Torno a scrivere sul blog dopo una pausa un po’ troppo lunga per i miei gusti, però si sa, a volte il tempo libero manca… e questo è appunto uno di quei periodi.
Però non posso fare a meno di segnalare questa stupenda scoperta.
Le Luci della Centrale Elettrica è in realtà Vasco Brondi, un ventiquattrenne ferrarese che armato di chitarra e poco più ha registrato un disco bellissimo, probabilmente uno dei migliori dischi italiani da un bel po’ di tempo in qua. In realtà definire “poco più” quel che c’è oltre alla sua chitarra e la sua voce è un po’ immeritato, perché in realtà si tratta di Giorgio Canali e i suoi ricami alla chitarra elettrica sono davvero preziosi e suggestivi[1].
Si tratta di canzoni d’autore (vedi alla categoria cantautorato) che trattano con una poetica diretta e impietosa una realtà che si nutre di squallore e miseria, di tossicodipendenze e degrado.
A dirla così è una serie di pugni allo stomaco, ma in effetti, la musica, l’appassionato modo di cantare e soprattutto il fascino di certe pennellate nei testi (“con le nostre discussioni serie si arricchiscono solo le compagnie telefoniche”, “E tornino a crepare - ma dal ridere - le nostre madonne anoressiche (le tue fotomodelle, le tue fotomodelle, le tue fotomodelle...) ”, “che cosa racconteremo ai figli che non avremo di questi cazzo di anni-zero?”…) sono talmente brillanti e belle da stemperare di molto la sensazione depressiva che questo disco potrebbe dare.
Vedo in rete che questo musicista viene confrontato ad un sacco di artisti (Tenco, CCCP, Massimo Volume, …), ma più di tutti, sicuramente padre spirituale, è Rino Gaetano. E ne valga la citazione finale, nell’ultima canzone del disco:
Chi odia i Terroni.
Chi ha crisi interiori.
Chi scava nei cuori.
Chi legge la mano.
Chi regna sovrano.
Chi suda e chi lotta.
Chi mangia una volta.
Chi gli manca una casa.
Chi vive da solo.
Chi prende assai poco.
Chi gioca col fuoco.
Chi vive in calabria.
Chi vive d’amore.
Chi prende i sessanta.
Chi arriva all’ottanta.
Chi muore a lavoro.
Chi muore a lavoro.
Chi muore a lavoro.
Chi muore a lavoro.
Chi muore a lavoro.
Chi muore a lavoro.
[1] Prima di questo disco era stato pubblicato, e circolava pressoché ovunque, un demo che grossomodo riportava le stesse canzoni, registrate solo in modo più naïve. Naturalmente, com’è più che lecito aspettarsi in certi ambienti, è molto intenso il coro del “era meglio il demo”.
Per me no.
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