Una volta era praticamente una certezza: in un negozio di dischi –quando c’erano i negozi di dischi!- se ti piazzavi davanti agli scaffali ordinati in ordine alfabetico, da una parte ci trovavi gi ABBA, e all’estremo opposto gli ZZ Top. In mezzo la situazione evolveva, nascevano gruppi mentre altri tramontavano, cambiavano i nomi, alcuni aumentavano la loro discografia (prendi un Bob Dylan, per esempio), altri declinavano praticamente dimenticati e finivano con lo sparire dagli scaffali (chissà perché mi viene in mente Billy Idol), altri chiudevano i battenti, ma la loro discografia rimaneva solida e onnipresente (Nirvana).
Ma loro, ABBA e ZZ Top, stavano sempre là a segnare l’Alpha e l’Omega dell’universo pop-rock.
In realtà poi gli ABBA sono stati più volte insidiati nelle loro posizione iniziale (che immagino possa dare vantaggi analoghi agli A.A.A… degli annunci) da gente tipo A Guy Called Gerald o A Certain Ratio e ultimamente dai !!!, ma la fama di questa gente è talmente minuscola rispetto a loro che, a parte in certi negozi per maniaci, difficilmente si trovavano effettivamente a cedere la posizione.
Invece gli ZZ Top, a quanto ne so, continuavano beatamente ad occupare l’ultima posizione alfabetica sugli scaffali, forti di quella doppia Z che gli garantiva con buona sicurezza lo stesso posto che lo “zuzzurellone” ha nel nostro vocabolario (che poi manco lui è effettivamente l’ultimo, ma sfiderei un sacco di gente a sapere cos’è lo Zwinglismo o lo Zygion…)
Bene, ora ho scoperto che esistono gli zZz, che non ho idea di come abbiano deciso il loro nome – magari è solo l’onomatopea del ronzio – ma di sicuro il pensiero di avere scalzato i barbuti texani l’hanno avuto. Resta poi da vedere se e con quanta soddisfazione.
Gli zZz sono un duo olandese che fa una musica piuttosto adatta a chi come me incomincia ad indossare qualche pelo grigio e negli anni ’80 si beava di struggimento al suono oscuro di Joy Division o Sister of Mercy, ma pure ai ritmi sintetici di certi Ultravox senza disdegnare certe chiassosità dance (dark side of, s’intenda).
Gli ingredienti già-sentiti sono questi e pure altri (kraut-rock e hard-rock, per esempio), ma l’impasto generale ne risulta sufficientemente originale da renderli ancora più interessanti del loro nome.
Canzoni potenti e per certi versi pure coinvolgenti, ritmi pari e voci trattate li rendono in alcuni momenti perfino orecchiabili, adatti anche ad un ascolto meno di nicchia di quanto poi effettivamente siano.
Oddio, dubito che la loro fama arriverà mai a livelli tali da destinargli un posto stabile al fondo degli scaffali dei negozi di CD (negozi di cheee?), ma comunque sono davvero in gamba, e un’ascoltata consiglio a tutti di dargliela. Soprattutto a chi, come dicevo sopra, quelle sonorità di un quarto di secolo fa ce le ha dentro il midollo.
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