A quanto ne so l’ha inventato Truman Capote con il suo In A Cold Blood (A sangue freddo). Si tratta del genere detto “nonfiction novel”, cioè un romanzo che narra una vicenda realmente accaduta, ma non prendendone semplicemente lo spunto, proprio facendone una cronaca dettagliata. Però rimanendo un romanzo, quindi cercando in ogni caso di costruire la narrazione in modo scorrevole e avvincente, evitando di ridursi ad una fredda cronaca pur cercando di non uscire mai in alcun modo dai binari dei fatti reali.
In questo libro si racconta di un caso giudiziario che appassionò l’opinione pubblica prima in Austria (dove si svolsero gli eventi e i processi) e poi in tutta Europa.
In poche parole: durante una camminata in montagna, Morduch Halsmann muore apparentemente in seguito ad una caduta. Subito però, visti alcuni particolari strani, viene accusato di omicidio il figlio Philipp, suo unico accompagnatore in quell’escursione.
Si dà il caso poi che Philipp sia ebreo e che nell’europa germanica in quel periodo stiano nascendo (o meglio: rinforzandosi) quei sentimenti antisemiti che di lì a pochi anni avrebbero portato all’Olocausto.
Il processo si svolge quindi in un’atmosfera continuamente tesa con l’imputato che sembra essere suo malgrado coinvolto in una disputa più grande di lui. Sulla sua testa si svolge infatti una partita strategica tra chi vuole la sua assoluzione e quindi, oltre a confrontarsi sul piano meramente processuale, accusa gli avversari di antisemitismo e cerca di porsi al riparo dal sospetto di far parte del complotto sionistico e chi chiede la testa dell’imputato, accusa gli avversari di essere parte di quel complotto mondiale che vuole portare la razza ebraica a dominare il pianeta e contemporaneamente cerca di sfuggire all’insinuazione.
Il processo è infatti indiziario, non ci sono prove certe che chiaramente accusino o scagionino Philipp, per cui la battaglia è soprattutto strategica, giocata sull’equilibrio della sensibilità di interi popoli.
Il caso a quei tempi in Europa ebbe una vasta risonanza, tanto da essere considerato un nuovo affaire Dreyfus e coinvolse alcune tra le massime personalità dell’epoca, tra cui Eric Fromm, Albert Einstein, Sigmund Freud.
Poi le cose da quelle parti precipitarono in un inferno ben più atroce e quella vicenda venne in qualche modo rimossa fino a farne perdere memoria.
L’imputato, Philipp Halsmann, trasferitosi prima in Francia e infine negli Stati Uniti, dove francesizzò il suo nome in Philippe Halsman, divenne poi uno dei più importanti fotografi del mondo, ma di quella vicenda non volle mai più parlare, quasi volesse anche lui rimuoverla dal suo passato.
Martin Pollack, per motivi casuali che spiega nell’epilogo del libro, si interessò al caso e decise di farne una ricerca accuratissima che poi è sfociata nella scrittura di questo libro.
È una lettura sicuramente interessante e avvincente, che ben disegna quel che era l’Europa ottant’anni fa. A volte i dettagli giuridico-processuali sono a mio avviso troppo precisi, ma probabilmente chi è più addentro o interessato a questa materia, troverà pane per i suoi denti.
Concludo con una splendida immagine della splendida Audrey Hepburn scattata dal protagonista della vicenda qualche decennio dopo. Non sto certo qui a rivelare il finale del libro, ma queste immagini parlano da sole.
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