30 marzo 2010

Saltar fuori

James Randi è stato (ed è tutt’ora, e ancora di più, vedi dopo) un mito della mia gioventù. Ero in quell’età in cui è abbastanza normale essere ancora affascinati dal paranormale, dai poteri della mente, dalla magia e da tutte quelle cose lì che ad avercele farebbe davvero comodo. Telecinesi e ipnotismo erano le mie favorite. La possibilità di prendermi una lattina di coca-cola dal frigo senza alzarmi dal divano o la capacità di far fare a qualcuno quel che volevo io (ero in età puberale, per cui ometto gli usi sconci che ne avrei fatto…), erano cose per cui avrei fatto volentieri un patto col diavolo.
Ci credevo. In un modo un po’ scettico e perplesso, però in fondo in fondo ci credevo, pensavo che tutto sommato fosse vera quella storia del 10% dei poteri del cervello e che a sviluppare bene anche solo parte di quel fantomatico 90% si sarebbero potuti avere poteri incredibili.
Non che fosse alla mia portata, ma che qualcuno ce l’avesse fatta non avevo motivo di dubitarne.

Poi mi sono letto “Viaggio nel mondo del paranormale” di Piero Angela e ho raggiunto l’illuminazione. Il libro smonta quasi tutte le credenze nel paranormale e dintorni con una precisione e una capacità di convincere straordinaria.
Credo che sia una mia attitudine mentale, ma ben lungi dall’essere deluso dal vedere crollare tutte le mie speranze di diventare un supereroe, mi sono entusiasmato nello scoprire che la realtà è molto più semplice e che i sedicenti uomini dai poteri straordinari sono nella stragrande maggioranza dei casi dei ciarlatani. E che chi ci crede è un pollo.
È difficile da spiegare e non vorrei essere preso per un sempliciotto dalla mente ristretta, ma secondo me, sapere che il mondo è come sembra che sia, è molto più bello di una versione in cui ci sono delle regole, ma queste regole vengono qua e là violate senza motivo apparente e senza riproducibilità. Sto naturalmente parlando di leggi naturali, fisica, chimica, biologia eccetera. Mi piace che ci siano delle regole universali e che solo grazie a queste si sviluppi tutta la meravigliosa diversità delle cose del mondo, senza trucchetti o eccezioni.
Vabbè, quel libro lì mi spiegò che i trucchi e le eccezioni alle regole del gioco non esistono, sono solo delle truffe. E questo mi piacque tantissimo. E mi spiegò pure che per smascherare queste truffe, gli indagatori più indicati non sono gli scienziati, anzi. Gli indagatori migliori sono gli illusionisti, i prestidigitatori. Perché i trucchetti che usano i sedicenti paragnosti non sono altro che trucchi alla Tony Binarelli, alla Silvan. E allora ci va uno del mestiere per smascherare il trucco. Altroché fisici o chimici.
Quel libro è scritto da Piero Angela e uno dei protagonisti principali è tal James Randi, un uomo che, prima prestidigitatore di un certo successo, ha poi dedicato la vita alle indagini sul paranormale, smascherandone di tutti i colori. È quello che ha smascherato Uri Geller, tra gli altri.
È quello che ha messo in palio un milione di dollari per chi fosse in grado di dimostrare di avere qualche potere paranormale. Quel milione di dollari è ancora lì, naturalmente.
È un mio mito dunque e da un sacco di tempo.
E ora lo è ancora di più: alla tenera età di 82 anni, ha fatto outing.
E anche questa è una di quelle cose che mi piace senza sapere bene perché.

19 marzo 2010

Scrittori ed ipocriti - Uno sfogo

Non so bene perché, ma a me Aldo Busi è sempre stato simpatico. È una cosa epidermica, senza motivazioni forti, più televisiva che letteraria: ho letto poco di quel che ha scritto.
Probabilmente è a causa della sua sfrontata e provocatoria indole, il suo essere sempre pronto ad andare oltre, ben al di là del comune “sopra le righe”, fatto però in un modo che, pur finendo inevitabilmente in caciara, perché i programmi televisivi si, alcuni programmi televisivi, si nutrono di caciara, ha sempre un fondo arguto, intelligente. Provocare per smascherare le ipocrisie, per mettere in imbarazzo i perbenisti, stanare i benpensanti agitandogli davanti al muso gli argomenti che più li eccitano.
A ben pensarci la mia simpatia nei suoi confronti risale a un secolo fa, quando Corrado Augias lo definiva, col suo fare sornione, “Il più grande scrittore italiano vivente” e lui ballava una specie di flamenco indossando scarpe rosse col tacco.
Poi francamente non l’ho più seguito se non casualmente. Leggo che ha partecipato ad Amici in qualità di giudice e questo potrebbe bastare a farmi cambiare idea su di lui, ma probabilmente l’ha fatto col suo modo di fare sfacciato e magari mi sarebbe piaciuto pure lì. Non so.
Quello che so, il motivo del post, è che è stato radiato da tutte le trasmissioni della RAI per avere offeso nientemeno che il Papa e Berlusconi. Il primo, che si scaglia contro gli omosessuali, lo ha accostato agli omofobi che altro non sarebbero, secondo lui, degli omosessuali repressi pericolosi per la società.
Del secondo, Berlusconi, si è permesso di dire che se non abbassa le tasse con le due aliquote del 23 e 33 percento, il suo governo non è servito a nulla.
Apriti cielo, naturalmente.
Quegli imbecilli servili dei dirigenti RAI non hanno perso tempo, e in considerazione di tali disdicevoli fatti, hanno deciso per la radiazione dal programma (L’Isola dei Famosi) e dagli altri programmi RAI.
Beh, io sono uno sfigato che paga il canone e ritengo che per esempio, sentire un ministro della Repubblica Italiana dire che quelli che vogliono che i crocifissi vengano tolti dalle scuole e dagli altri luoghi pubblici (io per esempio) “possono anche morire” ma loro della sentenza della Corte Europea se ne fregano e non li toglieranno mai, mi sembra molto più grave.
Tanto per dirne una.
Ce ne sono a montagne di schifezze del genere negli archivi RAI, io non ho voglia di ravanarci dentro perché mi girano le balle ogni volta, ma i protagonisti sono ancora tutti lì in prima serata.
Beh, io immagino che Aldo Busi possa fare anche a meno delle comparsate in TV, anche se sono certo che un qualche danno non potrà non venirgliene. E sono pure convinto che del “servizio pubblico” televisivo ormai rimanga davvero ben poco, vittima com’è ormai di pressioni, lottizzazione, ingerenze, cortigianerie e pochezza dilagante. Però io quei soldi dell’abbonamento li pago, non per scelta, ma per imposizione. La RAI la guardo pochissimo, ma ciononostante devo versare un obolo annuale a suo favore per finanziare simili schifezze e allora sogno i sogni più cruenti nei confronti di quella gente che è riuscita a ridurre in questo stato quello che potrebbe essere un mezzo ricchissimo.
In altre parole: vadano a cagare, una volta di più.

Per il resto, per quel che può servire, arrivi la mia massima solidarietà ad Aldo Busi. Ne approfitti per tornare ad essere “il più grande scrittore italiano vivente”.

Alice in Wonderland

Il cinema 3D è davvero il fenomeno del momento. È come andare sulle giostre, si viene catapultati per un paio d’ore in un mondo fantastico pieno di colori e cose strane, con la sensazione di esserne un po’ più parte di quando si guarda un film normale.
Cioè, quella cosa (entrare in un mondo di fantasia) capita anche con i normali film, solo che col 3D capita un po’ di più. Non è perfetto, comunque sei sempre spettatore passivo e quella cosa lì che vedi è chiaramente finta, ma è un ulteriore passo in avanti verso il realismo perfetto.
Un po’ come passare dal bianco-nero al colore o dalla televisione al cinema.
E così, dopo aver sperimentato Avatar, non ho potuto rifiutarmi di portare i pargoli a vedere Alice in wonderland. Io volevo andarci per il 3D, appunto, e per la regia di Tim Burton, loro per il 3D e per il cinema e per Walt Disney e per Alice e per i pop-corn e per gli occhialoni.
Beh alla fine tutti contenti, a parte per i pop-corn che non c’erano.
Il film è un buon compromesso tra l’immaginismo un po’ gotico di Tim Burton e le esigenze infantili di Walt Disney, per cui alla fine può andare bene per grandi e piccini con una piccola precedenza a questi ultimi. Almeno i miei 2 (6 e 8 anni) ne sono usciti entusiasti, mentre io dico un poco deciso “sì, carino”.
La storia è quella di una sorta di Alice nel paese delle meraviglie 2 – il ritorno, cioè un’Alice 20enne che vive ossessionata dal sogno (che in realtà è un ricordo quasi del tutto rimosso) della sua avventura infantile in un epoca vittoriana zeppa di convenzioni a cui lei molto malvolentieri si adatta. Fino al traboccare del vaso, costituito dalla proposta di nozze di un repellente lord pretendente a cui lei, secondo il parere di tutti, dovrebbe di buon grado acconsentire.
Alice questa volta non ce la fa, allora scappa dal pretendente inginocchiato e va a finire nel buco sotto l’albero dove era iniziata l’avventura da bambina e torna in quel mondo là, fatto di pozioni che la fanno rimpicciolire e ingrandire, sorrisi di gatti, brucaliffi, rose parlanti e soprattutto il cappellaio matto, che impersonato da Johnny Depp è quasi un protagonista del film.
In quel mondo si svolge tutta la parte veramente fantastica del film con la regina di cuori diventata una tiranna ancora più irascibile che ad un tempo (“tagliatele la testa!”) e Alice che chiaramente si schiera dalla parte dei buoni nel tentativo di spodestarla.
Ripeto, per i bambini è entusiasmante, come un cartone, ma ancora più bello, perché probabilmente è ancora più facile entusiasmarsi per l’eroina se questa è reale e non disegnata e se tutto è fatto bene, come riescono a fare i draghi volanti nel cinema attuale, allora non devi neanche più fare una gran sospensione dell’incredulità. Ti siedi, inforchi gli occhiali e sei sulla giostra.
Qui sotto l’immagine dei miei 2 pargoli poco prima che spegnessero le luci in sala. Già questo vale buona parte del prezzo del biglietto:

Idee regalo

Effettivamente è un po’ che latito da queste lande.
Il fatto è che quel che sto scrivendo riguarda sostanzialmente musica, allora lo pubblico sull’altro blog.
Segnalo solo che, oltre alle solite cose da maniaco della musica sconosciuta, ho iniziato a suggerire qualche disco che dovrebbe piacere un po’ a tutti. Il principio guida è quello della “regalabilità”, cioè dischi che si potrebbero regalare a persone di cui si sospettano buoni gusti musicali senza pretendere che condividano le proprie perversioni. Dischi gradevoli nel senso più ordinario del termine.
Poi nel concetto di regalabilità vale pure il discorso che chi riceve l’omaggio non ce l’abbia già, per cui forse non sono proprio conosciutissimi, se no tanto vale.
Ovviamente il regalo può valere anche per se stessi.
Per ora ho parlato di:

1 marzo 2010

Piccoli sportivi crescono

Ieri sono finite le Olimpiadi invernali e ancora ho nelle orecchie i discorsi e le polemiche per gli scarsi risultati degli atleti italiani (per chi non le avesse seguite: una sola medaglia d’oro contro le 5 di Torino 2006) che non sarebbero poi tanto preoccupanti se non seguissero di qualche mese la figuraccia dei mondiali di atletica di Berlino dove di medaglia non ne abbiamo raccattata neanche una.
Si parla di cultura sportiva, si parla di strutture, si parla di scuola, si parla di scarsa propensione alla fatica. Si parla pure di Facebook (Alberto Tomba: “oggi i ragazzi… tutto il tempo su facebook… io non vedevo l’ora di uscire…”).
I discorsi sono tutti veri e probabilmente individuano alcune reali cause dello scarso successo dei nostri colori in ambito sportivo, ma ho come l’impressione che siano focalizzati un po’ troppo sugli atleti e troppo poco sulle strutture che stanno loro alle spalle. Dietro ad un atleta che taglia per primo il traguardo in una competizione mondiale c’è una struttura enorme, fatta di tecnici, di strumenti, di dirigenti, di impianti sportivi, di competenze e a mio avviso il vero nodo della questione è proprio da quelle parti e inizio a temere che sia dovuto allo stato di marciume che sta rivelandosi in ogni struttura italiana, da quelle politiche a quelle imprenditoriali, a quelle organizzative,… dove ogni dinamica è regolarmente impostata sul clientelismo, sulla raccomandazione, sulla bustarella, sul favore o sulla puttana di turno.
E in un sistema dove non si premiano i reali meriti, ma solo le convenienze clientelari, non riesci a creare dei veri vincitori. Nello sport soprattutto, dove la competizione è tutto e alla fine barare è troppo difficile, almeno fuori dai nostri confini.
Invece tutto il mondo dello sport continua a puntare il dito al di fuori di sé, alla scuola che non valorizza l’ora di ginnastica, ai giovani che non praticano sport al di fuori del calcio.

Beh, ieri ho portato Carlotta al suo primo raduno di mini-volley, la prima uscita al di fuori dei suoi “allenamenti” (per chi non la conosce: ha 6 anni, per questo metto le virgolette). Durante questo raduno (concentramento lo chiamano) ha potuto giocare con sue coetanee di altre squadre.
Il tutto si è svolto in una palestra e lo spettacolo a cui ho assistito mi fa proprio pensare che i discorsi sui giovani che non praticano sport siano delle gran balle.
Innanzitutto l’incontro non era solo per le seienni, ma a tutte le categorie del minivolley, che va fino ai dieci anni, più o meno. Le squadre coinvolte erano sei o sette, ognuna con almeno 15 bambini, per un totale di più di cento atleti.
Il campo (una palestra) è stato diviso in 9 piccoli campi di dimensioni differenti a seconda dell’età dei giocatori e poi sono stati organizzati 9 tornei di 4 squadre che si svolgevano ognuno su un campo diverso.
Per ogni torneo c’era un arbitro, cioè un ragazzino o ragazzina di età appena maggiore (14-15) anni che seguiva le partite con fare professionalissimo.
Ogni squadra aveva il suo allenatore, altro ragazzo o ragazza un poco più grande che seguiva il gioco dei bambini (per quelli più piccoli, che giocano una cosa che si chiama “palla rilanciata”, l’impegno è costante: devono continuamente spostarli per il campo per fargli tenere la posizione, spiegargli continuamente cosa fare, coordinare le rotazioni…).
Poi alcuni coordinatori che si occupavano di organizzare i turni degli incontri e seguire i bambini nelle loro necessità, difficoltà, paure, esigenze (“devo andare a fare la pipì” è una frase più che ricorrente).
Poi il “capo della baracca”, una ragazza di meno di trent’anni che coordinava il tutto.
Tutto questo si è svolto in una palestra in provincia, spontaneamente e con grande entusiasmo da parte di tutti, compresissimi nei loro ruoli. Io assistevo allo spettacolo dall’alto e vi assicuro che vedere un tal movimento di palloni, bambini che giocano, tutti con le loro divise, capelli raccolti, impegno, gioie e delusioni per più di due ore, è stata un’esperienza da aprire il cuore, veramente bellissimo.
Purtroppo non ho fatto foto, per cui non riesco a fare vedere com’era esattamente il colpo d’occhio. Comunque immaginate una cosa del genere vista dall’alto e con ancora più partecipanti:

Tra una partita e l’altra cercavo di vedere la cosa con occhi un po’ più distaccati di quelli del papà e riflettevo che se avessi visto una cosa del genere in Germania o Scandinavia, sarei tornato pieno di ammirazione a raccontare quanto sia profondamente radicata e ben organizzata la cultura sportiva in quei paesi meravigliosi. E poi sì che vincono medaglie a bizzeffe, loro!
E la scorsa settimana Lorenzo aveva partecipato ad una cosa del tutto analoga, sia come organizzazione che come entusiasmo, incentrata sul basket.

Tutto questo solo per raccontare un po’ di fatti miei, ma soprattutto per smentire il fatto che in Italia non ci sia cultura sportiva giovanile. Questa c’è eccome, e c’è con tutto l’entusiasmo tipico sia dei bambini che dei loro giovani genitori. Quello che manca è poi la capacità dei soloni dello sport italiano di raccogliere questo preziosissimo “materiale umano” e di farne degli atleti come si deve.
Tanto per non dare sempre la colpa agli atleti, insomma.

Altroché Indignazione

Ho già detto che considero Philip Roth uno dei più grandi scrittori viventi, e che meriterebbe una consacrazione ancora maggiore di quella che già gli viene tributata.
La stima e quel genere di affetto che si può provare per uno scrittore non mi porterebbe comunque a condividere necessariamente le sue opinioni politiche, religiose, economiche o sportive. A giudicarle notevoli e a leggerle magari con interesse sì, ma a condividerle necessariamente non direi proprio.
Così è stato con un certo stupore che avevo letto di una sua dichiarazione fatta durante un’intervista ad un giornalista di Libero (Libero!! Philip Roth intervistato da Libero mi pareva già una notizia curiosa) in cui si dichiarava completamente deluso da Barack Obama.
Così diceva:
«Obama? Una grandissima delusione Sono stato fra i primi a credere in lui, ad appoggiarlo, ma adesso devo confessare che mi è diventato perfino antipatico». Philip Roth, forse il più illustre dei narratori americani d’oggi, autore di capolavori quali Lamento di Portnoy, Pastorale americana, Zuckerman scatenato e, da poco uscito in Italia, Indignazione, esprime con forza, per la prima volta, il suo giudizio fortemente negativo sull’attuale Presidente Usa. Ci tiene a farlo subito, nella nostra conversazione telefonica.

(Intervista di Tommaso De Benedetti su Libero il 22/11/2009)

Mi sembrava un giudizio piuttosto tranciante, ma sai, gli scrittori sono persone particolari, a volte scorbutiche, spesso stizzose come primedonne. E poi è noto che Obama abbia più consensi all’estero (in Europa in particolare) che negli U.S.A. E poi l’America è lontana, non abbiamo la giusta percezione delle cose, per cui può anche darsi.
Insomma, per quel che possa valere la mia opinione su Obama, potevo recepire l’opinione di Philip Roth come un punto di vista illuminante, interessante appunto.
Poi viene fuori che è una balla, Philip Roth non ha mai detto quelle cose. Non ha neanche rilasciato quell’intervista:
Per caso, è insoddisfatto anche da Barack Obama? Da un’intervista a un quotidiano italiano, Libero, risulta che lo trova persino antipatico, oltre che inconcludente e assopito nei meccanismi del potere.
Ma io non ho mai detto una cosa del genere. E’ grottesco. Scandaloso. E’ tutto il contrario di quello che penso. Considero Obama fantastico. E trovo che l’attacco che gli stanno sferrando i repubblicani è molto simile a quello subito da Roosevelt al suo primo mandato. E’ la destra più stupida mobilitata da Sarah Palin. Agitano la bufala dell’atto di nascita che dimostrerebbe che è nato in Kenya. E trovano ascolto. Sotto c’è il problema della razza, della pelle. Sono molto seccato per queste dichiarazioni che mi vengono attribuite: non ho mai parlato con questo Libero. Smentisca tutto. Ora chiamo il mio agente.

Chiama il suo agente, che gli filtra tutti i contatti: nell’agenda delle interviste passate e future non risulta nè Libero nè il nome dell’intervistatore.

(intervista a Philip Roth di Paolo Zanuttini pubblicata sul Venerdi’ di Repubblica il 26/02/2010)

E allora una piccola cosa che poteva essere interessante si rivela l’ulteriore schifosa dimostrazione di come stia funzionando l’informazione dalle nostre parti. Non c’è più alcuna vergogna, pur di tirare acqua al proprio mulino (per un percorso abbastanza tortuoso poi: Obama=Partito Democratico U.S.A.=Più di sinistra che di destra=Sgradito al Centro-Destra italiano) si commette qualsiasi falsità, si viola ogni principio di correttezza.
Disgustoso.
Salvo poi accorgersi che a questo disgustoso "peggio" non c’è limite:


PS: la pagina di Libero in cui compariva l'intervista è stata rimossa. Peccato (per loro) che ne rimanga traccia nella cache di Google (io me ne sono pure fatto una copia, sai mai).