27 giugno 2009

Goodbye Jacko

Adesso sono diventato uno snob e la musica che Michael Jackson faceva e che forse più di chiunque altro rappresentava, non mi piace più.
Però stasera ho sbirciato uno degli inevitabili omaggi che gli stanno tributando in tv e ho rivisto per intero il video di Thriller. E mi sono ricordato che lo sapevo praticamente a memoria.
Ho avvertito sgorgare fuori dai recessi della mia memoria l'intera parte parlata del video, quella durante la quale si risvegliano gli zombie.
E mi sono ricordato che quel video, quel disco e quel cantante un tempo mi piacevano un casino.
E mi sono ricordato che che Michael Jackson a quei tempi era davvero fighissimo, bravissimo e bellissimo. Poi come sono andate le cose si sa, e non è neanche il caso di parlarne.

Beh, un saluto voglio darglielo pure io da qua.
Ciao Michael, sei stato davvero un grande.

26 giugno 2009

Coordinate estive 4 - L'arrivederci

Au revoir.

Coordinate estive 3 - Il luogo

È lo stesso dell'anno scorso. Quest'anno relax totale, neanche il brivido della destinazione sconosciuta:

24 giugno 2009

Coordinate estive 2 - Ascolti

Quest’anno ho deciso di fare le cose in grande. Non un disco dell’estate come l’anno scorso, ma tutta una band e la sua discografia.
La band in questione si chiama June of 44, l’ho scoperta sul sito della mia rivista preferita e dopo una breve indagine ho compreso di essermi imbattuto in uno di quei casi di completa affinità con i miei gusti e di sufficiente oscurità delle loro vicende da rendermeli del tutto affascinanti.
Mi sono procurato i loro primi due album ed ho completamente confermato le mie aspettative.
I June of 44 sono una band che è stata attiva negli anni dal 1994 al ’99 durante i quali ha prodotto 6 tra album ed EP. Dovunque andiate a cercare informazioni su di loro, li troverete definiti come “un supergruppo”, cioè una band costituita con la crema dei altri gruppi di già ben consolidato successo.
Chiariamo, per gente come questa il termine "successo" è piuttosto relativo: vi dicono niente nomi come Rodan, Lungfish, Codeine, Rex e Hoover?
No?
Beh, questi sono i gruppi di origine dei quattro componenti della band.
A me suonavano familiari solo i Codeine, ma diciamo che il messaggio che passa è che fin dal primo album questo è un gruppo tutt’altro che acerbo, e si sente.
Già, ma che si sente?
Post-rock.
Il post-rock dovrebbe essere quella cosa che è venuta dopo il rock (tautologico, no?) e che ne rappresenta non tanto l’evoluzione quanto la decomposizione post-mortem. Perché il rock è morto e sepolto, si sa, e se non si vuole finire con l'essere grotteschi nel tentare di mantenerlo artificiosamente in vita, allora è molto meglio sfibrarlo, dilaniarlo, disgregarlo e baloccarsi ancora un po' con la sua materia. Decomporlo, appunto.
In pratica quella dei June of 44 è una musica fatta con strumenti e sonorità tipiche del rock più classico (chitarre elettriche, basso, batteria, voce), ma elaborato completamente fuori dai consueti canoni. L’aspetto strumentale è predominante (la musica non è banale accompagnamento del cantato), i ritmi sono definiti ma mutevoli all’interno dello stesso brano, le sensazioni sono dilatate, le concessioni all’orecchio sono poche, anche se la deriva verso la dissonanza non è mai gratuita, gli sbalzi d’umore dal cupo al rabbioso al disteso, improvvisi e frequenti.
Come al solito queste descrizioni lasciano il tempo che trovano, ma pure dare dei riferimenti somiglianti non è facile, data la non grande diffusione del genere. A volerli proprio dare, per chi li conosce citerei inevitabilmente degli Slint più sanguigni, dei Codeine meno letargici, dei Fugazi meno scanditi, pure i nostrani e rimpianti Massimo Volume, ma molto meno ordinati.
Insomma, dategli una chance e provate ad ascoltarli almeno su Youtube. Poi magari non li digerite e finisce lì.
Oppure ne rimanete ammaliati come me, e allora vi si apre un mondo. Una stagione intera, almeno.

23 giugno 2009

Coordinate estive 1 - Letture

È quasi ora di vacanze per me&family. Di seguito quello che mi sono organizzato in previsione dei lunghi momenti d’ozio (see…) che potrò dedicare al principale di tutti i miei hobby, la lettura.

Martin Pollack – Assassinio del padre
Questo è il libro dell’estate. Ne ho sentito dire un gran bene e l’ho comprato già più di un mese fa, poi l’ho giudiziosamente riposto in libreria in attesa di poterlo riaprire sotto l’ombrellone.
Tratta di un reale caso giudiziario che nel 1928 ha visto coinvolto quello che sarebbe diventato uno dei più famosi fotografi del mondo (avete presente i duchi di Windsor che saltano? Ecco, è lui l’autore). Pare che sia una vicenda avvincente e interessante.
Io come cerco di fare sempre prima di leggere un libro, ignoro quasi del tutto la trama, e pure in questo caso non so dire molto di più.
Già prevedo alcune battute in famiglia a riguardo del titolo…
Ne dirò.



Amélie Nothomb - Mercurio
Poi, visto che sono molto ottimista in merito al tempo che avrò a disposizione per leggere e che il libro sopra è abbastanza breve, me ne sono procurato un altro. Pure di questo me ne hanno detto bene, e pure di questo so davvero poco, se non che dovrebbe essere una vicenda piuttosto torbida e morbosa. Non molto estivo dunque, ma piuttosto breve e dunque facilmente gestibile.



Richard Feynman - QED
Infine, visto che almeno d'estate non voglio porre limiti all'ottimismo, e che pure il secondo libro è una lettura veloce, mi porto dietro questo saggio che sicuramente non completerò prima del rientro ad una zona decentemente dotata di librerie. È un libro divulgativo (ma mica poi tanto) sull’Elettrodinamica Quantistica. Questo sicuramente non è libro da spiaggia, ma tratta un tema che durante i miei studi ho solo visto di sfuggita e che desidero in qualche modo sbirciare, anche se da lontano e con leggerezza accessibile. Poi è di Feynman, uno dei miei idoli di gioventù.

Questo è tutto ed è già fin troppo. E già immagino la reazione nel mettere tre libri tre in valigia “Tu sei ottimista, troppo ottimista, caro mio”.

19 giugno 2009

Roberto Gatto - The Music Next Door

Dopo il concerto di sabato scorso ho raddrizzato le antenne nei confronti del jazz italiano e sono venuto a sapere di questo disco, che non mi è ancora chiaro se sia del 2008 o del 2009 (trovo commenti solo a partire dal 2009, ma sul cd c’è scritto 2008, ed è stato effettivamente registrato la scorsa estate. Sarà semplicemente un ritardo di pubblicazione).
Ne ho sentito parlare bene, l’ho accattato e ora ve lo consiglio vivamente.
Roberto Gatto è un batterista e costituisce un raro esempio di batterista-band leader e compositore (esempio raro, ma dagli illustrissimi precedenti, Max Roach e Art Blakey su tutti), molto molto apprezzato sia qui da noi che all’estero.
Per l’occasione ha riunito intorno a sé 4 bravissimi compari: Paolo Fresu alla tromba e flicorno, Stefano Bollani al piano e rhodes, Daniele Tittarelli ai sax e Rosario Bonaccorso al basso e ha registrato un disco bellissimo di cose sue e di cover (nel senso jazzistico) di brani fuori dall’usuale repertorio del jazz.
Infatti degli 11 brani che compongono l’album, 6 sono a firma sua e gli altri 5 sono pescati qua e la dal pop e pure dall’opera. La band si cimenta infatti con un pezzo di Elvis Costello (You Left Me in the Dark), uno di Ennio Morricone (A Fistful of Dynamite, cioè il tema di Giù la testa), uno di Mina (cioè non di Mina, ma a suo tempo interpretato da lei, quindi come se fosse: Le tue mani), l’aria di Vesti la Giubba (Doninzetti, Riiidiii pagliaaaccioooo…) e infine addirittura un pezzo degli Chic (At last I am free).
Nelle note di copertina Gatto si accosta ad alcuni Grandi (Miles Davis, Sonny Rollins, Duke Ellington) che come lui attinsero dal repertorio pop per reinterpretare i brani in chiave jazz, analogamente a quanto si faceva un tempo con i grandi successi di Brodway (così sosteneva Miles Davis a giustificazione dei suoi sbandamenti verso Time after time di Cindy Lauper o Human nature di Michael Jackson).
Personalmente trovo che sia sempre un po’ rischioso, se non presuntuoso, accostarsi -per iscritto poi- a simili mostri sacri, ma in questo caso Gatto si pone al loro fianco solo per l’attitudine non tanto per i risultati. Che poi a ben vedere quelli di Miles Davis furono abbastanza raccapriccianti.
E comunque il risultato di questo disco è davvero buono, variegato negli stili interpretati e splendidamente suonato da tutti i protagonisti e soprattutto, nonostante si dica che il leader abbia lasciato piena libertà agli altri strumentisti, si avverte nettamente una decisa conduzione ed equilibrata orchestrazione che evita ogni momento di calo di tensione o di mancato coordinamento.
Ora, sull’onda di una delle mie solite effimere e brucianti passioni, mi sto indirizzando con grande interesse verso il jazz italiano che a quanto si dice sembra essere ancora uno dei più vivaci del mondo.
Su questo tema ho però un’unica rimostranza: perché i cd di jazz nostrano costano così tanto? Io immagino che sia per il loro essere più frequentemente delle novità rispetto a quanto si può trovare negli altri scaffali dei negozi, però, accidenti, stare sempre a ridosso dei 20 euri, anche nel caso di album che incominciano ad avere già qualche annetto di polvere che si accumula, è davvero un grosso freno per chi, come me, si sentirebbe anche intenzionato ad osare qualche nuova scoperta.

18 giugno 2009

il marEtoneta

C’è un tizio che si sta facendo tutta l’Italia di corsa.
È partito domenica da Reggio Calabria e arriverà il 30 agosto a Trieste facendosi tutta la costa est della penisola, più lo Ionio.
È già la seconda volta che lo fa, l’anno scorso si era fatto la costa Ovest, da Ventimiglia a Reggio Calabria, quest’anno in pratica chiude il giro delle coste.
Perché lo fa? “Per dimostrare che sport e ambiente hanno qualcosa in comune. Per scoprire qual è il vero stato delle coste italiane, ritrovare bellezze dimenticate, località e spiagge più e meno famose.”, spiega nel sito. Sport ed ecologia, dunque.
È un impresa lodevole, ammirevole e per quanto mi riguarda pure invidiabile: girare tutta l’Italia di corsa, facendo dai 15 ai 20 km al giorno, sapendo che cosa vuol dire correre, in quale strana dimensione ci si trova mentre il proprio corpo macina strada, farlo col panorama che cambia continuamente, con la libertà del vagabondo e la determinazione del professionista, deve essere un’avventura davvero bella.
Poi, nota a margine di tipo personale: il tizio in questione, Giuseppe Tamburino, è mio stretto compaesano (o era, forse non abita più lì), ma più che altro si allena sullo stesso percorso su cui corricchio io e con diverse persone che vedo regolarmente sgambettare da quelle parti.
Qui sotto c’è la foto ricordo della Tappa zero, una sorta di arrivederci a settembre scattata con i suoi compagni di allenamento. Il protagonista è quello al centro con la canotta bianco-azzurra, gli altri sono tutta gente che mi sfreccia accanto (in sorpasso…) durante le mie escursioni. Il luogo è precisamente quello da cui partono le mie corse.
E quindi, pure da parte mia: buon viaggio, Giuseppe.

16 giugno 2009

Devo cambiare telefonino...

...o almeno portarmi dietro una macchina fotografica, perché quella che ha integrata fa schifo.
Lo schifo qua sotto voleva essere un immagine a illustrazione del resoconto del concerto di sabato:
(da sinistra: Paolo Fresu, Attilio Zanchi, Tino Tracanna, Ettore Fioravanti.
Fidatevi, sono loro.)

15 giugno 2009

Sotto le stelle del Jazz, un resoconto

Come annunciato sono andato a vedere il concerto del sabato sera del Pino Jazz Fest, una rassegna di concerti jazz che si svolgono all’aperto nella piazza principale di Pino, paesino sulla collina torinese che non sarebbe fuori luogo definire ridente (è stato perfino definito “La Beverly Hills di Torino”, visto il reddito medio di chi abita da quelle parti).
Questa rassegna, da qualche anno in qua ospita alcuni dei più famosi (non solo in Italia) jazzisti nostrani, trasformando quella che era una coraggiosa scelta artistica, incentrata soprattutto sul jazz delle origini (il nome di New Orleans ancora fa capolino da qualche parte nella denominazione della rassegna), in una manifestazione di grande richiamo per gli amanti del genere.
Tutto ciò si traduce semplicemente nel fatto che, arrivando io all’ultimo momento, ho faticato da bestia a trovare un posto legale dove mollare la macchina.
E poi che nella piazza tutti i posti migliori erano già abbondantemente esauriti e io, dibattuto nell’alternativa tra comodità e buona acustica, ho optato per la seconda e mi sono sciroppato buona parte del concerto in piedi.
Ecco: con queste due timide rimostranze – parcheggio e posti a sedere – ho concluso gli aspetti negativi della serata, perché tutto il resto è stato davvero molto bello.
Mentre ero in coda per la birra d’ordinanza è iniziato il concerto dei 3quietmen, un trio torinese che propone una rivisitazione in chiave jazz molto moderno di alcuni brani del Mikrocosmos di Béla Bartók. Li ho trovati davvero molto bravi e suggestivi, nonostante fosse la prima volta in assoluto che li sentivo e che i primi due pezzi li abbia potuto ascoltare nella non proprio perfetta situazione di coda-per-la-birra.
Poi, dopo essermi piazzato al mio posto vicino-palco-ma-impietosamente-in-piedi, me li sono goduti a pieno e ho potuto lasciarmi trascinare in derive jazz di intensità notevolissima e struttura davvero gradevole.
Per dire quanto mi sono piaciuti, se non fossi uscito di casa con pochi spiccioli in tasca, avrei comprato seduta stante il loro cd.
Per dire che bella scoperta che ho fatto.

Poi sono entrate le star: prima il quintetto di Paolo Fresu che ha suonato per più di un ora filata, e poi a loro si è aggiunto Gianmaria Testa, italico vanto che spesso si trova a suonare in compagnia di alcuni membri del quintetto.
La prima parte del concerto per me è stata strepitosa, veramente. Fresu e i suoi quattro amici suonano insieme da ben 25 anni (cosa che credo sia un record nel cangiante mondo del jazz) e la cosa si sente in modo impressionante. Un suono coeso come pochi, interplay perfetto, in alcuni momenti fin troppo, per i miei personali e forse più sanguigni gusti, intesa mirabile tra i 5 musicisti.
Sarà per il nome, sarà per il fatto di essere leader, ma Fresu l’ho trovato davvero grande, per personalità e impatto una spanna sopra tutti. Gli altri sono bravi, e pure tanto, ma lui è davvero un grande.
Hanno suonato senza risparmiarsi 6 brani del loro repertorio, 5 di loro composizione, partoriti durante la loro pluridecennale carriera e uno non loro (Fresu ne ha detto il titolo, ha detto “…lo avrete senz’altro riconosciuto…”, see, come no. ‘gnurant!) ed ascoltarli è stato davvero un piacere per nulla diminuito dalla mia scomoda posizione.
Poi sul palco è salito Gianmaria Testa, e qui lo dico, a costo di prendermi qualche improperio: non è che mi sia piaciuto un granché…
Insomma, bravo è bravo, simpatico e pure divertente nel suo finto understatement, ma, puramente a livello musicale, il livello è sceso parecchio rispetto quanto si era sentito fino ad un attimo prima.
Fresu & Co. si sono posti nel ruolo di accompagnatori e, mi si perdoni, non è che la musica da chansonnier di Testa sia poi tutta ‘sta sofisticatezza. Bei testi, atmosfera coinvolgente, bella voce calda, ma poi sono le classiche arie da chanson, appunto.
E si sente che il quintetto che a questo punto sta alle sue spalle si trova a manovrare in spazi ben più ristretti rispetto a prima. Deve cambiare registro.
Poi magari in ogni canzone si prende un po’ di spazio per dare sfogo alle proprie attitudini, ma la base purtroppo è quella che è, e si sente.
Come al solito io cerco di fare un passo indietro e rilevare quanto sia personalissimo questo mio punto di vista, e che la gente che mi stava intorno lo apprezzava veramente e penso pure a ragion veduta, ma dato che i gusti non si disputano, qui sciorino i miei.
Comunque l’occasione che ho avuto, ad un passo da casa, di godere di tanta bella musica, talmente bella da permettermi di fare le pulci ad un indubitabile artista, è una di quelle cose che penso che riuscirò a portarmi dietro per molto tempo.
Me la sono portata dentro nel tragitto alla ricerca della macchina, sulla strada per casa e ancora adesso (giuro) avverto le forti emozioni per alcuni momenti mozzafiato di quel raro spettacolo.
Potere della musica.

13 giugno 2009

Stasera, sotto le stelle del jazz

Stasera a Pino Torinese dovrebbe succedere una cosa bellissima:
Le premesse ci sono tutte.
Io vado a vederlo.
Vi dirò.

12 giugno 2009

Ciao Hugh

È morto Hugh Hopper.

9 giugno 2009

Mulatu Astatke and The Heliocentrics - Inspiration Information

Questa è una cosa di cui ignoravo del tutto l'esistenza, ma in fondo penso di essere in una compagnia abbastanza nutrita.
Mulatu Astatke è il sessantaseienne massimo esponente di una cosa che si chiama Ethio-Jazz, cioè di jazz che viene dall'Etiopia. L'Etiopia è in Africa e il Jazz trova in Africa le sue radici più profonde, e questo dovrebbe in qualche modo chiudere un cerchio.
Gli altri sono gli Heliocentrics, un collettivo inglese guidato dal batterista Malcom Catto che bazzica dalle parti di DJ Shadow, Madlib e di altra avanguardia iper-figa.
Capita che i secondi siano in qualche modo fans del primo e che l'etichetta STRUT si stia dilettando da un po' di tempo a questa parte a fare entrare in contatto tra loro esponenti di concezioni musicali il più possibile eterogenee.
E come in una ricetta particolarmente felice, si è fatto il botto.
Mulatu e alcuni suoi collaboratori (etiopi di stanza a Londra) hanno registrato musica secondo il loro stile, che poi sarebbe un jazz ovviamente infarcito di influenze e sonorità afro, ma lontanissimo dalla world-music di Peter Gabriel & Co. (con rispetto parlando). Anzi il genere è quanto di più occidentale si possa pensare (in senso jazz, quindi per il cerchio di cui si diceva sopra, una capriola con ritorno in piedi), con influenze free, Duke Ellington (con cui Mulatu ha avuto il piacere di collaborare ai tempi), Sun-Ra...
Poi gli Heliocentrics hanno raccolto il testimone e hanno sapientenmente rielaborato il materiale ricevuto, donandogli sfumature psych, funk, ambient, rock,...
Per quanto mi riguarda il risultato è straordinario, una di quelle cose bellissime che fortunatamente continuano a capitare anche ai nostri giorni.
Mi rendo conto che lo sto dicendo già un po' troppo spesso, ma questo è davvero un album che segnerà a lungo queto 2009 già piuttosto ricco.
Per me, ex ignorante, una scoperta in più. Stupefacente peraltro.

8 giugno 2009

Tieni a mente Tienanmen!

04.06.1989 - 04.06.2009
(sono un po' in ritardo, lo so)
Solitamente in questi casi si dice "Per non dimenticare".
Io in ogni caso non me lo dimenticherò mai. Avevo 19 anni compiuti da poco e mi affacciavo all'età adulta. Ero cioè in quella fase della vita in cui si pensa che i sogni dell'infanzia e dell'adolescenza stiano finalmente per realizzarsi.Ricordo che mi sentivo particolarmente vicino a quei miei coetanei dall'altra parte del pianeta che manifestavano gioiosamente, vivevano quasi una festa, praticamente la celebrazione di un desiderio bellissimo e naturale - la democrazia, la libertà - che sembrava ovvio dovesse concretizzarsi anche in Cina da lì a poco. Sogni che si realizzano, appunto.
E noi, sbarbati ragazzini d'occidente, tifavamo per loro, gioivamo con loro.
Il risveglio di quel giorno in cui ci dissero che i carri armati erano entrati in piazza a massacrare quei nostri (e in fondo anche loro) coetanei, fu uno schiaffo dolorosissimo, ricordo che piansi, incredulo e incapace di comprendere.
C'era un simbolo di quella manifestazione quando era ancora una festa, ed era una replica della Statua della Libertà, un misto tra un gioco e una voglia di America che doveva essere ben presente tra i ragazzi in quella piazza.Un simbolo che credo abbia contribuito non poco ad irritare i sanguinari dirigenti del PCC che decisero che quelle manifestazioni andavano interrotte, terminate.
Eccola qui, la statua (la chiamavano La Dea Della Democrazia), in mezzo alla folla di quei miei coetanei ancora festosi:
E qui trovate anche altre immagini di quei giorni, prima, durante e dopo la repressione.
Tieni a mente Tienanmen!

3 giugno 2009

Quella sensazione che tutto sia perfetto

Mi è capitata l'altro ieri, lunedì.
Eravamo al mare. Sveglia prima delle sette con Lorenzo, veloce colazione, poi via, lui in in bici e io a correre a piedi sul lungomare.
L'aria fresca, il mare levigato e splendente per i raggi bassi del sole, poca gente per strada. Mi sentivo bene,correvo svelto e senza fatica. Il mio splendido primogenito dietro o di fianco a me, qualche parola ogni tanto, per il resto sembravamo tutti e due intenti a cogliere la bellezza perfetta di quel momento.
Ci attendeva una bella giornata in compagnia di amici.
A casa, in famiglia, una splendida notizia.
Alla fine ho fatto pure un gran tempo sui 10 km.
Insomma, uno di quei momenti perfetti che vorrei scolpire per sempre nella memoria.
Il blog in fondo serve anche a questo.
E qui, banalità delle banalità, a mo' di colonna sonora ci metto il buon vecchio Lou e il suo giorno perfetto: