29 giugno 2011

Riflessione del dopocena

Si prova una sensazione strana a leggere libri scritti da persone decisamente più giovani di noi.
Innanzitutto c'è una perdita di "automatica autorevolezza". Voglio dire: da giovani, quando ci si ritrova un libro tra le mani, spesso capita che questo sia scritto da persone che magari hanno il doppio o il triplo dei propri anni, o più. La loro autorevolezza la si dà per scontata. Se uno proprio scemo non è, e se ha riflettuto sull'argomento di cui ti parla per un tempo pari o ancora maggiore di tutta la tua vita, qualcosa di intelligente da dire dovrà pure averlo. Con gli scrittori giovani questo discorso invece non si può fare, allora leggi in modo guardingo, non ti fidi ad occhi chiusi. Valuti se magari il tizio non ha scritto una cretinata. E alla fine, se qualcosa riesce davvero a insegnartelo, la soddisfazione è tanta.
Poi c'è una sorta di invidia. Molti di noi hanno il classico libro nel cassetto o almeno hanno sognato di scriverne uno (io appartengo alla seconda categoria). Così quando ti trovi a riconoscere che uno ben più giovane di te ce l'ha già fatta, bè, allora scatta l'invidia. Poi magari si tratta di invidia positiva, cioè senza astio, ma solo quel desiderio di essere al suo posto (l'invidia negativa è quella in cui desideri che dato che tu non sei al suo posto, non vorresti che neanche lui ci fosse), ma di invidia pur sempre si tratta.
Infine c'è il compiacimento di non essere ancora un vecchio che se la fa solo con i vecchi. Lo so, il rischio di scadere nel giovanilismo è forte (il 40enne che si atteggia a 20enne per dire, cosa tristissima), però la soddisfazione di essere non dico al passo con i tempi, perché noi maturi i tempi che corrono li guardiamo con diffidenza, o tempora, o mores!, ma almeno quella di saperli osservare, di capirli e di esserne in certo modo in sintonia.

Cose così, che mi passano per la testa leggendo i libri di Jonathan Safran Foer, che ha 7 anni meno di me.

0 commenti: