cambi di umore e certe reminiscenze Floydiane vecchia maniera che al sottoscritto non possono che dare un enorme piacere. Canzoni generalmente di lunghezza normale, a parte la title track che supera i 13 minuti e mezzo.
Mai come in questo caso si applica la – per me comunque imprescindibile – regola che un album deve essere inteso (ascoltato) come un unico blocco indivisibile. Questo lavoro infatti da il meglio di sé se ascoltato dall’inizio alla fine senza interruzioni, salti o ripetizione: mettetelo nel lettore, schiacciate PLAY e godetevelo fino alla fine. È il miglior consiglio di degustazione che riesca a darne.
Le canzoni si susseguono infatti sorreggendosi l’una all’altra, amplificando i cambi di ritmo e sonorità che poi, in un approccio quasi frattale, si manifestano all’interno dei singoli brani.
Qua e la ci sono degli elementi noise (Headless Conference, Heat Pleasure), ma pure dei momenti di serena quiete (la splendida Aestival, che sboccia in una delicata ballata folk per poi evolvere in una cavalcata finale che sembra quasi un esplicito omaggio a Waters & Gilmour), magari piazzati ad arte uno di seguito all’altro (come appunto nel caso di Heat PleasureAestival) in modo da regalare una meravigliosa aria da quiete dopo la tempesta.
Altra perla è Wild Knife Night Fight, che, sopra una ritmica che incede con passo grave e potente, esibisce uno splendido ricamo di voci (tutti e tre i fratellini). Da applauso.
Il fulcro di tutto il disco è però la monolitica Maker, colosso (non solo per la lunghezza) pesante e vario, con momenti di rabbia, di apparente spossatezza, di follia, di precisione e ancora tanti momenti di sensazione/emozione da sembrare incredibili in una sola canzone.
Il disco è stato registrato completamente live (che immagino significhi in presa diretta) nello studio 4x4 di casa Carney, generalmente prendendo come buono il primo take e lasciando gran spazio all’interpretazione dei musicisti contribuendo a dotare il disco di  un’aria spontanea e immediata.
Vera.
Come veri sono il sudore, la polvere e il sangue. 

1 commenti:

fede ha detto...

posso consigliarlo a mio marito???