20 novembre 2008

Le mie brucianti (ed effimere) passioni

Per un certo periodo ci furono gli scacchi. Mi appassionai, comprai libri, scacchiere elettroniche, software, scaricai tonnellate di documenti e lezioni da internet...
Poi ci fu la biologia: cercai libri, pubblicazioni, software...
Poi la musica: mi misi in testa di creare musica, al chiuso della mia cameretta (che in realtà erano le camere d'albergo della mia trasferta lavorativa a Milano), musica techno con il solo uso di pc. E pure lì scaricai software, samples, ritmi, e spesi pure un po' di soldi per altro software.
Poi ci fu la fase "programmatore": e via con software e manuali, libroni spessi e tecnicismi, per dire.
Poi la fase Hi-Fi: intenzionato a dotarmi di un apparato di riproduzione musicale ho iniziato ad informarmi su forum e newsgroup. Per un certo periodo (un mesetto, non di più) sono diventato esperto di amplificatori, cavi di potenza e dissipatori. Quello che mi ha frenato è che alla fine mi sono fermamente convinto che non potevo spendere meno di 2.000€, altrimenti avrei comprato una ciofeca che le mie orecchie (diventate sensibilissime a seguito di quelle letture...) non avrebbero potuto tollerare.
Analogamente, pochi mesi fa, mi è preso il pallino per la mountain bike. E anche stavolta la passione è diventata assoluta. Di nuovo: riviste, forum, blog, libri. E pure in questo caso mi sono fermato solo per la mia taccagneria: una bici da meno di 1.500€ non vale neanche la pena comprarla. E allora (per ora) ho lasciato il proposito nel cassetto.
Quindi la fotografia e la ripresa video. Lì mi sono poi limitato ad apparecchiature del tutto amatoriali e di consumo, che pur facendo inorridire qualsiasi purista che ho incontrato su certi forum, mi sanno dare le loro piccole soddisfazioni.
Ora l'ultima in ordine di tempo: la grammatica.
Tutte queste momentanee infatuazioni hanno più o meno la stessa origine casuale, proprio come un innamoramento. Un articolo di giornale, un film, un libro o (come nel caso di macchina fotografica) una semplice necessità familiare, fungono da innesco alla mia curiosità, che mi spinge a cercare informazioni sempre più autorevoli e a scovarne gli aspetti più affascinanti.
Tutto questo, tra l'altro, mi ha portato a emettere la seguente sentenza:
in tutte le attività umane c'è un numero sufficientemente elevato di persone intelligenti che vi si sono applicate, da renderle delle discipline assolutamente affascinanti e non banali
Ciò non toglie ovviamente che ad ogni disciplina vi si applichino un numero esorbitante di imbecilli, ma questo non invalida la mia affermazione di cui sopra.

Comunque, tutto questo discorso è per annunciare l'apertura di un nuovo riquadro qui a fianco in cui riporto la passione del momento.
Ad oggi sono alle prese con la grammatica, pensa un po'. Il tutto parte da un saggio che ho letto su un libro di cui non mancherò di parlare, quando lo finirò. In esso si tratta di questioni di linguistica, della disputa tra Prescrittivisti (coloro che dicono che i dizionari dovrebbero spiegare come si usa correttamente una lingua) e i Descrittivisti (quelli che invece pensano che un dizionario non dovrebbe fare altro che descrivere una lingua, accettandone anche le storpiature più marchiane, se queste sono diventate di uso comune).
Tale amena questione mi ha portato al desiderio di riprendere in mano una grammatica e andarmi a ristudiare le regole e i meccanismi della nostra lingua.
Una passione un po' così, insomma. Ma questo sono io, prendere o lasciare.

18 novembre 2008

E. Leonard - Tishomingo Blues

Un libro che del blues ha il sapore, il ritmo, l'indolenza.
E del blues ha pure tutti gli ingredienti: i paesaggi degli stati del sud, il sangue, il sesso, il razzismo, il coraggio, la rissosità. Manca solo Dio, God up above.
E tutto si svolge lì, a un tiro di schioppo da dove il blues è nato, nei pressi di quel crocevia dove Robert Johnson ha venduto l'anima al diavolo per diventare... Robert Johnson, quello che idolatriamo ancora oggi. Quello che "Eric Clapton non ti rivolge neanche la parola, se non sai chi è Robert Johnson".
E di fronte ad un crocevia della propria vita sono pure tutti i personaggi che affollano le pagine di questo romanzo, che in poche parole narra la vicenda di un tuffatore professionista, uno di quelli che monta uno spettacolo itinerante, con lui che si butta da 25 metri in una tinozza, col pubblico che applaude da un prato polveroso.
E poi ci sono pure yankee e confederati, giacche blu e sudisti, in una rievocazione incomprensibile ai nostri altezzosi sguardi europei. Una rievocazione che vede uomini seri e seriosi, gangster e poliziotti, travestirsi da soldati della guerra di secessione e interpretare lo svolgersi di una vecchia battaglia, ottima occasione per sfogare piccole e grandi rivalse personali. In questo contesto, Dennis, il tuffatore, viene coinvolto suo malgrado e senza che lui riesca ad opporre resistenza, in una vicenda fosca e pericolosa, dove tutti sanno tutto, ma nessuno può dire niente. Mafia sudista, pensa te.
E lo stile di Leonard ti tira dentro, tuo malgrado e senza che tu possa opporre resistenza, dentro a quel mondo strano, lontano anni luce dalle nostre campagne, ma con la sensazione di esserne tu stesso parte, freddamente ma inesorabilmente coinvolto.
Alla fine sembra di avere assistito ad una commedia surreale, dove i personaggi si muovono in maniera strana e disarticolata. Ma in realtà, se si guarda bene, è solo perché libri scritti così non siamo abituati a leggerli. Soprattutto i dialoghi. Non siamo abituati a leggere dialoghi zeppi di sospensioni, anacoluti, ripensamenti. Ma se si ascolta un dialogo reale, tra persone in carne ed ossa, è proprio così che si fa, invece: si mozzicano le frasi, si cambia direzione, si lascia sospesa l'affermazione... Solo che sui libri non siamo abituati a trovarceli riportati così, sui libri i personaggi parlano... come un libro stampato, appunto. E allora a leggere un libro in cui il dialogo è realista ci troviamo spiazzati, come di fronte ad una scena surreale, straniante.
Questo è uno dei motivi principali per cui Leonard è quasi sconosciuto in Italia, perché il punto forte dei suoi libri sono proprio i dialoghi tra i personaggi, ricchi oltretutto di regionalismi e modi di dire, e le traduzioni non possono che perdere quasi tutto il bello di questi momenti.
Nel libro in questione, il traduttore, Wu Ming 1, ha provato a mantenersi fedele allo spirito originale e a farci rivivere meglio che si può le atmosfere create da questo grande autore e penso si possa dire che ci sia riuscito più che discretamente.
Non resterebbe poi che leggerseli in lingua originale questi libri.
Ad esserne capaci.

17 novembre 2008

Bachi da Pietra - Tarlo Terzo

Avrei voluto iniziare questo post con una frase del tipo "ora, dopo un po' di tempo che non parlavo dei miei soliti argomenti leggeri, musica-libri-film, torno a...".
Ma poi mi è capitato che il CD che sta girando nel mio lettore sia questo Tarlo Terzo del duo di provincia piemontese Bachi da Pietra. Ed è un disco che leggero non lo è affatto: è invece cupo, sporco, cattivo, scurrile, pesante, repellente...
Però sublime.
Diciamone meglio: dei Bachi da Pietra ne avevo parlato già l'anno scorso, dopo avere ascoltato non io, il loro precedente album, che mi aveva positivamente impressionato, nonostante (o forse proprio per) il suo piglio ombroso, da cui traspariva lo spessore di un lavoro intenso e potente.
Questa volta, a mio avviso, si sono anche superati. Le atmosfere, pur meritandosi quegli aggettivi che ho usato sopra, sono meno chiuse, l'incedere è più spigliato, i suoni ed i loro intrecci più accattivanti, la corda è sempre tesa al punto giusto.
Canzoni graffianti che lasciano cicatrici seducenti, che rifuggono la banalità e che si spingono (e ti spingono) inesorabili verso l'oscurità, ma sempre lasciando trapelare dal profondo una luce remota, che rivela un calore intenso e ammaliante in cui crogiolarsi con voluttà.

Accidenti, rileggo quanto ho scritto qua sopra e mi pare di avere scritto una di quelle recensioni da rivista indie in cui alla fine non hai capito niente di quel che c'è nel disco. Facendo le debite proporzioni, si intende.
Provo a rimediare, ma non è affatto semplice: rock-blues sporco, voce strascicata, suoni acustici, metallo-legno-pelle, ritmi lenti, testi onirici e ricercati...
Non ci sono riuscito, non si riesce a descrivere la musica.
Ma comunque si sappia: questo è un gran bel disco, azzarderei a dire una delle cose migliori prodotte negli ultimi anni in Italia. Notevolissimo e pure, sarei pronto a scommetterci, in grado di sopportare alla grande il passare del tempo. Già un classico, insomma.
Peccato non sia il genere di disco che si fa ascoltare a parenti e amici durante le riunioni di famiglia, ma meriterebbe davvero tutta l'esposizione possibile.

11 novembre 2008

Video Experiment

Esperimento di inserimento di un mio video in un post del blog.
Cavia: Francesco.
Non ancora convinto delle proprie capacità, non molla l'ormeggio di una sedia e non rischia ancora un'autonoma stazione eretta.
Che se ci pensi bene è una cosa complicatissima, che però viene gestita talmente bene da quel grumo di materia che abbiamo dentro la zucca che sembra facile e naturale. Ma di per sé, starsene in equilibrio sui piedi, è una cosa davvero complessa e per certi versi innaturale. Prova con una bambola.
[Mi si perdoni la pessima qualità delle immagini, ma la telecamera del mio telefonino fa davvero schifo]

10 novembre 2008

Buona questa 2

[(questa mi lascia veramente) senza parole]



Esercizio di coerenza: i nani e le ballerine si allineano alla spiritosaggine del capo.

7 novembre 2008

Altro che le gaffes

Se non fosse che non lo stimo abbastanza, penserei davvero che le gaffes di Berlusconi non sono semplicemente delle sparate da osteria che fa nella supponenza di avere la libertà di dire qualsiasi cosa gli passi per la zucca.
Ecco, penserei invece che siano davvero delle mosse strategiche e deliberate per distogliere l'attenzione dai problemi seri.
Ad esempio, ieri, poco prima di uscirsene col la sua cazzata sull'abbronzatura di Obama, il Presidente (il Premier, così gli piace farsi chiamare), rispondendo ad una delle tante critiche sui tagli alla scuola (pubblica) rispondeva:
Non mi ero accorto che nella Finanziaria sono stati tolti 134 milioni alla scuola privata cattolica. Ammetto una mia colpa: cercheremo di non togliere i finanziamenti alla scuola cattolica: è una libertà per tutti.
Capito? Alla scuola pubblica si chiude il rubinetto; alla privata (cattolica, eh) no.
Ma poi questa cosa passa inosservata, perché qui stiamo a litigare se quella dell'abbronzatura fosse una "carineria" o una sparata razzista.

[questa riflessione non è farina del mio sacco, viene da qua]

6 novembre 2008

Buona questa

(senza parole)

5 novembre 2008

D.F. Wallace - Una cosa divertente che non farò mai più

Io sono uno di quelli a cui ogni tanto succede di saltare sul carro del morto.
Brutta affermazione, vero? Ma mi spiego: con D.F.Wallace mi è capitato di scoprirne l'esistenza quando si è sparsa la notizia della sua morte, leggendone il rimpianto sconsolato di chi lo aveva conosciuto quand'era ancora vivo.
Lo stesso mi era capitato con Kurt Vonnegut, Jaco Pastorius, John Peel, Douglas Adams e chissà quanti altri che ora non mi vengono in mente. E mentre fino ad allora vivevo felice e contento nella completa ignoranza della loro esistenza, poi vorrei entrare nella schiera di quelli che dicono "peccato che se ne è andato, era un grande".
Tutte queste scoperte postume probabilmente denunciano delle mie grosse lacune, lo so, ma tant'è...
Allora, David è morto il 12 settembre di quest'anno, e tante e tali sono state le dichiarazioni sgomente e afflitte dei suoi lettori, di alcuni dei quali seguo i blog, che non ho potuto fare a meno di incuriosirmi e andare a cercare le sue opere in libreria.
Viene fuori che Wallace ha scritto quello che viene piuttosto generalmente definito come un capolavoro che si chiama Infinite Jest, che però ha un aspetto un po' minaccioso: 1281 pagine fitte fitte, con una trama un po' sconnessa e commenti infuriati di troppi lettori sconfitti dal suo peso (provate a leggere i commenti dei lettori nel link di IBS che ho riportato sopra). Insomma, io ero appena uscito esausto da Underworld e non avevo voglia di affrontare altri mattoni, così mi sono orientato verso le sue opere minori.
Ho letto prima La Ragazza Dai Capelli Strani, una notevolissima raccolta di racconti di cui effettivamente dovrei scrivere qualcosa qui, poi mi sono letto questo libro ed è stata un'esperienza straordinaria.
Si tratta del resoconto di una crociera extralusso di 7 giorni nei Caraibi, a cui l'autore ha partecipato, inviato, proprio per scriverne un'articolo, dalla rivista Harper's.
Wallace è (era, mannaggia!) una specie di nerd forse un po' sfigato, nonostante la sua genialità letteraria, per cui in un ambiente del genere si trova molto peggio del proverbiale pesce fuori dall'acqua. Si crea quindi un gustosissimo contrasto tra la sua genialità e la sua goffaggine (e più che altro la prima che descrive la seconda), e la sua analisi lucida, ma neanche lontanamente fredda, biasima la sua inettitudine e non si vergogna di raccontarla.
Descrive con minuzia gli agi e il lusso sfrenato a cui viene sottoposto per una settimana, la perfetta efficienza del personale e dell'organizzazione della crociera, e lo analizza fino a scovarne l'aspetto grottesco. A fatica però, perchè quella superficie è talmente immacolata ed abbagliante da rendere difficile scorgere il vuoto che cela, perché è proprio quello ciò a cui tutti sono addestrati (e con che metodi!) su quella nave: convincere il cliente che veramente la sua soddisfazione è la loro gioia più ambita.
La traduzione del titolo è abbastanza fedele all'originale, se non fosse che quello dice "A supposedly fun thing...", cioè una cosa che si presuppone divertente, e quest'avverbio descrive in pieno l'angolazione da cui è scritto il libro (che in principio doveva essere appunto solo un articolo di giornale, poi è cresciuto a dismisura fino a diventare un libro a sé): il resoconto di un'esperienza che per quanto strabiliante e pressoché perfetta nel suo viziare i clienti, non riesce mai a sopire quel bambino incontentabile e capriccioso che è dentro di noi, e anzi, come succede con i bambini veri, il vizio eccessivo non fa altro che alzare la posta delle esigenze a livelli assurdi, dove ti rendi conto che nulla può soddisfarti a pieno, soprattutto se, quando hai prenotato la crociera e hai pagato il biglietto, ti hanno promesso che ogni tua esigenza sarebbe stata indubitabilmente soddisfatta.
Una lezione di vita, alla fine.

A questo punto Infinite Jest mi tenta, ma non ora. Magari la prossima estate...

Al risveglio...

È bello ricevere una bella notizia appena alzati.
È bello avere la dimostrazione che le cose possono veramente cambiare.
È un po' meno bello sapere che per farlo ci vuole un uomo straordinario, e che dalle nostre parti...

...vabbè, è comunque bello sapere che le cose possono cambiare.


Ah già: io, Bruce Springsteen, Brad Pitt, Michael Jordan, Paul Auster e tutti gli altri ci congratuliamo con il nostro candidato.

4 novembre 2008

Capolavori in cui mi imbatto

Ogni tanto mi capita uno di quei periodi in cui ravàno alla scoperta di capolavori talmente grandi e universalmente riconosciuti che a scriverne non dico una recensione, ma anche solo un post descrittivo, mi sento inadeguato.
Mi era già capitato un po' di mesi fa, e ora sono di nuovo in quella fase. Solo che questa volta non si tratta di rock o derivati, ma di jazz, e pure abbastanza classico. Quindi se già allora veleggiavo negli anni intorno alla mia infanzia (anni '70), ora vado ancora più indietro, tra il '55 e il '65, quando i miei genitori si conoscevano e sposavano, per dire.

Ho iniziato a frequentare il jazz da non molto tempo e pertanto mi considero ancora praticamente un neofita. Questa condizione ha naturalmente lo svantaggio di costringermi a vagare un po' a tentoni in quel mondo vastissimo ed oggettivamente non semplice, ma ha pure il pregio di regalarmi delle epifanie meravigliose che ancora oggi non accennano a vedersi esaurire la fonte, tanto è vasto, dicevo, il materiale a cui attingere.
E allora, qui di seguito, un elenco di quello che mi sta estasiando in questo periodo. I link fanno riferimento a Amazon.com dove per ogni album ci sono sempre degli interessanti commenti di ascoltatori che spesso sono davvero preparati.

Miles Davis - Miles in Tokyo: Inizio per questioni affettive con il divino Miles. Questo album è la registrazione di un concerto del 1964 a Tokyo appunto, con il suo secondo quintetto acustico. È uno dei periodi che preferisco della sua lunghissima carriera, un periodo che produsse alcuni capolavori (Sorcerer, E.S.P., Nefertiti...), alcune tournee straordinarie e che forse costituisce l'apice tecnico (allo strumento) dello stesso Davis. È tutto bellissimo, ma tra le altre spiccano una My Funny Valentine da pelle d'oca e una So What tiratissima, da urlo.
Oliver Nelson - The Blues And The Abstract Truth: Probabilmente il miglior compendio di tutto ciò che il jazz era nel 1961. Con un cast stellare (Dolphy, Hubbard, Bill Evans, Chambers e Haynes) e componimenti arrangiati perfettamente fanno di questo disco una piccola indispensabile enciclopedia di quello che questo genere poteva dare mezzo secolo fa.
Wayne Shorter - Speak No Evil: Questo album è uno dei tanti frutti miracolosi che il Davis di cui sopra sapeva produrre. Wayne e Miles avevano iniziato a collaborare qualche mese prima, e questo è il disco che Shorter produsse da solista appena ricevutone il tocco. Una specie di concept album intorno all'esoterismo macabro, tanto per cambiare interpretato da un cast da fine del mondo (Hubbar, Hancock, Carter e Jones).
Dave Brubeck - Time Further Out: L'elegantissimo Brubeck continua la sua esplorazione dei tempi dispari (3/4, 7/4, 9/8, 5/4...) nel jazz. Quest'uomo aveva la rara capacità di sapere tradurre una brillante idea teorica (perché limitare il jazz ai tempi pari?) in una realizzazione pratica che non appare mai forzata o pretestuosa. Tutti i brani sono splendidamente ascoltabili, solo che a battere il ritmo col piedino ci si trova sempre fuori fase... Comunque, chi ancora non lo conoscesse, inizi dal primo e più famoso suo lavoro in questo senso: Time Out.
Clifford Brown and Max Roach - At Basin Street: Max Roach è l'unico batterista al mondo di cui riesca a sopportare (a malapena) un assolo. Clifford Brown una stella della tromba che si è spenta davvero troppo presto. In questo album, a questi due giganti si affianca Sonny Rollins a costituire uno dei più fenomenali quintetti di sempre (assieme a R.Powell e a G. Morrow). Raramente ho trovato tanta energia in un disco come in questo (che tra l'altro non è un live, se la cosa può essere importante).
Herbie Hancock - Maiden Voyage: Un altro concept album, questa volta intorno al mare, al suo respiro eterno e al suo essere sempre un continente inesplorato. Meraviglioso album, ricco di atmosfera, frutto di uno stile che partiva dalla ricerca modale di Miles Davis (ancora lui, sempre lui!) per andare verso nuove avanguardie che non disdegnavano la musica colta. Forse questo è il disco che più di tutti stupisce per la sua età, tanto è ancora moderno e sfavillante dopo 43 anni.

3 novembre 2008

Endorsement

È ora di gettare la maschera, di guardare in faccia la gente e gridare le proprie convinzioni:
il tenutario del presente blog appoggia ufficialmente e pubblicamente la candidatura di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti d'America.
(cioè, mi pongo a fianco di Bruce Springsteen, Brad Pitt, Michael Jordan, Paul Auster e un pacco di altra gente, mica ciuffole).
No, cavoli, a parte gli scherzi, speriamo bene.

La zucca

Ogni promessa è debito.
Lo scorso post ho detto che avrei pubblicato la mia opera d'arte Halloweeniana. Eccola qua, ditemi se non è splendida:
E poi ne approfitto per fare una piccola cronaca degli osceni, truculenti, immondi e turpi fatti occorsi durante l'orgiastica celebrazione del 31 ottobre scorso.

[chiaramente mi piacerebbe che questo blog avesse il potere di costituire almeno una risposta alle stupidaggini che ho raccontato qualche giorno fa. Ne dubito, ma non importa, questa è la mia versione]

Allora, tutto è iniziato alla chiusura di scuola e asilo.
I bambini si sono radunati in un locale preparatorio (una sorta di anti-sacrestia) dove si sono travestiti da bestie immonde e hanno truccati i loro visi, fino al quel momento ingenui ed angelici, per ridurli a turpi rappresentazioni di Satana a cui avrebbero reso omaggio di lì a poco...

Vabbè, la pianto...
Avrei voluto proseguire il racconto in stile "messa nera" per sfottere un po' i benpensanti dell'Associazione Giovanni XXIII, ma non ne vale la pena. Troppo sforzo senza speranza.
Proseguo in stile un po' più sobrio, perché c'è qualcosa che vorrei raccontare, al di là delle polemiche.

I bambini si sono effettivamente radunati in un locale nel paese, dove le mamme hanno provveduto a vestirli e a truccarli per l'occasione. Posati i grembiulini e le cartelle, quella rumorosa congrega si è quindi trasformata in una masnada di streghette, vampiri, scheletri, fantasmi, mostriciattoli... (ma si è visto pure un Bat-Man e qualche fatina).
Poi sono partiti, e hanno fatto il giro delle botteghe e delle case nel centro storico a urlare chiassosamente dolcetto o scherzetto! Si noti, che per raggiungere la massima efficienza, la truppa si è divisa in più gruppi, in modo da presentarsi per primi alle porte, con conseguente maggiore disponibilità di dolcetti e ridotto rischio di tornare a mani vuote (perché si sa, lo scherzetto è minaccia solo teorica, al più si riduce a qualche spruzzata di stelle filanti spray, per cui l'unico obbiettivo previsto è quello del dolce, non dello scherzo).
Bene, proprio questo volevo raccontare: tutti, ma proprio tutti nel paese, hanno fatto a gara per accontentare nel migliore dei modi i bambini: caramelle, sacchetti di dolci, biscotti, fette di torta, gelatine,... E sto parlando anche di personaggi noti per il loro essere schivi, se non proprio burberi. Negozianti di quelli che bofonchiano scocciati quando sono costretti a dare troppe monete di resto (quanto fa, 85 centesimi? guardi, mi spiace, ho solo 50 euro... apriti cielo!), paesani sempre accigliati che aprono bocca solo per brontolare, vecchiette solitamente infastidite da qualsiasi voce oltre i 30 decibel. , anche per queste persone, la sera (si parla di prima di cena, eh) del 31 ottobre si è trasformata in una simpaticissima festa. Pure loro regalavano caramelle, ma soprattuto sorrisoni a quelle manine aperte e pitturate[*] e, giuro, molti si sono dispiaciuti per non essere stati visitati un numero sufficiente di volte.
Alcuni negozianti hanno preparato sacchettini confezionati di dolci. Uno ne aveva 180! Sapete cosa significa confezionare 180 sacchettini? Insomma, non una fatica di Ercole, ma facendolo per regalo...
, in buona sostanza: questa festa è diventata, anche più che qualsiasi Natale, Pasqua o anche Carnevale, una festa che coinvolge simpaticamente chiunque. Generazioni lontanissime (parliamo di novantenni e treenni!) che, se non sono parenti, davvero difficilmente si incontrano altrimenti, hanno potuto ancora divertirsi assieme e darsi reciprocamente piccole ma preziosissime soddisfazioni.
Non so, non vorrei adesso dare una descrizione svenevole della festa di Halloween, ma devo ammettere che nonostante il suo essere un'americanata, frutto del consumismo, trionfo della superficialità e bla bla bla..., è una rara occasione capace di riattivare certi sentimenti che altrimenti non possono fare altro che rimanersene intorpiditi nelle tribolazioni vita quotidiana.
Ma poi tutto sommato non è la festa ad avere questo merito. Sono i bambini, con il loro soprannaturale potere di strappare sorrisi. Basta coinvolgerli e il gioco è fatto.
E così sia.

[*] In pratica si svolge così: si suona il campanello o si entra nel negozio. L'abitante o il negoziante arriva con un contenitore (cesta, sacchetto, secchiello) pieno di dolciumi e inizia a distribuirlo ai bambini che tendono le mani aperte verso di lui (prima io! prima io!) cercando di accontentare tutti, e sapendo che appena andati via questi, ne arriverà a minuti un'altro gruppo.
A mio parere, essere al centro di questa distribuzione può essere uno dei piaceri della vita (ad averne a sufficienza ovviamente, se no son guai)