Poche volte mi è capitato come in questo caso di oscillare tra giudizi così opposti in merito ai dischi. Come mia personale regola empirica concedo sempre tre ascolti completi ad un cd prima di formulare un giudizio, almeno nei casi appena un po’ più intricati, perché sono più che conscio della mia lentezza ad entrare nello spirito del lavoro. E in genere, soprattutto se si tratta di lavori anche solo leggermente difficili, il primo ascolto è quello dello smarrimento, quello in cui mi chiedo “Ma che cazzo è ‘sta roba?”. Nonostante questo, però porto a termine l’ascolto, poi, dopo avergli lasciato il tempo di sedimentare, lo riascolto. A questo punto, superata la sorpresa iniziale, incomincio ad apprezzarlo, se è il caso. Il terzo ascolto è infine quello del giudizio finale, quello necessario per i dischi più ostici, quello al termine del quale mi posso trovare addirittura ad applaudire. Letteralmente: mi capita davvero di farlo, di mettermi a battere le mani ammirato alla fine di un disco. Il bello è quando lo faccio in macchina, magari in mezzo al traffico.
L’indice di gradimento durante tutto questo processo ha comunque un andamento generalmente lineare: parto dal disappunto per arrivare all’entusiasmo, oppure mi mantengo sul livello ‘gran cagata’ per tutte le fasi, o in qualche caso resto folgorato fin dal primo approccio e rimango ammirato per tutti gli altri ascolti (questo caso è raro, e fa parte del mio limite: in genere quello che mi piace al primo colpo tende ad annoiarmi e a perdere di valore in breve tempo).
Stavolta invece l’andamento del mio personale indice di gradimento è stato oscillante: all’inizio mi sono detto, “ecco una scopiazzatura dei Coldplay (ed è tutto dire…) in salsa elettronica”, quindi pollice verso. Poi ho fatto caso ai ritmi inusuali, alla batteria suonata davvero bene, al buon gusto negli arrangiamenti e al fatto che la voce, pur con un timbro troppo simile a quello di Chris Martin, ha una duttilità e un’estensione notevole. Ok, mi sono detto, bella scoperta, buon acquisto. E così ne ho pure fatto regalo (masterizzato) a mia sorella.
Poi dopo averlo regalato l’ho ascoltato ancora una volta e sono rimasto sconcertato dalla pochezza delle linee melodiche, che soprattutto nei ritornelli (non si sfugge mai dalla forma-canzone) tende veramente al banale.
Ero quindi deciso a scriverne un post al vetriolo, e ho pensato che fosse il caso di farlo rinfrescandomi la memoria, così ho incominciato a scriverne ascoltandolo in cuffia e finalmente ho trovato la sua collocazione giusta: da sottofondo. Non è un gran pregio questo: essere un buon album “da sottofondo” è una tipizzazione che rasenta l’offesa, ma per questo disco rappresenta invece una rivalutazione, al punto che, lasciandolo fluire senza dedicargli troppa concentrazione, rimane l'impressione di stare sentendo qualcosa di delizioso, che provoca tiepide e piacevoli sensazioni.
Insomma, un buon, anzi, ottimo album da sentire, molto meno da ascoltare. Non so se mi spiego.
7 settembre 2007
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