28 giugno 2011

A. Baricco - I Barbari. Saggio sulla mutazione

Personalmente apprezzo più il Baricco saggista che non il Baricco romanziere. Questione di gusti immagino, ma in questo agile saggio mi pare di trovare un solido fondamento a questa scala di preferenze.
Nelle 200 pagine scarse del libro, che in realtà è stato pubblicato "a puntate" su Repubblica nel corso del 2006, Baricco descrive quella che molti vedono come una degenerazione dei costumi culturali, come il manifestarsi di una rivoluzione di portata simile a quella costituita dall'avvento del romanticismo nella cultura occidentale.
Caposaldo di quella rivoluzione fu la Nona sinfonia di Beethoven, opera che ancora oggi assume agevolmente il titolo di capolavoro, ma che al tempo fu osteggiata da eminenti critici, che la reputarono frivola, affettata, adatta a cervelli essenzialmente dediti a moda, gossip e (udite udite!) lettura di romanzi. E proprio da questo baluardo della cultura parte il ragionamento di Baricco: per godere di una simile opera (e poi quelle successive, Wagner su tutti) è necessario scavare in profondità, lavorare, studiare, sforzarsi, concentrarsi, ostinarsi, ritornarci su, fino ad arrivare a scovare il profondo tesoro che essa nasconde.
Oggi invece, per i barbari, non è più cosa.
Il mondo è vasto interconnesso, si può viaggiare da una meraviglia all'altra con grande velocità, fare scoperte inaspettate, prendere strade impreviste e trovare altre meraviglie. Certo, non si ha tempo per scavare mai a fondo, ma qual è la perdita? Enorme dicono i romantici, non apprezzare la Nona di Beethoven è una perdita più che enorme: incommensurabile.
Risibile, dicono invece i barbari. Perdo la Nona di Beethoven, ma nel tempo che ci avrei messo a coglierne il segreto tesoro (e non è affatto detto che dopo tanta fatica ci sarei arrivato), ho esplorato un universo, ho fatto esperienze bellissime ed eterogenee, ho vissuto in un mondo che sta cambiando, che diventa sempre più veloce e spettacolare. Non è affatto una perdita, anzi.

L'ho buttata giù semplice e spero di non avere mancato di molto il succo della questione, ma Baricco nel suo saggio articola, giustifica e offre gli strumenti necessari a sostenerla, la sua tesi, per cui consiglio a chiunque voglia almeno ascoltare un'interpretazione di quanto sta succedendo di questi tempi, di procurarselo e leggerselo, o almeno di dare un'occhiata all'esaustiva pagina di wikipedia dedicata.

Per conto mio voglio provare a riportare tre obiezioni. Non credo che siano critiche, anche perché è lo stesso Baricco a trasmettere alcuni dubbi, qualche incertezza non su quanto descrive, ma sul suo valore positivo.
Innanzitutto durante tutta la lettura del libro non si estingue mai la sensazione che tutto questo discorso non sia che uno strutturato sdoganamento della sciatteria. "Elogio della superficialità" l'ho sentito definire. Poi è vero che Baricco la propone piuttosto come una reinvenzione della superficialità, ma, rimanendo nella metafora, viene da chiedersi che cosa ne sarebbe di un mondo in cui non esistessero più menti dedite alla profondità, a creare le strutture portanti di quello che navigando in superficie si coglie come straordinario. Va bene per gli spettatori dunque, ma per suonare il piano, anche solo come Giovanni Allevi, ci va studio e dedizione, altroché. Allora cosa ascolteranno i barbari se quello sforzo non sarà più considerato un valore?
Poi, cosa di cui viene fin troppo accusato, sembra che Baricco parli sostanzialmente di sé stesso. Lo stile di scrittura di Baricco è agile, spettacolare, leggero, incrocia temi e narrazioni, salta di registro senza mai scendere nei meandri più profondi dell'argomento. Questa attitudine è quella per cui, come dicevo all'inizio, lo apprezzo più come saggista che come romanziere, ma troppe volte in questo saggio mi è sembrato che Baricco parlasse proprio di sé e del suo modo di scrivere, di scorgere dunque una certa auto-analisi, o meglio, una specie di auto-legittimazione.
Infine a volte ho la sensazione che sia più una questione di quantità che di qualità. I fenomeni descritti da Baricco (attrattiva per la spettacolarità, superficialità, velocità, iconoclastia, successo commerciale, il supporto di nuove tecnologie...) sono propri di ogni epoca, non sono una novità dei nostri giorni. Quello che cambia oggi è la loro semplicità di diffusione per mezzo dei media (internet su tutti) e per la loro fruizione da parte di strati sempre più ampi di popolazione. Forse il paragone con l'orda barbarica è azzeccatissimo se descrive un movimento che è sempre esistito al di là dei nostri confini, ma che solo ora ha raggiunto una forza d'urto tale da travolgere il mondo come lo conoscevamo. Nel pensarlo mi riconosco un po' troppo all'antica per i miei gusti, ma temo che in tal caso una certa nostalgia per la profondità dei bei tempi passati continuerà a pervadermi.
Ma io non sono un ragazzino, respiro ancora coi polmoni, io.

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