Non è vero, porca miseria! Chiunque prima di sciorinare una qualsiasi frase accende il cervello e valuta se e come sia il caso di dirla. Chiunque, sempre.
E chi dice "Io dico sempre quello che penso" lo fa solo per giustificare a posteriori un atto di maleducazione o di scarsa sensibilità verso i sentimenti altrui.
L'altra cosa è chi ti dice con un sorriso falsamente timido che vorrebbe coprire una falsa rassegnazione: "Io sono fatto così, non ci posso fare niente".
No! Non è che non ci PUOI fare niente, è che non VUOI, perché ti sembra troppo faticoso, o perché comunque pensi che tutto il mondo sia tenuto a sopportare, volente o nolente, ciò che tu sei, senza nemmeno potersi augurare che tu faccia qualcosa per migliorarti.
Sono un rompipalle, lo so. Ma ora ho trovato un supporto sorprendentemente concorde a queste mie intolleranze:
In generale, tra noialtri esseri umani vige una certa sopravvalutazione della sincerità. A un certo punto abbiamo incominciato a spacciare per ipocrisia la buona educazione con cui sceglievamo cosa dire e cosa no, e a legittimare ogni accondiscendenza nei confronti di noi stessi definendola spontaneità: «Io sono fatta così...», «Ah, io dico quello che penso». Oppure, con ingenua simulazione di autocritica: «Ah, io non posso farci niente, dico quello che penso» o «Io ho questo difetto, che dico sempre quello che penso».Il problema è che è davvero un difetto, dire sempre quello che si pensa. Perché se uno pensa delle fesserie - e capita sovente - poi le deve dire, e magari era meglio di no. Perché se uno pensa delle cose cattive, o sgradevoli, forse è meglio che non le dica. Perché se uno pensa delle cose violente, o stupide, forse è meglio che le reprima. E questo ci porta - dalle parole ai fatti - a uno dei più catastrofici alibi costruiti dal genere umano per autoassolversi e mettere in vacanza la propria responsabilità su di sé.Sii te stesso.Già, bravi. Sii te stesso. E se uno è uno stronzo? «Sii te stesso», con tutta l'aura di grande dignità che si porta dietro, è una tra le peggiori predicazioni della storia. E sta dentro questo grande inganno autoassolutorio per cui l'impegno, l'applicazione, il lavoro di comprensione delle cose giuste e di quelle sbagliate, l'aspirazione a essere migliori, finiscono per essere disprezzati come artificiose ipocrisie, di fronte alla pretesa nobiltà del pigro e vile affidarsi alla propria natura.
(ne parlerò)
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