In “La casa del sonno”, godibile libro di Jonhatan Coe, uno dei protagonisti, aspirante sceneggiatore cinematografico, viene strapazzato da un produttore americano, entusiasta ammiratore di film quali Ghostbuster o action-movies alla James Bond, perché il preteso intellettualismo di certo cinema europeo sarebbe la causa della morte del cinema nel nostro continente.
A mio avviso questa opinione è un’emerita stronzata, perlomeno in termini generali, ma di questo non vorrei che venisse fatto responsabile Coe, che, anzi, dipinge egregiamente l’atteggiamento di chi crede nella visione “all’americana” del cinema, che spesso confonde la qualità con il successo di cassetta.
Il film in oggetto però, diretto da Marco Bellocchio e interpretato tra gli altri da Sergio Castellitto (coppia che si era già collaudata in L’ora di religione), sembra essere costruito apposto per dare ragione al produttore americano.
Parte bene, niente da dire, o meglio, parte come potrebbe partire un film che poi si rivela mediocre (ma almeno guardabile) presentando i personaggi pian piano, senza essere troppo didascalico inserendo qua e la qualche luogo comune, ma riuscendo comunque a coinvolgere lo spettatore nella trama.
Poi, man mano che si prosegue, tra un montaggio lisergico e una sceneggiatura studiata apposta per non capire mai se quello che vedi sia sogno, realtà, immaginazione, presente o passato, il film si scolla definitivamente da una linea comprensibile, e si rivela uno sfoggio intellettualistico che in realtà cerca solo di dissimulare il fatto che altrimenti la trama sarebbe una banale storiella di crisi personale che sfocia in una storia d’amore.
Insomma, non dico che a questo punto sia meglio un film di scazzottate, sparatorie e inseguimenti, ma di sicuro certe prove servono a confermare l’associazione film europeo=film inguardabile sostenuta dal produttore americano. Film del genere fanno male, innanzitutto a chi li guarda, e ci spende soldi e tempo, e poi anche a tutto il cinema, non solo al cinema in generale che a questo punto per reazione non può fare altro che appiattirsi verso gli schemi più consolidati del cinema da blockbuster, ma in particolare a quello europeo. O meglio, visto che non credo che il resto d’Europa voglia farsene carico (ricca com’è di film godibilissimi e non banali), si limita a fare male al cinema delle nostre parti. Come se ce ne fosse ancora bisogno.
19 ottobre 2007
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