È questo. Per quanto mi riguarda è una novità, l’ho scoperto ravanando in libri e siti che trattano la storia del rock, ma di fatto ha quasi la mia età.
Definirne il genere non è semplice, diciamo che fonde un po’ di rock-jazz, pop, folk, flauti, testi stralunati-fiabesco-psichedelici ed è uno dei prodotti della cosiddetta scena di Canterbury che all’inizio degli anni settanta ha sfornato capolavori come gli album dei Soft Machine o di Robert Wyatt.
Rispetto a questi mostri però, i Caravan erano molto più solari, giocosi, divertiti e divertenti e questo album, pur presentando come piatto forte una suite di quasi 23 minuti, si rivela una doccia d’acqua fresca, ma non solo, pure colorata e scintillante, rispetto alla seriosità magnifica, ma a volte impervia degli altri esponenti del gruppo di Canterbury.
E già mi vedo, sotto il sole della Sardegna, occhiali da sole e braccio fuori dal finestrino a canticchiare (stonato) “Standing on a golf course/ Dressed in P.V.C./ I chanced upon a Golf Girl/ Selling cups of tea…”
13 giugno 2007
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